10/03/22

Formazione Operaia – Lenin: Sui sindacati, gli scioperi… – 5° parte

I sindacati possono essere “neutrali”?


In questo testo Lenin affronta un problema, anch’esso attuale: se i sindacati possono essere “neutrali” dal partito politico, se questo è giusto o no, e quale legame tra lotta sindacale e lotta politica.

Cominciamo riprendendo alcuni stralci del testo di Lenin – contenuto sempre nell’opuscolo “Lenin Sui sindacati gli scioperi l’economismo”:

“…tutto il nostro partito ha riconosciuto che nei sindacati bisogna lavorare non con uno spirito di neutralità, ma con lo spirito del più stretto avvicinamento tra sindacati e il partito socialdemocratico… lo stretto legame tra partito e sindacati deve essere ottenuto esclusivamente per mezzo dell’attività dei socialdemocratici in seno ai sindacati…”

“…la politica di neutralità ha rafforzato l’opportunismo dei sindacati, senza per nulla impedire che sorgessero dei sindacati cristiani, liberali distinti…”

“… la teoria della “neutralità”… in realtà serve a rafforzare l’influenza della borghesia sul proletariato…”

“… Gli interessi di classe della borghesia fanno sorgere inevitabilmente la tendenza a confinare i sindacati in un’attività spicciola, ristretta, sulla base dell’ordinamento esistente, a distoglierli dallo stabilire qualsiasi legame col socialismo; e la teoria della neutralità è il rivestimento ideologico di queste aspirazioni borghesi…”.

“…Si dice che la neutralità è necessaria per unire tutti gli operai che comprendono la necessità di migliorare le loro condizioni materiali. Ma coloro che dicono questo dimenticano che l’attuale grado di sviluppo delle contraddizioni di classe porta inevitabilmente, ineluttabilmente delle “divergenze politiche” anche quando si tratta di stabilire in che modo bisogna ottenere questi miglioramenti… la teoria della neutralità dei sindacati… porta inevitabilmente a preferire quei mezzi di miglioramento che rappresentano un indebolimento della lotta di classe del proletariato…”; “…in favore del “miglioramento” da pagarsi al prezzo della rinuncia alla lotta e della resa a discrezione al capitale…”.
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Il sindacato di classe è l’organizzazione di massa dei lavoratori. Unisce i lavoratori indipendentemente dal loro orientamento politico o ideologico.
Ma parlare di “neutralità” del sindacato, di un sindacato apolitico è ingannare gli operai, nascondere che anche la lotta per “ottenere dei miglioramenti” è interna alla lotta tra la politica dei padroni, sostenuti dai loro partiti e la politica dei lavoratori.
Tutti i lavoratori vedono che i sindacati confederali non sono affatto “neutrali”, sono schierati politicamente e legati a partiti e ad aree politiche. L’idea del sindacato neutrale lascia i lavoratori alla mercè e sotto l’egemonia di una o l’altra politica della borghesia, li vuole trasformare in masse inconsapevoli, che come banderuole vanno verso chi vende meglio la propria “mercanzia”. La “neutralità”, quindi, è una illusoria demagogia, che porta ad una politica opportunista e corporativa, ad un “indebolimento della lotta di classe del proletariato…”; in cui, anche lì dove si ottenesse un miglioramento questo – come scrive Lenin – avverrebbe “al prezzo della rinuncia alla lotta e della resa a discrezione al capitale…”. Un piccolo miglioramento oggi – che il capitale può sempre riprendersi – ma rinunciando alla battaglia contro lo sfruttamento del capitale.

Chi anche oggi parla di neutralità del sindacato è, a parte un imbroglione, uno che fa il gioco della borghesia, dei padroni che possono anche accettare richieste “spicciole”, basta che la lotta dei lavoratori non metta in discussione il dominio del padrone.

Chiaramente il sindacato di classe, non “neutrale”, deve occuparsi anche dei piccoli miglioramenti della condizione operaia, ma è discriminante comprendere come e perchè si lotta per questi miglioramenti: il sindacato collaborazionista con i padroni e col governo lotta per i miglioramenti ma per far spegnere il “fuoco”, perchè gli operai si affidino all’ordinamento esistente; in questo modo ogni miglioramento ottenuto rafforza invece di indebolire l’ordinamento borghese esistente. Per il sindacato guidato dal partito del proletariato ogni lotta anche minima, ogni miglioramento anche piccolo è invece utilizzato per andare avanti, per mostrare che solo con la lotta, gli scioperi, l’unità dei lavoratori è possibile strappare miglioramenti, per dare fiducia che gli operai devono e possono fare una lotta più generale per porre fine a questo ordinamento in cui un pugno di padroni ha tutto e gli operai comunque non hanno niente.

