La straziante testimonianza di Sophia dall’inferno libico, dove l’Italia investe soldi per bloccare i migranti.
Valerio Nicolosi 14 Luglio 2021
“Dico che preferisco morire nel mare che vivere quello che sto vivendo, preferisco morire nel mare che essere violentata, preferisco morire nel mare che essere torturata”. La testimonianza di Sophia (nome di fantasia) è straziante ma racconta la sua condizione e quella di tutte le altre donne migranti in Libia.
Sophia viene dalla Costa d’Avorio dove nel 2002, durante il tentativo di colpo di Stato contro Gbagbo, viene prima stuprata da quattro soldati e successivamente gli stessi soldati le sparano due colpi di pistola in una spalla. In ospedale scopre che ha contratto una malattia sessuale e il marito decide di abbandonarla per strada. Così inizia il calvario di Sophia, lungo quasi 20 anni e che passa prima attraverso la Liberia per poi proseguire verso il Niger, e infine la Libia: “Ora basta”
Stupri, torture, schiavitù: la realtà dei migranti nel Paese Nord africano è un inferno fatto di vere e proprie “cessioni” da un padrone all’altro, che può usare gli schiavi come preferisce. Sophia ogni sei mesi cambiava padrone, ma gli abusi erano gli stessi: “lavoravo giorno e notte e per sei mesi ogni notte abusava sessualmente di me” racconta tra le lacrime.
In Libia è arrivata nell’estate del 2017 e dopo diverse “cessioni” da un padrone all’altro si è guadagnata la possibilità di arrivare in Europa, motivo per cui era partita dalla Liberia.
“Eravamo 150 su di un gommone ma dopo meno di 24 ore si è sgonfiato e sei persone sono cadute in mare e siamo riusciti a recuperare solo un corpo. Dopo è arrivata una barca (della cosiddetta Guardia Costiera libica ndr) e ci ha riportato al porto di Tripoli” racconta Sophia.
Come in ogni respingimento operato dai libici le persone vengono portate nelle prigioni governative, molte delle quali finanziate dal governo italiano sulla base del Memorandum d’Intesa tra Italia e Libia del febbraio 2017, e per loro ricominciano le torture, i ricatti, gli stupri.
“Dopo 4 notti in una prigione senza finestre che sembrava l’inferno, hanno fatto uscire le donne e ci hanno stuprato tutte, tutte” dice Sophia ricordando quei giorni e aggiunge: “ho conosciuto una donna, era malata ma non sapeva il perché. L’ho curata per 4 mesi e poi in una settimana è morta. Non avevamo né cibo né acqua, ecco perché è morta nell’indifferenza totale”, chiosa.
Domani, 15 luglio 2021, il parlamento rinnova il finanziamento delle missioni militari all’estero e quello di cooperazione, tra le quali quella che finanzia la cosiddetta Guardia Costiera libica.
Dalla relazione che verrà votata della Camera dei Deputati si legge: “è stata registrata una crescente capacità della LNCG (Libyan National Coast Guard) di base a Tripoli nella gestione e coordinamento delle attività di pattugliamento e soccorso marittimo, prova di prontezza e volontà nell’assumere la responsabilità delle operazioni SAR”, in piena linea con il Presidente del Consiglio Mario Draghi che durante la sua visita a Tripoli ha ringraziato il governo libico “per i salvataggi in mare”, nonostante per le leggi internazionali siano dei respingimenti illegali visto che la Libia non è un Paese sicuro e dove l’articolo 33 della Convenzione di Ginevra sulla richiesta d’asilo non può essere garantito.
La relazione non tiene conto nemmeno delle numerose denunce da parte dell’ONU e delle ONG che operano in Libia e nel Mediterraneo Centrale, per ultima quella di Sea Watch, che dall’aereo che usano per monitorare proprio le violazioni dei diritti umani in mare, ha ripreso la cosiddetta Guardia Costiera libica che da una motovedetta donata dall’Italia sparava contro un gommone di migranti che non volevano essere intercettati e respinti in Libia.
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