Un articolo apparso il 7 marzo sul giornale Il Manifesto rivela i timori di una certa sinistra, del femminismo borghese, che dietro il sostegno alla battaglia delle donne curde si insinui anche un sostegno alla lotta armata, alla violenza rivoluzionaria, attivando una rivolta nuova anche in Italia, alimentata dal peggioramento delle condizioni di esistenza delle donne, dalle discriminazioni.
NOI LO SPERIAMO....
(da Il Manifesto)
Un nuovo modello di rivolta di Bia Sarasini,
"Vediamo solo le trecce nere, della donna certamente giovane che ha un
fucile mitragliatore in spalla, il viso è tutto girato dall'altra parte.
Una combattente, immagine forte per una delle tante
manifestazioni in Italia che oggi hanno accolto l’invito delle
donne curde di dedicare la giornata internazionale delle donne 2015
alla loro lotta. Non è mai successo, che io mi ricordi, che donne
armate siano state scelte a rappresentare l’8 marzo.
Neppure nel 1977, anno piuttosto turbolento... La donna armata dice qualcosa di nuovo, segnala un cambiamento... L’invito delle donne curde dice: «Organizziamo la resistenza ovunque nel mondo le donne subiscano violenza. Diffondiamo insieme lo spirito di resistenza che ci unisce e ci rafforza contro ogni manifestazione del sistema di dominio patriarcale»... Senza dubbio le combattenti hanno acceso l’immaginazione, hanno attivato un fuoco latente. Suscitano un’enorme ammirazione, combattono per la libertà loro e delle loro figlie, contro un esercito, quello dell’Isis, per il quale essere donne è una colpa, e fonte di contaminazione, all’interno di un’organizzazione, il Pkk, che ha fatto dell’uguaglianza tra donne e uomini un proprio valore.
Eppure. Come la mettiamo con la non violenza? Con la convinzione femminista che la guerra è una vicenda maschile? L’Isis è un nemico che mette a tacere qualunque dubbio, a proposito di guerra? Sono domande aperte, tutte da affrontare. E inquieta che non ci sia nessuna (e nessuno) che le raccolga. Non tutte le manifestazioni in Italia dedicate alla lotta delle donne curde mettono direttamente in scena una donna armata. In ogni caso un conto è un popolo in guerra, che difende la propria vita, altra è la situazione qui, in Italia.
Ma bisogna dirlo. In tutte queste manifestazioni si avverte un inedito spirito di rivolta. E non solo tra le più giovani e radicali...
È la crisi che ha rimescolato le carte, che ha obbligato a guardare con occhi diversi le storie di ciascuna e ciascuno. Se la parità di retribuzione tra donne e uomini è un problema aperto, e giustamente rivendicato, che deve dire chi si trova incatenata al meccanismo dei piccoli lavori precari equamente mal retribuiti? Per non dire sottopagati? Lo spirito di rivolta nasce qui, in condizioni materiali di esistenza..."
Neppure nel 1977, anno piuttosto turbolento... La donna armata dice qualcosa di nuovo, segnala un cambiamento... L’invito delle donne curde dice: «Organizziamo la resistenza ovunque nel mondo le donne subiscano violenza. Diffondiamo insieme lo spirito di resistenza che ci unisce e ci rafforza contro ogni manifestazione del sistema di dominio patriarcale»... Senza dubbio le combattenti hanno acceso l’immaginazione, hanno attivato un fuoco latente. Suscitano un’enorme ammirazione, combattono per la libertà loro e delle loro figlie, contro un esercito, quello dell’Isis, per il quale essere donne è una colpa, e fonte di contaminazione, all’interno di un’organizzazione, il Pkk, che ha fatto dell’uguaglianza tra donne e uomini un proprio valore.
Eppure. Come la mettiamo con la non violenza? Con la convinzione femminista che la guerra è una vicenda maschile? L’Isis è un nemico che mette a tacere qualunque dubbio, a proposito di guerra? Sono domande aperte, tutte da affrontare. E inquieta che non ci sia nessuna (e nessuno) che le raccolga. Non tutte le manifestazioni in Italia dedicate alla lotta delle donne curde mettono direttamente in scena una donna armata. In ogni caso un conto è un popolo in guerra, che difende la propria vita, altra è la situazione qui, in Italia.
Ma bisogna dirlo. In tutte queste manifestazioni si avverte un inedito spirito di rivolta. E non solo tra le più giovani e radicali...
È la crisi che ha rimescolato le carte, che ha obbligato a guardare con occhi diversi le storie di ciascuna e ciascuno. Se la parità di retribuzione tra donne e uomini è un problema aperto, e giustamente rivendicato, che deve dire chi si trova incatenata al meccanismo dei piccoli lavori precari equamente mal retribuiti? Per non dire sottopagati? Lo spirito di rivolta nasce qui, in condizioni materiali di esistenza..."
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