DIFENDIAMO LA VITA DELLA PRIGIONIERA POLITICA NADIA LIOCE!
(Da ristretti orizzonti) Ora d'aria in compagnia di una sola detenuta, in una vasca di cemento
da tre metri per tre. Massimo due libri e due quaderni: ma tutti
tacciono.
Sanno in pochi a quale tipo di asprezze va incontro un detenuto che è
sottoposto al 41 bis, regime di carcere duro. E sono ancora meno quelli
che conoscono la realtà della sezione femminile del carcere delle
Costarelle, L'Aquila, dove le nove recluse vivono in un regime di
carcere duro più duro degli altri. Le donne che lo abitano sono
seppellite vive da anni. Recluse in un sepolcro entro il quale
scalciano. Oltre il quale nessuno può sentirne lo strazio. Vivono in
isolamento totale. Non riescono a far sentire la loro voce.
A far sapere all'esterno quale sia la quotidiana umiliazione della
loro dignità, in spregio delle stesse norme che regolano il 41 bis. "Un
carcere femminile peggiore di Guantánamo e di Alcatraz", lo definisce
l'esponente politico del centrosinistra aquilano, Giulio Petrilli. Un
autentico bunker, dove è in vigore l'isolamento totale.
Qui alle Costarelle, dove la sezione femminile speciale fu inaugurata
nell'autunno del 2005 da Nadia Lioce, Laura Proietti e Diana Blefari,
brigatiste coinvolte nei delitti Biagi e D'Antona, le detenute sono
trattate peggio dei boss mafiosi. Le loro celle si trovano alla fine di
un lungo tunnel sotterraneo. Sono grandi due metri per due. Si
affacciano sul nulla. E ancora peggio di così va per l'ora d'aria. Alla
maggior parte dei boss mafiosi è consentito socializzare, scambiare due
chiacchiere in gruppi di sei persone. E in luoghi dove un po' d'aria, magari la si respira davvero. Non si
parla certo dei giardini di Boboli. Ma di spazi che a volte arrivano
alle dimensioni di un campo di calcetto.
Non alle Costarelle, dove l'ora
d'aria la si trascorre in una vasca di cemento grande tre metri per
tre. In pratica è un po' come restare in cella. E del sole neanche
l'ombra. Sarà per lo meno l'occasione per scambiare due chiacchiere, si
potrebbe immaginare.
Niente affatto. Alle donne delle Costarelle, Lioce compresa, è
imposto di poter socializzare al massimo con una sola compagna. Se le
due non si piacciono? Pazienza. E se una si ammala? L'ora d'aria te la
fai da sola, come una pazza. E accaduto così poco tempo fa proprio alla
Lioce. La compagna d'aria si ammalò per un bel po' di tempo. E così la
brigatista che sconta la sua pena all'ergastolo, dovette subire
un'inutile e dannosa pena accessoria: la condanna al silenzio totale.
Si sostiene che la socializzazione, in regime di 41 bis, viene
limitata per ragioni di sicurezza. Per impedire che mafiosi si parlino e
possano scambiarsi informazioni. Con le dovute cautele, però chi è al
41 bis può trascorrere l'ora d'aria in gruppi di sei o sette persone.
Non così alle Costarelle, dove tra l'altro, delle nove donne
prigioniere, Lioce è l'unica ergastolana condannata per fatti
terroristici. Di che cosa dovrebbe parlare con le altre detenute
condannate per fatti di associazione mafiosa? E in secondo ordine,
perché le donne di questo carcere possono trascorrere l'ora d'aria in
coppia, e non in gruppo? Abolita la socialità, il desiderio di dire
"come va", di restare umani nonostante tutto, si potrebbe credere che
una detenuta delle Costarelle potrebbe vocarsi per lo meno ai piaceri
dello studio e della lettura. Ma anche in questo caso, vince
l'accanimento. Un accanimento che va oltre il 41 bis.
Le sgradite ospiti del carcere aquiliano possono avere massimo due
libri al mese, e due soli quaderni sui quali scrivere o prendere
appunti. Diplomarsi, laurearsi, dedicarsi a uno studio? Pazza idea. I
libri sono sottoposti a censura. Alle detenute è vietato scambiarsi
libri. E possono averne soltanto se hanno denari da spendere. Un po'
complicato farne a sufficienza, vivendo seppellite vive. Anche ai
familiari e ai parenti, è vietato inviarne in regalo. E comunque deve
trattarsi di libri nuovi. Vecchie edizioni di libri, che qualcuno si
trova in casa, non possono essere consegnati. Immaginate che spasso, per
chi magari vuole studiare e ha bisogno di approfondire su testi
polverosi di cui non ci sono nuove edizioni. In pratica la norma, per
chi sostiene esami universitari. A vivere in condizioni di questo
genere, è facile ammalarsi.
