06/07/21

NATASCIA SAVIO, IN SCIOPERO DELLA FAME PER VEDERE RICONOSCIUTI DIRITTI FONDAMENTALI

Riceviamo e diffondiamo:

NATASCIA SAVIO, IN SCIOPERO DELLA FAME PER VEDERE RICONOSCIUTI DIRITTI FONDAMENTALI

Natascia Savio, anarchica torinese imputata nei processi Scintilla a Torino e Prometeo a Genova, è in sciopero della fame dal 16 giugno scorso per protestare contro il trasferimento, che risale ormai al 16 marzo scorso, dal carcere di Piacenza alla famigerata struttura di Santa Maria Capua Vetere, a oltre 800 chilometri da Torino. Quello del 16 giugno a Santa Maria Capua Vetere è stato il secondo trasferimento, dopo le due settimane trascorse nel carcere di Vigevano dov’era stata trasferita temporaneamente per avvicinarla al tribunale di Torino, dove ha luogo il processo Scintilla. Per poter rimanere nel carcere di Vigevano, l'avvocato Claudio Novaro e Natascia hanno presentato diverse istanze, tutte respinte. E’ la stessa Natascia che spiega le ragioni della sua protesta:

[…] Dal giorno in cui mi hanno trasferita qui, tre mesi fa, non ho più potuto comunicare decentemente con il mio avvocato: i colloqui sono stati riaperti, quindi niente video chiamate né chiamate su richiesta del legale, le telefonate sono una al mese di dieci minuti, anche per gli imputati e anche per chi sta a 1.000 chilometri dalla sede del processo o da casa. Se è in vena, il direttore può concederne una seconda straordinaria nel corso dello stesso mese, ma ovviamente, in quanto concessione, non ha nessun obbligo di farlo, e in ogni caso è fuori discussione superare le due mensili. Venti minuti al mese, in una stanzetta soffocante, e nell’orario e giorno prestabiliti, augurandosi che il tuo difensore quel giorno sia in studio. Venti minuti al mese, da un mese e mezzo prima che iniziasse il processo, sino ad oggi, che il dibattimento è sostanzialmente giunto al termine. […] Ci restano due udienze, prima della requisitoria, due udienze in cui si sarebbe dovuto ragionare di dichiarazioni spontanee, esame e controesame, ma a quanto pare mi toccherà ragionare in solitaria. A pensar male, sembra quasi che si faccia di tutto per impedire una difesa “dignitosa”, anzi, una difesa qualunque… non sia mai che l’iperbolico e morbosetto castello di carte dell’accusa dovesse iniziare a scricchiolare. Molto meglio se questa possibilità, quella di difendersi in aula, è ridotta al lumicino. Non mi dilungherò qui su come la videoconferenza si sposi alla perfezione con questa strategia, di questo si è già discusso molto (anche se forse non abbastanza). Si sa, spesso a pensar male si pensa bene. Dei venti giorni trascorsi a Vigevano, quindici li ho trascorsi in isolamento sanitario e uno in udienza, altri due a fare i bagagli tra andata e ritorno… insomma, nemmeno questa è stata un’occasione per parlare con l’avvocato, visto che gli isolati non possono ricevere visite. Inutile aggiungere che ora sono di nuovo in quarantena. Insomma, bando alle ciance: lucidamente consapevole della strategia punitiva (e preventiva?) che sta ponendo in essere il DAP nei miei confronti, e contemporaneamente offuscata di rabbia e disgusto, ho deciso che, se non ho mezzi per interpormi concretamente alle loro logiche vendicative, ho perlomeno la possibilità di non lasciarglielo fare con la mia collaborazione. Alla notizia del mio ritorno a S. Maria, alle ore 18.00 del 16.06.21, ho immediatamente comunicato l’inizio di uno sciopero della fame a tempo indeterminato. […]”.

Dopo aver letto queste parole, viene da domandarsi: le detenute e i detenuti hanno dei diritti? La risposta è sì, sulla carta, troppo spesso no, come in questo caso, nella pratica. Ecco di seguito alcuni stralci della “Carta dei diritti e dei doveri dei detenuti”, consultabile sul sito www.giustizia.it:

Il detenuto ha il diritto di avvertire i propri familiari, sia in caso di provenienza dalla libertà, sia in caso di trasferimento da altro istituto.

Il detenuto ha diritto ad avere colloqui con il proprio difensore sin dal momento dell’ingresso e per tutta la permanenza in carcere, negli orari e con le modalità stabilite, facendone richiesta attraverso l’Ufficio Matricola.

E’ favorito il criterio di destinare i detenuti ad istituti prossimi alla residenza delle famiglie. I detenuti hanno il diritto a non essere trasferiti d'ufficio se non per gravi e comprovati motivi di sicurezza, per esigenze dell’istituto e per motivi di giustizia.

I detenuti e gli internati hanno il diritto di avere colloqui visivi con i familiari o con persone diverse (quando ricorrono ragionevoli motivi), oltre che con il difensore e con il garante dei diritti dei detenuti.

Ogni detenuto può ricevere quattro pacchi mensili non eccedenti i 20 kg, sia in occasione dei colloqui, sia se siano stati spediti per posta qualora nei quindici giorni precedenti egli non abbia fruito di alcun colloquio visivo. E’ assicurata la relazione dei detenuti con le proprie famiglie. Ai familiari deve essere comunicato il trasferimento ad altra struttura detentiva.

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