India - Il coraggio di Pradnya botte allo stupratore "Donne, fate come me"
È pieno giorno in India,
sono le 2,30 del pomeriggio, fa caldo e la stazione di Kandivli a Mumbai
pullula di passeggeri in arrivo o in partenza. Pradnya Mandhare, 20
anni cammina svelta verso i binari per tornare a casa dopo una mattina
di lezioni nel college universitario di Sathaye alla periferia della
metropoli. Nella calca viene avvicinata da un uomo — un certo Chavan,
non meglio identificato — chiaramente ubriaco. Lei cerca di scansarlo
mentre lui la palpeggia, ma lui la afferra impedendole di muoversi.
Tra le cinquanta e più persone presenti alla scena nemmeno uno interviene, né uomini né donne, allora Pradnya, «dopo un paio di secondi di choc», capisce che deve cavarsela da sola. «La gente si fermava a guardare — racconta — ma nessuno si preoccupava di chiedere che cosa stava succedendo. Così ho cominciato a colpire l'uomo con la mia borsa ed ero sicura che lo avrei sopraffatto perché dalla puzza di alcool si capiva che era ubriaco». Già con queste credenziali la coraggiosa Pradnya ha meritato il ruolo di eroina che le è stato assegnato con frasi d'ammirazione sui social media indiani e di tutto il mondo, non fosse altro che per il suo sangue freddo, dopo tante storie di violenze sessuali — una ogni venti minuti secondo statistiche del governo — finite tragicamente nella stessa Mumbai. Per non parlare del caso più eclatante di tutti, lo stupro di branco e l'uccisione della 23enne Jyothi Singh nel dicembre 2012 su un autobus di Delhi. Ma il racconto della studentessa prosegue con una scena surreale avvenuta dopo che l'uomo l'aveva lasciata andare, tramortito dai colpi. «Dal momento che era sporco e puzzava — dice la studentessa universitaria — avevo difficoltà anche a toccarlo. Per questo l'ho preso per i capelli e trascinato fino alla polizia ferroviaria ». «È stata dura — aggiunge — perché stava cercando di scappare, mi gridava di lasciarlo camminare da solo e che sarebbe venuto con me dai poliziotti, ma avevo paura che mi avrebbe attaccato ancora, e neanche stavolta (con un numero di testimoni molto più alto, ndr ) qualcuno è venuto in mio aiuto".
In un Paese dove gran parte dei reati a sfondo sessuale resta impunita, Pradnya non si è limitata a reagire e umiliare il suo molestatore davanti a centinaia di spettatori insensibili e complici dello stesso clima sociale che genera violenza. Consapevole dell'esempio che il suo caso potrebbe rappresentare per altre vittime, non si è ritratta davanti ai cronisti giunti a frotte per intervistarla. «Ogni donna dovrebbe alzare la voce e insegnare a queste persone una lezione — commenta —. Non siamo oggetti che chiunque può toccare a volontà. Si deve reagire e non tacere anche se i genitori delle ragazze pensano che andare in una stazione di polizia significa infangare la reputazione della figlia... ai poliziotti... ho chiesto di dargli una lezione in modo che non avrà più il coraggio di molestare un'altra donna».
Tra le cinquanta e più persone presenti alla scena nemmeno uno interviene, né uomini né donne, allora Pradnya, «dopo un paio di secondi di choc», capisce che deve cavarsela da sola. «La gente si fermava a guardare — racconta — ma nessuno si preoccupava di chiedere che cosa stava succedendo. Così ho cominciato a colpire l'uomo con la mia borsa ed ero sicura che lo avrei sopraffatto perché dalla puzza di alcool si capiva che era ubriaco». Già con queste credenziali la coraggiosa Pradnya ha meritato il ruolo di eroina che le è stato assegnato con frasi d'ammirazione sui social media indiani e di tutto il mondo, non fosse altro che per il suo sangue freddo, dopo tante storie di violenze sessuali — una ogni venti minuti secondo statistiche del governo — finite tragicamente nella stessa Mumbai. Per non parlare del caso più eclatante di tutti, lo stupro di branco e l'uccisione della 23enne Jyothi Singh nel dicembre 2012 su un autobus di Delhi. Ma il racconto della studentessa prosegue con una scena surreale avvenuta dopo che l'uomo l'aveva lasciata andare, tramortito dai colpi. «Dal momento che era sporco e puzzava — dice la studentessa universitaria — avevo difficoltà anche a toccarlo. Per questo l'ho preso per i capelli e trascinato fino alla polizia ferroviaria ». «È stata dura — aggiunge — perché stava cercando di scappare, mi gridava di lasciarlo camminare da solo e che sarebbe venuto con me dai poliziotti, ma avevo paura che mi avrebbe attaccato ancora, e neanche stavolta (con un numero di testimoni molto più alto, ndr ) qualcuno è venuto in mio aiuto".