E fino a poco tempo fa, in questi casi, la beffa. Le detenute
potevano essere visitate, anche per problemi intimi, solo in presenza di
una guardia. Quanta intimità. Ma vivere in queste condizioni, significa
anche andare via di testa. È già successo. È accaduto a Diana Blefari,
prigioniera alle Costarelle. "Era caduta in uno stato di profonda
prostrazione e inerzia psicologica. Se ne stava rannicchiata tutto il
giorno nel letto, con la coperta fino agli occhi e senza nessun cenno di
interesse per il mondo", racconta Elettra Deiana.
Piegata dal carcere duro, Blefari si suicidò il 31 ottobre del 2009.
Non si discute qui quali siano le colpe di queste detenute. Qui ci si
chiede se è legittimo sottoporre chi sconta la sua pena, a un surplus di
accanimento. A inutili torture che le circolari del Ministero
autorizzano anche qui a Costarelle. Una tomba dove chi scalcia non può
essere sentito. Dove queste detenute, ormai come spettri, interrogano
tutti noi sul significato di dignità e diritti, che spetterebbero anche
al peggiore dei criminali, in quanto essere umano.
(Da abruzzoweb, la denuncia delle avvocate Carla Serra e Maria Luna) "Il 29 novembre di quest'anno, il personale di Polizia penitenziaria della casa circondariale dell'Aquila, in esecuzione di una disposizione interna all'Istituto, ha sottratto alla disponibilità di Nadia Desdemona Lioce, detenuta in regime di 41 bis presso il carcere dell'Aquila, materiale di cancelleria: libri e quaderni, comunicando alla stessa che da quel momento in poi avrebbe potuto tenere con sé un numero di quaderni non superiore a tre e un numero di libri non superiore a due.
Quest'ultima limitazione costituisce un ulteriore aggravamento della complessiva condizione detentiva in cui si trova la Lioce, che è ristretta all'interno di una sezione della casa circondariale insieme ad altre tre detenute, ma secondo disposizioni ministeriali ciascuna di loro è obbligata ad effettuare la socialità con una sola compagna, con il divieto anche solo di comunicare in qualsiasi forma, con le altre due compagne. A ciò si aggiunga che oramai da oltre tre mesi la Lioce si trova in regime di isolamento disciplinare, a seguito dell'applicazione delle varie sanzioni che vengono eseguite con l'interruzione di un solo giorno l'una dall'altra, determinando di fatto una condizione di totale isolamento perenne. In tale complessiva condizione segregativa si inserisce l'ulteriore divieto relativo alla possibilità di detenere libri e quaderni, che si traduce nella inaccettabile limitazione della naturale estrinsecazione della personalità umana e comporta la cancellazione dei più basilari e inviolabili diritti umani. In realtà, quindi, nel caso in esame, non si pone un problema di interpretazione giuridica di norme o di applicazione del diritto al caso concreto ma ci si trova piuttosto dinanzi ad una vera e propria questione di civiltà giuridica, che postula il seguente interrogativo, se sia davvero accettabile che si applichi nei confronti di alcuni tipi di detenuti un regime di detenzione disumano, violativo dei più elementari e imprescindibili diritti umani dell'individuo. Perché non può esservi dubbio alcuno sulla natura segregativa e 'violenta' di un regime carcerario che si attui con le modalità descritte in premessa, che addirittura inasprisca le già gravissime restrizioni imposte dal 41 bis, che incida tanto pervasivamente fino ad annullarla del tutto, anche su quel minimo di vita di relazione che il detenuto può e deve intrattenere con la popolazione carceraria, che menomi ogni forma di estrinsecazione della personalità umana, che miri ad annientare l'identità stessa dell'individuo detenuto.
Questa natura e non altra può essere attribuita ad una condizione che si esplica attraverso simili modalità: una sezione dove è negata ogni forma di relazione intersoggettiva, dove l'individuo non si relaziona, (perché non può più farlo), con altri individui, e da oggi gli è negato persino il diritto di leggere e scrivere secondo le proprie attitudini ed in tal misura è mortificato nella sua stessa identità, nella sua natura di essere sociale."
(Da abruzzoweb, la denuncia delle avvocate Carla Serra e Maria Luna) "Il 29 novembre di quest'anno, il personale di Polizia penitenziaria della casa circondariale dell'Aquila, in esecuzione di una disposizione interna all'Istituto, ha sottratto alla disponibilità di Nadia Desdemona Lioce, detenuta in regime di 41 bis presso il carcere dell'Aquila, materiale di cancelleria: libri e quaderni, comunicando alla stessa che da quel momento in poi avrebbe potuto tenere con sé un numero di quaderni non superiore a tre e un numero di libri non superiore a due.
