Ma questa volta gli stessi inquirenti ammettono che le cause del femminicidio non sono "passionali", ma il frutto di un disagio per la crisi e la mancanza di lavoro.
E proprio nei giorni precedenti l'8 marzo le cronache parlano di 8 casi di violenza sulle donne solo nel Cuneese. Il minimo comune denominatore è sempre lo stesso: la crisi. E sono le donne proletarie le doppie vittime di questa violenza. Basti leggere la mail di Nada alla redazione di Donneuropa, di circa un anno fà, per vedere il nesso immediato che le femministe borghesi continuano a nascondere, tra violenza di classe e di genere, tra crisi e femminicidi:
"Non ho un lavoro xkè non lo trovo, è difficile, a 44 anni, e con i tempi che corrono. Mio marito mi dà solo 40, max 50 euro da gestirmi al mese. Oggi addirittura mi ha accusata di avergli rubato 100 euro. Io non so nemmeno dove li nasconda, forse lo fa apposta xkè ce ne sono pochi, così non me ne dà più, visto la crisi. Ma io penso che marito e moglie la crisi la risolvono insieme”
Come mfpr abbiamo già indagato sul legame tra crisi e femminicidi.
Come scrivevamo nell'opuscolo "Uccisioni delle donne, oggi" del MFPR: "... La famiglia, soprattutto proletaria, è il luogo centrale in cui si gestisce un’economia sociale sempre più misera, si amministrano i salari sempre più ridotti o inesistenti, si gestiscono gli aumenti del costo della vita. La famiglia proletaria garantisce nella fase di attacco, di crisi, di attutire l’impatto devastante di queste politiche. Ma l'assistenza tra familiari, da normale relazione tra persone basata sui legami sentimentali diventa un obbligo, diventa uno schiavismo insopportabile per le donne, e spesso provoca depressione e rotture. Nella famiglia ritornano i lavoratori licenziati, restano per anni figli disoccupati.... La famiglia, per questo sistema fa da paracadute alle frustrazioni, alla messa in crisi di posizioni di privilegio dell’uomo in famiglia...
E ci sono le famiglie dei lavoratori, dei precari, dei disoccupati, in cui nel come tirare avanti, nel come arrangiarsi, nelle speranze deluse di una vita migliore, si consuma la vita e anche spesso i sentimenti... la proprietà può essere solo verso la donna e i figli; il maschio schiacciato sul lavoro, nella società si rivale sulla “propria” moglie...".
Questo e tanto altro ancora mostra che nel legame crisi/femminicidi non ci sono misure governative, interne allo Stato del sistema capitalista - causa delle crisi economiche - che possano fermare gli assassini delle donne.
Ma solo la lotta di classe rivoluzionaria contro questo sistema "assassino" e in essa la lotta delle donne, è la strada per opporsi realmente ai femminicidi, alla guerra contro le donne, che con l'accentuarsi della crisi si fa sempre più intensa
E proprio nei giorni precedenti l'8 marzo le cronache parlano di 8 casi di violenza sulle donne solo nel Cuneese. Il minimo comune denominatore è sempre lo stesso: la crisi. E sono le donne proletarie le doppie vittime di questa violenza. Basti leggere la mail di Nada alla redazione di Donneuropa, di circa un anno fà, per vedere il nesso immediato che le femministe borghesi continuano a nascondere, tra violenza di classe e di genere, tra crisi e femminicidi:
"Non ho un lavoro xkè non lo trovo, è difficile, a 44 anni, e con i tempi che corrono. Mio marito mi dà solo 40, max 50 euro da gestirmi al mese. Oggi addirittura mi ha accusata di avergli rubato 100 euro. Io non so nemmeno dove li nasconda, forse lo fa apposta xkè ce ne sono pochi, così non me ne dà più, visto la crisi. Ma io penso che marito e moglie la crisi la risolvono insieme”
Come mfpr abbiamo già indagato sul legame tra crisi e femminicidi.
