Il Partido Popular guidato da Rajoy mette mano alla legge sull'interruzione della gravidanza
Quando
le attiviste femministe dicono che i diritti acquisiti dalle donne sono
fragili spesso vengono derise o liquidate come noiose e vetuste
cassandre, forse seconde solo ai vecchi partigiani, che mettono in
guardia chi è più giovane sulla fragilità della democrazia e sul
pericolo, sempre in agguato, del palesarsi di vecchi e nuovi fascismi e
totalitarismi.
Sulla democrazia e
l'antifascismo, tuttavia, più voci si levano per unirsi al coro di
monito, mentre sui diritti delle donne si fa fatica: molti se e molti ma
abitano il percorso di libertà delle donne, ad ogni latitudine e in
ogni orizzonte politico.
La prova, ultima, in ordine di tempo, che conferma la veridicità di queste paure, viene dalla Spagna.
A
soli tre anni dalla stesura della legge spagnola sull'interruzione di
gravidanza, che estendeva i casi nei quali l'intervento poteva essere
effettuato, nominando e valorizzando l'autodeterminazione della donna,
ora si torna indietro.
Dopo l'effimera
stagione della sinistra di Zapatero, che aveva fatto sognare una
pacifica onda antifondamentalista nell'Europa cattolica ora il Partido
Popular guidato da Rajoy mette mano alla legge sull'interruzione di
gravidanza, e l'obiettivo è sempre lo stesso, comune in ogni paese dove
si torna a stringere la morsa sui diritti riproduttivi: eliminare la
discrezionalità da parte della donna.
Violenza
sessuale, rischio di salute per la madre e deformità del feto erano
infatti i casi nei quali l'intervento era possibile, mentre ora la
proposta è di depennare dalla lista dei casi leciti il terzo: la
condizione di salute del feto, e una sua eventuale malformazione, non
saranno più motivo valido per interrompere la gravidanza, fa sapere
sulla stampa Alberto Ruiz-Gallardón, Ministro della Giustizia.
Di
più: si parla di una Commissione che valuti caso per caso
nell'evenienza di stupro (reato sempre opinabile) e questa commissione
si esprimerebbe sul livello di danno emotivo subito dalla donna,
sufficiente o meno a giustificare l'intervento.
Fa
impressione che di maternità si occupi un uomo, cattolico integralista e
ministro della giustizia: il corpo riproduttivo femminile è dunque
materia legale e penale, non corpo individuale di un essere umano,
vicenda personale e collettiva nella quale molti aspetti sono in gioco,
come l'affettività, la responsabilità, la relazione con l'altro genere,
la capacità emotiva e materiale nella decisione di mettere al mondo.
La
storia del pensiero umano, sin da Aristotele, ci dice che gli uomini
hanno sempre temuto la forza emergente delle donne, e così come la colta
Atene del grande filosofo era in pieno travaglio sulla questione dei
diritti così oggi accade a noi, a migliaia di anni di distanza, a
dimostrazione che l'umanità non è in grado di stabilire principi
universali che abbiamo tenuta nel tempo.
La
differenza tra quell'epoca e la nostra sta nel fatto che oggi noi
sappiamo come accade la vita nel corpo femminile: ma la paura di questo
potere, che andrebbe accettato e aiutato a crescere
nell'autodeterminazione che il suo esercizio comporta, è identica a
quella dei millenni passati. Paura, arroganza e ignoranza che hanno
lasciato spazio, sul piano giuridico, a una tesi morale, e ad una
impostazione che sconfina nella visione etico - confessionale della
funzione dello stato, che assesta una spallata poderosa ai principi di
autodeterminazione e di uguaglianza di diritti tra i viventi. A questo
porta la paura delle differenze: allo stabilire, contro il diritto delle
donne, contro la loro soggettività, contro la loro responsabilità, un
assurdo primato dell'embrione, del feto, del nascituro, che è un
progetto di vita e che non può giungere ad essa se la matrice della vita
di quell'embrione, ovvero la donna, non decide di portarlo a termine.
Non
ci può essere un progetto di vita se chi la vita la costruisce non è
pronta a farlo. E' così, eppure lo si continua a negare.
In
altre situazioni questo banale assunto sarebbe condiviso, ma accade che
la logica si inceppi e scattino le censure ideologiche e patriarcali se
in gioco c'è il corpo di una donna e la sua insindacabile
disponibilità, o indisponibilità, a offrire la vita. La materia della
riproduzione umana, e la connessa autodeterminazione delle donne, è un
tema di grandissima portata: rappresenta la base dell'identità
femminile, del suo diritto di cittadinanza e del relativo diritto di
cittadinanza maschile, indica una strada per legiferare in materie nuove
e difficili attraverso un dibattito ampio, reale.
E',
anche, il metro per capire quali limiti e quali possibilità ci sono
nella relazione tra i due generi, quale è il livello di civiltà di una
collettività. Suggerisce un rapporto ricco di umanità con la ricerca
scientifica non in modo astratto, ma in relazione ai corpi viventi,
pensanti ed emozionati dalle esperienze di vita che attraversano.
Come
immaginare che di queste cose si possa fare scempio offrendo con
leggerezza, e arroganza tutta interna all'ansia di controllo sul corpo
femminile, un diritto all'embrione, facendone un nuovo soggetto
contrapposto di fatto alla soggettività della madre che lo accoglie?
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