Quest'ultima limitazione costituisce un ulteriore aggravamento della complessiva condizione detentiva in cui si trova la Lioce, che è ristretta all'interno di una sezione della casa circondariale insieme ad altre tre detenute, ma secondo disposizioni ministeriali ciascuna di loro è obbligata ad effettuare la socialità con una sola compagna, con il divieto anche solo di comunicare in qualsiasi forma, con le altre due compagne. A ciò si aggiunga che oramai da oltre tre mesi la Lioce si trova in regime di isolamento disciplinare, a seguito dell'applicazione delle varie sanzioni che vengono eseguite con l'interruzione di un solo giorno l'una dall'altra, determinando di fatto una condizione di totale isolamento perenne. In tale complessiva condizione segregativa si inserisce l'ulteriore divieto relativo alla possibilità di detenere libri e quaderni, che si traduce nella inaccettabile limitazione della naturale estrinsecazione della personalità umana e comporta la cancellazione dei più basilari e inviolabili diritti umani. In realtà, quindi, nel caso in esame, non si pone un problema di interpretazione giuridica di norme o di applicazione del diritto al caso concreto ma ci si trova piuttosto dinanzi ad una vera e propria questione di civiltà giuridica, che postula il seguente interrogativo, se sia davvero accettabile che si applichi nei confronti di alcuni tipi di detenuti un regime di detenzione disumano, violativo dei più elementari e imprescindibili diritti umani dell'individuo. Perché non può esservi dubbio alcuno sulla natura segregativa e 'violenta' di un regime carcerario che si attui con le modalità descritte in premessa, che addirittura inasprisca le già gravissime restrizioni imposte dal 41 bis, che incida tanto pervasivamente fino ad annullarla del tutto, anche su quel minimo di vita di relazione che il detenuto può e deve intrattenere con la popolazione carceraria, che menomi ogni forma di estrinsecazione della personalità umana, che miri ad annientare l'identità stessa dell'individuo detenuto.
Questa natura e non altra può essere attribuita ad una condizione che si esplica attraverso simili modalità: una sezione dove è negata ogni forma di relazione intersoggettiva, dove l'individuo non si relaziona, (perché non può più farlo), con altri individui, e da oggi gli è negato persino il diritto di leggere e scrivere secondo le proprie attitudini ed in tal misura è mortificato nella sua stessa identità, nella sua natura di essere sociale."
(Da Secours Rouge) Dal 29 novembre 2014 la direzione del carcere di L’Aquila ha disposto
l’inasprimento del regime di 41-bis applicato contro la compagna Nadia
Lioce, con l’ulteriore limitazione del numero di libri e quaderni da
tenere in cella. Inoltre, da circa cinque mesi la compagna è sottoposta
alla misura dell’isolamento disciplinare, il che determina una
condizione d’isolamento totale e perenne.
Su mandato politico di tutti i Governi succedutisi dal 2005 in poi, sia
di centrodestra che di centrosinistra, il 41-bis contro i compagni è
stato prorogato e inasprito sempre più duramente.
Così lo Stato vuole uccidere Nadia e sventolare la testa di una prigioniera politica davanti al proletariato.
Ma Nadia non si è pentita e vive ancora, così pure il proletariato, perché viva è la necessità della rivoluzione proletaria.
La giustizia borghese, quella di Biagi e di D'Antona, quella di Renzi, Monti, Marchionne, Berlusconi ecc. ha fatto molti più morti di Nadia: morti di stato, morti sul lavoro, morti per fame e per miseria.
Il proletariato comincia a vedere che questa giustizia borghese lo vuole schiavo o morto, comicia a vedere che la giustizia di stato ha 2 pesi e 2 misure: l'una per chi uccide e avvelena gli operai, i proletari, le popolazioni e il territorio, l'altra per chi lotta contro questa devastazione umana ed ambientale.
Ma finché la violenza di stato continuerà a chiamarsi giustizia, la giustizia del proletariato continuerà a chiamarsi violenza.
"Mors tua vita mea" ci ricordano i servi dei padroni in ogni circostanza e in ogni ambito per dividerci, isolarci, desolidarizzarci e vincere.
Ma "il potere politico nasce dalla canna del fucile" ci ricorda Mao Tsé-Tung e la giustizia proletaria vedrà la luce solo quando il proletariato prenderà il potere e si organizzerà in un movimento reale per abolire lo stato di cose presente. Non potrà farlo ignorando le morti, la violenza di stato, mettendo "fiori nei suoi cannoni" o schede in un'urna elettorale, ma potrà farlo solo con la solidarietà verso chi contro questo sistema ha lottato e con chi continua a combatterlo con ogni mezzo necessario.
