Carlo Baffi, Vincenzo Panasiti, Alessandro De Antoni, Cristiano
Resmini, Alberto Strambaci, Fabrizio Maniago, Thomas Battorti, Roberto Savron, Ivan
Tikulin. Tutti assolti i 9 poliziotti che nell’aprile 2012 sequestrarono Alina
Bonar Diachuk, detenendola illegalmente per 2 giorni in una cella video
sorvegliata di “sicurezza” del commissariato di Villa Opicina e lasciandola
agonizzante per 40 minuti, impiccata a un termosifone.
Oltre ad Alina, sono stati accertati ben 175 casi di violenze e abusi su cittadini stranieri, trattenuti in quel commissariato senza alcun provvedimento restrittivo dell’Autorità giudiziaria.
Vicino alla sua scrivania Carlo Baffi, funzionario responsabile dell’Ufficio stranieri della Questura, teneva in bella vista un cartello con su scritto “Ufficio Epurazione”, una foto di Benito Mussolini e un fermacarte con il motto fascista “Boia chi molla”.
Altro materiale a contenuto nazista e fascista fu ritrovato anche a casa del dirigente: libri come il “Mein Kampf” di Adolf Hitler, “La difesa della razza” di Julius Evola o “Come riconoscere e spiegare l’ebreo” di un certo George Montandon, un busto e vari poster di Mussolini, oltre a sei colpi di pistola in più di quelli che Carlo Baffi avrebbe potuto detenere; una vecchia sciabola, e altri materiali inequivocabili. Ma secondo Baffi e i vari sindacati di polizia tutti i testi e i feticci erano stati raccolti da Baffi esclusivamente per motivi professionali, avendo lavorato nella digos.
Carlo Baffi |
Ma noi non dimentichiamo
Per quanto voi vi crediate assolti siete lo stesso coinvolti
Il nostro odio va a tutti i nazisti, in divisa e non, dentro e
fuori i palazzi del potere
Il nostro abbraccio va invece alle nostre sorelle e ai nostri
fratelli di classe
Alla famiglia di Alina
MFPR AQ
Di seguito il comunicato di NUDM Trieste
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Tutti assolti perché “il fatto non sussiste” i poliziotti e
dirigenti della questura accusati di sequestro di persona e omicidio colposo
per la morte di Alina Bonar Diachuk, morta suicida a 32 anni il 16 aprile 2012
nel commissariato di Opicina. Il 14 aprile era stata prelevata da una volante
al carcere del Coroneo dove aveva finito di scontare una pena per
favoreggiamento dell’immigrazione clandestina ed era stata portata a quello che
fu subito definito il “commissariato degli orrori”.
Alina Bonar Diachuk era in attesa d’espulsione ma non in stato
di fermo, non c’era alcun motivo legale per portarla al commissariato e
trattenerla lì. Aveva già tentato il suicidio, dopo due giorni si è impiccata
con il cordino della felpa davanti alle telecamere di sorveglianza. La sua
agonia è durata 40 minuti, nessuno si è accorto di niente né
tantomeno è intervenuto.
Le indagini hanno permesso di scoprire che Alina non era stata
l’unica ad aver subito un sequestro di persona in commissariato: era una prassi
abituale. Nel corso delle perquisizioni si è scoperto che il funzionario
dirigente Carlo Baffi aveva cambiato il cartello dell’ufficio immigrazione con
la scritta “ufficio epurazione” che teneva in bella mostra vicino a un busto di
Mussolini. All’epoca, Baffi era anche membro della Commissione territoriale di
Gorizia che esaminava le domande d’asilo presentate in Friuli Venezia Giulia:
Baffi ha continuato a partecipare alle riunioni della Commissione anche dopo il
suicidio di Alina. L’allora questore Padulano disse che i poliziotti coinvolti
avevano fatto il loro “dovere”.
A febbraio 2018 il pm De Bortoli aveva chiesto pene per 20 anni
e 9 mesi per i poliziotti coinvolti. Ora, a sei anni dalla morte di Alina, è giunta
l’assoluzione per tutti in primo grado. Il giudice Nicoli ha ritenuto che i
poliziotti avessero messo in atto direttive della Questura, conosciute e
condivise ai massimi livelli istituzionali, anche dalla Pretura, secondo quanto
riportato dalla stampa. In breve, i poliziotti hanno fatto il loro dovere e
hanno obbedito agli ordini. Tuttavia, nonostante l'omertà istituzionale, noi
sappiamo che il sequestro di persona non è legale in Italia e la detenzione di
Alina e delle altre centinaia di persone a Opicina era abusiva.
È la banalità del male: nessuno è responsabile
dell’annientamento della vita di una giovane donna, tutti svolgevano il proprio
lavoro.
Siamo in attesa di leggere le motivazioni della sentenza ma già
possiamo dire che non ci stiamo: Alina, donna e migrante, è stata per la
seconda volta uccisa da questa sentenza che non condanna nessuno per la sua
morte.
Verità e giustizia per Alina. Le vite delle donne contano tutte,
NON UNA DI MENO!
Non Una di Meno Trieste
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