(Dall'intervento di una compagna de L'Aquila nell'assemblea del 4 dicembre)
Il 27 novembre, alla manifestazione nazionale contro la violenza sulle donne, abbiamo portato anche la voce, la denuncia e la lotta contro una violenza che è istituzionale, contro la repressione, contro la violenza di Stato che subiscono in generale le donne proletarie e in particolare le donne migranti, con i decreti sicurezza, la negazione dei documenti, del diritto alla residenza, alla cittadinanza, alla casa. Abbiamo portato in piazza la voce delle detenute in lotta che quest'anno hanno fatto anche sciopero l'otto marzo, ma anche al fianco delle resistenti detenute del carcere di Torino che hanno programmato proprio per dicembre un nuovo "sciopero del carrello" con rifiuto il sopravitto per rivendicare la liberazione anticipata anche per coloro, che pur avendo tenuto una buona condotta, continuano ad essere sottoposte all’articolo 4 bis perchè condannate per "terrorismo".
Nella piattaforma che abbiamo portato in piazza per le donne proletarie detenute chiediamo libertà e accesso alle misure alternative come tutela sia del diritto alla salute e della genitorialità, sia come difesa dalle violenze, dagli abusi sessuali che subiscono anche in carcere soprattutto le soggettività trans, e non è infrequente che molte si suicidano. Abbiamo detto nessuna repressione delle donne proletarie in lotta e anche delle donne che si difendono dalla violenza maschile. Molte donne sono in carcere per perché appunto si sono ribellate alla violenza maschile, alla violenza del fidanzato, dell'ex compagno, del marito o del padrone; alcune sono condannate per tentato omicidio, perché si sono difese fisicamente dalla violenza maschile.
Siamo scese in piazza anche in solidarietà con tutte le prigioniere politiche, a livello internazionale come nel nostro paese. In Italia Nadia Lioce è l'unica prigioniera politica da 16 anni in 41 bis, che è una forma vera e propria di tortura il cui unico scopo è l’annientamento totale dell’individuo. Perché cosa si chiede a Nadia Lioce per la fine di questo trattamento? Si chiede l'abiura delle proprie convinzioni politiche, ma Nadia Lioce è una compagna che è rimasta coerente nella sua battaglia contro lo Stato del capitale, e quindi non si è né pentita né dissociata.
La lotta contro la repressione, contro la tortura, in difesa delle condizioni di vita di tutte le prigioniere politiche, debba rientrare anche nella lotta più generale delle donne contro la violenza, che sia essa maschile, padronale o di Stato.
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