In un Paese dove gran parte dei reati a sfondo sessuale resta impunita, Pradnya non si è limitata a reagire e umiliare il suo molestatore davanti a centinaia di spettatori insensibili e complici dello stesso clima sociale che genera violenza. Consapevole dell'esempio che il suo caso potrebbe rappresentare per altre vittime, non si è ritratta davanti ai cronisti giunti a frotte per intervistarla. «Ogni donna dovrebbe alzare la voce e insegnare a queste persone una lezione — commenta —. Non siamo oggetti che chiunque può toccare a volontà. Si deve reagire e non tacere anche se i genitori delle ragazze pensano che andare in una stazione di polizia significa infangare la reputazione della figlia... ai poliziotti... ho chiesto di dargli una lezione in modo che non avrà più il coraggio di molestare un'altra donna».
Afghanistan - Donne in rivolta:
"Portiamo noi il feretro"
Farkhunda, aveva 27 anni, studiava da insegnate. Sembra fosse affetta da problemi psichici, ma questo, unitamente all'inestistenza di prove sulla sua "colpevolezza", non ha impedito ai suoi carnefici di "giustiziarla". Così Farkhunda è stata linciata con l'accusa di aver bruciato copie del libro sacro dell'Islam davanti ai poliziotti inerti.
Non paghi dell’esecuzione gli aguzzini di Farkhunda hanno trascinato il suo cadavere per alcune centinaia di metri per abbandonarlo poi sulle rive del fiume Kabul e darlo alle fiamme.
Ma il sacrificio della giovane afghana, per le donne che in migliaia hanno accompagnato la salma di Farkhunda al corteo funebre, non è stato vano: “Portiamo noi la bara di Farkhunda. Era una figlia dell’Afghanistan. Oggi è toccato a lei, domani toccherà a noi”, scandiscono a gran voce le attiviste che hanno portato sulle spalle il feretro fino al luogo dell’inumazione, rompendo così la tradizione. Momenti di tensione si sono registrati quando i famigliari della vittima hanno impedito di partecipare alla cerimonia al religioso islamico Ayaz Niazi che, ore dopo il linciaggio, lo aveva definito “un atto giustificato”.
Intanto, per dare giustizia a Farkhunda, ma anche a tutte le figlie, sorelle, mogli e madri, si è formato un comitato popolare che ha offerto un premio di 5.000 dollari americani a chi aiuterà a trovare i colpevoli del martirio della giovane afghana
Ma il sacrificio della giovane afghana, per le donne che in migliaia hanno accompagnato la salma di Farkhunda al corteo funebre, non è stato vano: “Portiamo noi la bara di Farkhunda. Era una figlia dell’Afghanistan. Oggi è toccato a lei, domani toccherà a noi”, scandiscono a gran voce le attiviste che hanno portato sulle spalle il feretro fino al luogo dell’inumazione, rompendo così la tradizione. Momenti di tensione si sono registrati quando i famigliari della vittima hanno impedito di partecipare alla cerimonia al religioso islamico Ayaz Niazi che, ore dopo il linciaggio, lo aveva definito “un atto giustificato”.
Intanto, per dare giustizia a Farkhunda, ma anche a tutte le figlie, sorelle, mogli e madri, si è formato un comitato popolare che ha offerto un premio di 5.000 dollari americani a chi aiuterà a trovare i colpevoli del martirio della giovane afghana
Nessun commento:
Posta un commento