In videoconferenza il 7 luglio a L'Aquila, Nadia indossava pantaloni rossi e maglietta verde pisello.
Un abbigliamento in apparente contrasto con l'immaginario collettivo su cosa sia la tortura bianca e perchè essa sia chiamata così.
La chiamano "tortura bianca" perché sembra sia stata applicata per la prima volta in Iran sui prigionieri politici, attraverso deprivazione sensoriale su larga scala, a partire da quella visiva: tutto ciò con cui si è in contatto è bianco, anche il vestiario. Non ci sono ombre all'interno della cella. Anche il cibo è bianco e insapore, scondito, per deprivare i sensi del gusto e dell’olfatto. Le celle sono insonorizzate, si viene deprivati anche del tatto (celle lisce e senza finestre).
Ma Nadia indossava pantaloni rossi e maglietta verde e ora sappiamo che le celle della sezione femminile speciale del carcere aquilano sono abbastanza grandi, con una finestra luminosa e sufficientemente areate e riscaldate. Le condizioni materiali di detenzione in 41 bis hanno infatti subito negli ultimi anni un adeguamento, anche perché spesso le visite ispettive, come quelle del Comitato europeo per la prevenzione della tortura, si limitano a guardare solo certi aspetti (vivibilità delle celle singole e possibilità di usufruire dell’ora d’aria in uno spazio grande e attrezzato)
Ma la tortura del 41 bis era e resta invisibile, non è né bianca né nera; è trasparente, impalpabile; è tortura sociale e viene praticata con l'isolamento totale e vessazioni continue.
Nadia Lioce è in 41 bis dal settembre 2005, 12 anni di isolamento assoluto. Ma sin dal suo arresto, nel 2003, è stata, di fatto, in regime di isolamento. Inizialmente poteva usufruire di 2 colloqui al mese con i familiari, perchè il tribunale di sorveglianza aveva ritenuto che, trattandosi di prigioniera politica e non appartenente ad organizzazione di criminalità organizzata, non fosse la famiglia il veicolo di contatto verso l'esterno. Successivamente il Ministero è intervenuto negando la possibilità, ai tribunali di sorveglianza, di poter differenziare queste posizioni e quindi anche per lei, così come per gli altri prigionieri politici e per tutti i detenuti in 41 bis, la regola è di un colloquio mensile della durata di un'ora.
In 41 bis i detenuti e le detenute possono uscire dalla cella per due ore al giorno, una per l'aria e una per la saletta di socialità). Mentre nelle carceri maschili i gruppi di socialità possono essere composti da 4 persone al massimo, nella sezione femminile speciale del carcere dell'Aquila, i gruppi di socialità possono essere composti al massimo da 2 detenute.
E Nadia ha rifiutato di entrare in un “gruppo”di socialità, sia perché le donne in 41 bis sono 7 e inevitabilmente una di loro ne sarebbe rimasta esclusa, sia perché la compagna di socialità, comunque decisa dalla direzione del carcere, avrebbe rappresentato un vincolo alle sue azioni di lotta, perché ogni qualvolta avesse deciso di protestare contro le vessazioni continue all'interno del carcere, ne avrebbe pagato le conseguenze anche l’altra detenuta.
Il prossimo 24 novembre si svolgerà la terza udienza del processo che vede Nadia imputata per "disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone".
Da un'intervista a Caterina Calia, a cura di "Pagine contro la torura", ecco come si sono svolti i fatti:
https://drive.google.com/file/d/1yYo2KGiJUxx-RYYwOJobMkhVDTeqGyVR/view?usp=sharing
L'intervista integrale potete trovarla su https://www.ondarossa.info/newstrasmissioni/2017/11/intervista-sul-41bis-caterina-calia
e a questo indirizzo l'appello di "Pagine contro la tortura": https://paginecontrolatortura.noblogs.org/categoria/diario/
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