di Serena Fredda
Mercoledì 18 febbraio 2009
Ne abbiamo sentite troppe in questi giorni di notizie di stupri, in ogni angolo del paese e a Roma, che ormai sembra in ostaggio di orde di cani arrabbiati. Più si accumulano i casi più la paura paralizza l’azione, più diventa difficile anche solo parlarne, schiacciate come siamo tra la solitudine della vittima potenziale e la paura di chi vede sottrarsi la libertà in nome di una fantomatica e fascistoide sicurezza. La contesa tra governo e opposizione è una rincorsa a destra, ma di certo il governo si dimostra ancora una volta più creativo e spregiudicato rompendo il tabù del monopolio della forza in mano da sempre alla polizia. Poco importa che la legalizzazione delle ronde sia stata stralciata dal decreto anti-stupri. È una questione di immaginario, di legittimazione che passa per canali differenti da quelli formali. Essendo impraticabile che per ogni (bella) donna ci sia un militare, militarizziamoci tutti, e poco importa anche che questo dia la stura a formazioni neo o micro fasciste, a raid razzisti, a linciaggi, a roghi, a omicidi, e perchè no, ad altri stupri (quelli che non fanno notizia, quelli delle immigrate). Anzi, meglio. Soffia un vento di crisi nera, c’è poco e non per tutti, non siamo tutti uguali e bisogna rimarcare le segmentazioni interne al corpo sociale, scaricare la conflittualità verso il basso, recuperare consenso aprendo l’attività poliziesca alla partecipazione “popolare”, cambiare segno al conflitto sociale traslandolo in conflitto etnico. E le donne in tutto questo che fine fanno? Una brutta fine. Le donne italiane tornano a essere l’oggetto passivo della contesa tra i barbari invasori e gli autoctoni, simbolo e metafora di tutto quanto ci appartiene, possediamo e non vogliamo cedere e condividere: i soldi, le case, il lavoro. Le straniere, pazienza! Rischi del mestiere. Che siano sbadanti o prostitute sono pur sempre al servizio di qualcuno. Non è un caso che le vicende su cui si concentra maggiormente l’attenzione mediatica sono quelle di Guidonia e della Caffarella in cui la vittima è stata sottratta al legittimo fidanzato. Silenzio invece su casi altrettanto atroci e preoccupanti come gli stupri di gruppo esercitati da ragazzini dai 13 ai 16 anni su loro compagne di 13 o 14 anni. Si tratta di ragazzini italiani. Questi fatti ci riconsegnano anche un’altra indicazione: il modo di vivere la sessualità sta subendo una preoccupante torsione. Attraverso la sessualità tornano a passare linee di potere, a prodursi dispositivi di controllo e di ricatto. Casi che dovrebbero scuoterci alle radici e farci tirare giù tutta la nostra frondosa ipocrisia da belpaese, da italiani-bravagente. Talmente bravi da essere capaci di uccidere a martellate un bambino perché si ha l’ossessione degli acari, come a Erba, o capaci di inaugurare la propria – e l’altrui – educazione sentimentale nel segno dello stupro. Invece no, la polvere si nasconde sotto il tappeto e i panni sporchi si lavano in casa propria. Ma noi che a casa non ci vogliamo stare e che preferiamo di gran lunga la strada, proprio lì puntiamo la nostra attenzione. Perché ci convince poco la lettura etnica delle violenze che registriamo, non crediamo alla brutalità genetica e culturale degli immigrati, non crediamo neanche all’emergenza stupri, crediamo a un costante rischio a cui continuiamo a esporci pur di non arretrare di un passo sul terreno della nostra libertà. La violenza sessuale si riconferma il più potente strumento di assoggettamento, umiliazione e stratificazione sociale, definisce, fuor di metafora, chi sta sopra e chi sta sotto, chi comanda e chi subisce. Si tratta di una riarticolazione dello scontro di classe nell’epoca della crisi della globalizzazione in chiave reattiva, paranoica e fascista; che agisce sostituendo il comune col proprio, la forza con la violenza, il piacere con il potere, il far da sé con la vendetta, la giustizia col regolamento di conti; che devia e neutralizza l’enorme potenziale di conflittualità che ogni crisi apre e che dobbiamo saper cogliere, decostruire e aggredire.
Fonte: http://www.globalproject.info/art-18929.html
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