E necessaria è la rivoluzione. Necessaria è la solidarietà ai rivoluzionari prigionieri.
La giustizia borghese, quella di Biagi e di D'Antona, quella di Renzi, Monti, Marchionne, Berlusconi ecc. ha fatto molti più morti di Nadia: morti di stato, morti sul lavoro, morti per fame e per miseria.
Il proletariato comincia a vedere che questa giustizia borghese lo vuole schiavo o morto, comicia a vedere che la giustizia di stato ha 2 pesi e 2 misure: l'una per chi uccide e avvelena gli operai, i proletari, le popolazioni e il territorio, l'altra per chi lotta contro questa devastazione umana ed ambientale.
Ma finché la violenza di stato continuerà a chiamarsi giustizia, la giustizia del proletariato continuerà a chiamarsi violenza.
"Mors tua vita mea" ci ricordano i servi dei padroni in ogni circostanza e in ogni ambito per dividerci, isolarci, desolidarizzarci e vincere.
Ma "il potere politico nasce dalla canna del fucile" ci ricorda Mao Tsé-Tung e la giustizia proletaria vedrà la luce solo quando il proletariato prenderà il potere e si organizzerà in un movimento reale per abolire lo stato di cose presente. Non potrà farlo ignorando le morti, la violenza di stato, mettendo "fiori nei suoi cannoni" o schede in un'urna elettorale, ma potrà farlo solo con la solidarietà verso chi contro questo sistema ha lottato e con chi continua a combatterlo con ogni mezzo necessario.
E necessaria è la rivoluzione. Necessaria è la solidarietà ai rivoluzionari prigionieri.
(Dall'appello del mfpr) Il Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario fa appello a tutte le compagne, realtà di donne a mobilitarci per difendere le condizioni di vita della prigioniera politica Nadia Lioce.
Nadia è l'unica compagna, insieme a altri 2 prigionieri politici, ad essere ancora sottoposta al regime di 41-bis, inasprito dalla direzione del carcere de L'Aquila da fine novembre 2014 e alla misura dell’isolamento disciplinare, con la conseguenza di una condizione d’isolamento totale e perenne.
L'accanimento dello Stato contro Nadia Lioce non può e non deve passare sotto silenzio, perchè, al di là del giudizio sulle scelte di lotta, politiche da lei fatte e portate avanti, questo accanimento repressivo è per cercare di ammazzare la sua volontà di non cedere, la sua coerenza nella battaglia contro questo Stato.
Lo Stato borghese vuole le donne subordinate e oppresse e, se si ribellano e lottano, pentite o dissociate. Chi non ci sta viene doppiamente repressa, anche perchè ha osato...
Per questo, tutte le donne, le compagne che lottano per spezzare le doppie catene di questo sistema sociale devono far sentire la solidarietà per Nadia.
Le donne combattenti, la loro vita, le loro scelte, non vanno ricordate solo dopo morte o solo per il passato. Oggi c'è una donna combattente che per fortuna lo Stato non ha ucciso, o non è riuscito a stroncarne la volontà. Oggi essere dalla parte delle donne che lottano per dare l'assalto al cielo, è anche difendere Nadia Lioce.
Nadia è l'unica compagna, insieme a altri 2 prigionieri politici, ad essere ancora sottoposta al regime di 41-bis, inasprito dalla direzione del carcere de L'Aquila da fine novembre 2014 e alla misura dell’isolamento disciplinare, con la conseguenza di una condizione d’isolamento totale e perenne.
L'accanimento dello Stato contro Nadia Lioce non può e non deve passare sotto silenzio, perchè, al di là del giudizio sulle scelte di lotta, politiche da lei fatte e portate avanti, questo accanimento repressivo è per cercare di ammazzare la sua volontà di non cedere, la sua coerenza nella battaglia contro questo Stato.
Lo Stato borghese vuole le donne subordinate e oppresse e, se si ribellano e lottano, pentite o dissociate. Chi non ci sta viene doppiamente repressa, anche perchè ha osato...
Per questo, tutte le donne, le compagne che lottano per spezzare le doppie catene di questo sistema sociale devono far sentire la solidarietà per Nadia.
Le donne combattenti, la loro vita, le loro scelte, non vanno ricordate solo dopo morte o solo per il passato. Oggi c'è una donna combattente che per fortuna lo Stato non ha ucciso, o non è riuscito a stroncarne la volontà. Oggi essere dalla parte delle donne che lottano per dare l'assalto al cielo, è anche difendere Nadia Lioce.
DIFENDIAMO LE CONDIZIONI DI VITA DI NADIA LIOCE!
STOP AL 41-bis, AL REGIME DI ISOLAMENTO!
Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario
18 marzo 2015
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