Il sindacato guidato dal partito del proletariato analizza e interviene negli scioperi secondo la visione dello “sciopero come scuola di guerra” (come dice Lenin), per indirizzare in questo senso la prassi, la lotta.

Oggi la posizione di “neutralità” è presente anche nel ceto, ben politico, dei sindacati di base. Alcuni dei loro dirigenti sono attivi politicamente nei partiti della sinistra o anche in organizzazioni rivoluzionarie. A volte si presentano pure nelle liste elettorali di questi partiti. Ma questi stessi dirigenti si fanno invece “propagandisti-contro” della presenza e costruzione di un reale partito comunista tra i lavoratori, propagandano tra i lavoratori il movimentismo, l’autorganizzazione eterna, esaltano la lotta sindacale, tutto per deviarli da una politica di classe e dalla costruzione del partito della classe.

Da quello che scrive Lenin appare chiaro che nella lotta tra capitalisti e lavoratori o si sta con la politica borghese espressa dai partiti della borghesia o si sta con la politica proletaria diretta dal partito proletario.
Gli interessi di classe dei lavoratori richiedono che la lotta rivendicativa si svolga all’interno della prospettiva di un altro potere, il potere operaio, in mano ai lavoratori.
Questo “spettro” per la borghesia appare nella lotta dei lavoratori, quando i lavoratori realizzando rapporti di forza a loro favorevoli esercitano nei fatti un “contropotere”.
Ma la classe operaia non può vincere contro il potere dei padroni senza un reparto d’avanguardia organizzato che sia strumento per elevare la coscienza e l’organizzazione come guida unificante e trasformante delle loro lotte.

La lotta sindacale dei lavoratori richiede un partito comunista che lavori nei sindacati, che viva nelle lotte, con un progetto di cambiamento reale, una rivoluzione sociale e politica per costruire una nuova società senza padroni, senza sfruttati e sfruttatori, senza ricchi e poveri, in cui il lavoro non sia più merce.
La presenza e la direzione dei comunisti nel sindacato di classe fa di ogni lotta una scuola di formazione in funzione della lotta rivoluzionaria.

Come agiscono i comunisti? Facciamo un esempio. Di fronte ad un infortunio in fabbrica, denunciano l’accaduto, danno indicazioni di fermarsi, schierarsi come ‘parte civile’ in un processo, denunciare la mancata applicazione anche delle leggi esistenti, pretendere più e migliori interventi degli organi di controllo, ecc.; ma non si limitano a questo, pongono in rilievo il legame tra quella fabbrica e le altre fabbriche, il legame con le leggi emanate dal governo a favore dei padroni, con il sistema generale capitalista, quindi fanno appello ad elevare la lotta contro l’intero sistema del lavoro sfruttato.

In questo senso i comunisti non possono sottovalutare l’attività sindacale. Se lo facessero lascerebbero campo libero ai partiti riformisti, o anche, nella situazione attuale in cui sono state molto indeboliti tra i lavoratori i principi di classe, ai partiti e forze di destra (dalla Lega ai 5stelle) che usano la demagogia populista per ingannare gli operai e farli dipendere dai loro legami politico-affaristici.

Per questo, per i comunisti rivoluzionari il sindacato è un campo di attività fondamentale. E non hanno titolo di definirsi comunisti rivoluzionari forze che non hanno mai organizzato, diretto una lotta sindacale, uno sciopero, che verso gli operai si limitano a fare un’attività di propaganda, senza mai “sporcarsi le mani” nella lotta e nelle contraddizioni che la lotta sindacale pone. Costoro non aiutano la classe operaia ad imparare dalla propria esperienza concreta, ad elevare la lotta legando sempre più la lotta sindacale alla battaglia politica; ma nello stesso tempo non imparano essi le “leggi” delle guerra di classe, per attrezzare la guerra politica rivoluzionaria.

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