Come scrivevamo nell'opuscolo "Uccisioni delle donne, oggi" del MFPR: "... La famiglia, soprattutto proletaria, è il luogo centrale in cui si gestisce un’economia sociale sempre più misera, si amministrano i salari sempre più ridotti o inesistenti, si gestiscono gli aumenti del costo della vita. La famiglia proletaria garantisce nella fase di attacco, di crisi, di attutire l’impatto devastante di queste politiche. Ma l'assistenza tra familiari, da normale relazione tra persone basata sui legami sentimentali diventa un obbligo, diventa uno schiavismo insopportabile per le donne, e spesso provoca depressione e rotture. Nella famiglia ritornano i lavoratori licenziati, restano per anni figli disoccupati.... La famiglia, per questo sistema fa da paracadute alle frustrazioni, alla messa in crisi di posizioni di privilegio dell’uomo in famiglia...
E ci sono le famiglie dei lavoratori, dei precari, dei disoccupati, in cui nel come tirare avanti, nel come arrangiarsi, nelle speranze deluse di una vita migliore, si consuma la vita e anche spesso i sentimenti... la proprietà può essere solo verso la donna e i figli; il maschio schiacciato sul lavoro, nella società si rivale sulla “propria” moglie...".
Questo e tanto altro ancora mostra che nel legame crisi/femminicidi non ci sono misure governative, interne allo Stato del sistema capitalista - causa delle crisi economiche - che possano fermare gli assassini delle donne.
Ma solo la lotta di classe rivoluzionaria contro questo sistema "assassino" e in essa la lotta delle donne, è la strada per opporsi realmente ai femminicidi, alla guerra contro le donne, che con l'accentuarsi della crisi si fa sempre più intensa
(Da il Centro)
VASTO. Una coppia ordinaria che stava vivendo un momento difficile a
causa della crisi finanziaria. E forse è stata proprio la crisi, unita
alla mancanza di un lavoro, la causa del raptus che ha spinto domenica
sera Joseph Martella, 56 anni, a strangolare Daniela Marchi, 53 anni, la
donna con cui conviveva da 4 mesi. «Un omicidio d’impeto»: così lo ha
definito il vicequestore Alessandro Di Blasio, dirigente del
commissariato di Vasto, fra i primi ad intervenire sul luogo del delitto
insieme al servizio di emergenza sanitaria 118, al sostituto
procuratore Giancarlo Ciani e al medico legale Pietro Falco.
È stato proprio Martella, originario di Strasburgo ma da tanti anni residente a Vasto, a chiamare il 118 dopo aver chiesto aiuto a due vicini di casa. Voleva che qualcuno lo aiutasse a rianimare la donna. Sperava che non fosse morta ma solo svenuta. «Ho strangolato la mia compagna. Non so come ho fatto», ha dichiarato a caldo ai soccorritori Martella. All’arrivo del suo avvocato, Massimiliano Baccalà, non ha detto più una parola. Interrogato dal pm, si è avvalso della facoltà di non rispondere.
È stato proprio Martella, originario di Strasburgo ma da tanti anni residente a Vasto, a chiamare il 118 dopo aver chiesto aiuto a due vicini di casa. Voleva che qualcuno lo aiutasse a rianimare la donna. Sperava che non fosse morta ma solo svenuta. «Ho strangolato la mia compagna. Non so come ho fatto», ha dichiarato a caldo ai soccorritori Martella. All’arrivo del suo avvocato, Massimiliano Baccalà, non ha detto più una parola. Interrogato dal pm, si è avvalso della facoltà di non rispondere.
Gli
investigatori hanno subito escluso il movente passionale. La gelosia
questa volta non c’entra nulla. «Lo strangolamento pare essere piuttosto
la punta di un iceberg», annota il vicequestore Di Blasio. La coppia
discuteva. Le liti erano aumentate dopo che a gennaio lui aveva deciso
di lasciare il lavoro notturno che svolgeva in un bar di San Salvo.
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