Usb e lo sciopero delle donne
L’8 marzo sciopero globale. Il pane e
le rose
“Quello che le donne che lavorano vogliono è il
diritto di vivere, non solo di esistere … il diritto alla vita, al sole e alla
musica e all’arte … la lavoratrice deve avere il pane, ma deve avere anche le
rose” (Rose Schneiderman – sindacalista, 1912).
Quest’anno l’8 marzo si
riappropria del suo significato originario: la lotta. Dalla rivolta delle
operaie tessili americane dei primi del ‘900 per l’aumento del salario, la
riduzione dell’orario di lavoro e il diritto di voto, ai movimenti femministi
degli anni ’70 in grado di conquistare diritti fondamentali come quello
all’aborto legale.
La Giornata Internazionale della Donna, quest’anno, sarà
anche il centenario della rivolta delle donne di Pietrogrado contro lo Zar,
avvenuta il 23 febbraio 1917, l’8 marzo del nostro calendario, che ha dato
inizio alla Rivoluzione di Febbraio.
Uno sciopero globale, già 40 i Paesi
coinvolti, per affermare che se la violenza di genere è un fenomeno strutturale
e sistemico che attraversa tutti gli ambiti dell’esistenza delle donne, allora
bisogna mettere in campo risposte capaci di pensare una trasformazione radicale
della società e delle
relazioni, come anche delle condizioni di vita e di
lavoro.
Quella delle donne è una battaglia che da culturale ed emancipatoria
si fa vertenziale e sindacale.
Lo sciopero dunque, non tanto e non solo come
strumento politico ma come sostegno alla piattaforma del Piano Femminista
Antiviolenza che da mesi si sta scrivendo in animate assemblee e tavoli
nazionali in contrapposizione a quello governativo e sul quale le donne
pretendono risposte concrete.
Uno sciopero della produzione, per denunciare
le discriminazioni di genere e le molestie sui luoghi di lavoro; le
discriminazioni salariali, fatte di livelli contrattuali più bassi, di una
retribuzione fino al 20% inferiore a quella degli uomini a parità di mansione,
di ricorso massiccio al part-time involontario, di lavori non qualificati
nonostante una maggiore scolarizzazione, di richiesta di dimissioni in bianco
all’atto dell’assunzione, di maggiori contratti atipici e precari da giovani e
di pensioni da fame in vecchiaia.
Per rivendicare il diritto ad un welfare
universale, al reddito sociale, alla casa, al lavoro e alla parità salariale;
all’educazione scolastica, alle strutture sanitarie pubbliche, ai consultori
liberi da obiettori; alla formazione di operatori sociali, sanitari e del
diritto; per il riconoscimento ed il finanziamento dei Centri Antiviolenza ed il
sostegno economico alle donne che denunciano le violenze.
Per riaffermare
l'autodeterminazione delle donne su lavoro, salute, affettività, diritti, spazi
sociali e politici.
Uno sciopero dal lavoro riproduttivo per denunciare la
dimensione di sfruttamento del lavoro domestico e di cura, il peso che questo
continua ad avere nella vita delle donne anche a fronte dei continui tagli al
welfare. E quando non siamo noi a sostenere questo peso, il prezzo della nostra
libertà viene pagato dalle donne migranti.
Uno sciopero di tutti perché il
lavoro femminile ha finito per svolgere negli anni la stessa funzione del lavoro
precario e migrante: livellamento in basso dei salari e peggioramento delle
condizioni di lavoro generali.
Come affermano le donne argentine, principali
artefici del percorso Nonunadimeno che dal 26 novembre 2016 anima le piazze del
mondo, nel loro appello per lo sciopero internazionale dell’8 marzo “noi ci
organizziamo per cambiare tutto”.
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