Da Infoaut
Violenze, molestie e razzismo al raduno nazionale degli Alpini a Trento
Trento, 91° raduno nazionale degli Alpini, tre giorni e tre
notti di inferno per le donne che ci sono capitate.
Fiumano le testimonianze spontanee di donne che, per lavoro o
perché semplicemente si trovavano nella loro città, hanno subito molestie
sessuali e razziste di ogni genere da parte della folla maschile di militari e
simpatizzanti ritrovatisi nella località trentina per la loro festa. E
sottolineiamo la loro, erano circa 600.000.
Nei giorni precedenti, l’università di sociologia era stata
occupata e aveva ospitato delle iniziative contro la presenza della
celebrazione e l’arrivo di migliaia di alpini da tutta Italia.
Non una di meno- Trento e altre associazioni, attraverso
la pubblicazione delle testimonianze delle donne presenti, stanno aiutando a
far emergere la verità: quei giorni è successo di tutto ma l’alcool e la musica
sono bastati per silenziare momentaneamente le violenze sessuali perpetrate dai
militari.
Fra queste violenze, quella più pubblica è stata la serata “Miss Alpina Bagnata”, in cui gli uomini erano invitati a votare la loro alpina preferita lanciandole addosso della birra. Non c’è nient’altro da scorgere oltre a un gesto pubblico di umiliazione.
Fra queste violenze, quella più pubblica è stata la serata “Miss Alpina Bagnata”, in cui gli uomini erano invitati a votare la loro alpina preferita lanciandole addosso della birra. Non c’è nient’altro da scorgere oltre a un gesto pubblico di umiliazione.
Le violenze meno esplicite sono state però anche le più gravi e
ora l’ ANA (Associazione Nazionale Alpini) dichiara di cadere dalle nuvole
visto che 400 alpini erano in servizio il giorno - una grande rassicurazione
essere protette dai propri molestatori!
“Che bela moreta, fammi un pompino”, “non mi faccio servire da
una marocchina” sono alcuni degli insulti rivolti a una studentessa mulatta che
ha deciso di raccontare il suo estenuante turno di lavoro.
"Scappate scappate che tanto primo poi vi ritrovate il nostro uccello in bocca", inseguimenti, palpeggiamenti, minacce.
"Scappate scappate che tanto primo poi vi ritrovate il nostro uccello in bocca", inseguimenti, palpeggiamenti, minacce.
Le donne sono un terreno su cui si giocano tutte le campagne
securitarie, creando nuove paure e celebrando le forze dell’ordine come la
possibile soluzione. Ma quei giorni, in cui un’intera città è rimasta sotto lo
scacco dei militari alpini, proprio nessuna si è sentita al sicuro. Violenze
sessuali agite come se fossero naturali apprezzamenti, commenti sessisti
cammuffati in libertà d’espressione e la donna diventa oggetto di tutte le fantasie
di violenza.
La vera terra di nessuno è quella dove festeggiano gli Alpini.
La vera terra di nessuno è quella dove festeggiano gli Alpini.
Da Non una di meno - Trento alcune testimonianze:
" Stavo tornando da lavoro, erano
le sei di sera, una sera molto luminosa eppure non mi sentivo sicura O meglio,
sentivo che il mio corpo mi voleva dire qualcosa... Ho la fortuna di abitare
vicino all'ufficio dove lavoro, per tutto il giorno ho sentito gli schiamazzi
di sottofondo, un giorno feriale eh? Maschi... urla, risate sguaiate,
bestemmie. Fino a quando mi trovavo nel mio ufficio al terzo piano queste voci
sono state solo uno sgradevole mormorio.. ma quando mi sono trovata per strada,
mi sono sentita veramente in balia di una minaccia indefinibile.
Ero nel vicolo, largo circa 4 metri e lungo 200 metri circa a piedi,
che interseca due strade più grandi. Verso la metà c'è la porta del condominio,
le cale, il mio mini.
Mentre lo percorrevo la mia pelle
sembrava reagire staccata dalla mia mente ancora immersa nel mio lavoro, il mio
stesso corpo lentamente si mise in allarme e alla fine anche la mia mente si è
focalizzata: erano dietro di me e mi seguivano, erano sei con un sorriso osceno
che gli colava dalla faccia. La mia pelle, il mio corpo di donna li aveva avvertiti
prima dei miei sensi coscienti. Quello che si sente poi, la paura la conoscete,
la conosciamo tutte purtroppo. Quando misi le mani nella borsa per prendere le
chiavi mi resi conto che tremavano... sento mormorii da quei sei che si
avvicinano e cerco di ignorare. Hanno quattro metri a disposizione, eppure
vengono sul marciapiede dalla mia parte e si avvicinano. Cerco di mettere la
chiave nella toppa più velocemente possibile. Probabilmente annusano la mia
paura e si fanno più baldanzosi, uno di loro comincia a dire in un dialetto
simile al trevigiano "gheto paura cea? No te femo miga niente"
"semo bravi tosati noialtri, mica come quei negratti de merda...che fa a
tochi e fie... ni altri savemo farle godere e done... ni altri, seto" e
giù risate oscene.
Io sorrido forzatamente mentre vorrei sputargli in faccia a quello che ha parlato, piccoletto, tarchiato, tutto in lui mi dava senso di sporco anche quel cappello ridicolo logoro pieno di cianfrusaglie... ma ho sorriso..invece. Per paura, per cercare di non far trasparire il ribrezzo che avevo per lui e il suo branco, come se un atto ostile da parte mia mi avesse fatto perdere il diritto alla mia incolumità a poter girare nella mia città senza avere paura. Addirittura saluto.. veloce chiudo il portone dietro di me. E lì c'è il picco di paura, per un istante immagino di non riuscire a chiuderlo perchè magari qualcuno me lo impedisce. Invece lo chiudo e ricomincio a respirare di nuovo.
Io sorrido forzatamente mentre vorrei sputargli in faccia a quello che ha parlato, piccoletto, tarchiato, tutto in lui mi dava senso di sporco anche quel cappello ridicolo logoro pieno di cianfrusaglie... ma ho sorriso..invece. Per paura, per cercare di non far trasparire il ribrezzo che avevo per lui e il suo branco, come se un atto ostile da parte mia mi avesse fatto perdere il diritto alla mia incolumità a poter girare nella mia città senza avere paura. Addirittura saluto.. veloce chiudo il portone dietro di me. E lì c'è il picco di paura, per un istante immagino di non riuscire a chiuderlo perchè magari qualcuno me lo impedisce. Invece lo chiudo e ricomincio a respirare di nuovo.
Mi vergogno ancora per questo. Avrei
dovuto dirgli di tenersi lontano, di non molestarmi, che stavo per chiamare la
Polizia... si.. la polizia.... e invece ho sorriso, ho salutato...
Mentre mi lavavo ho avuto come un
flash, un pensiero strano: in questo mondo a misura di maschio, a misura di
stupro, la mia pelle, il mio corpo di donna è più vivo e vigile della mia
mente, piegata, educata alla sottomissione a sorridere anche di fronte alla
violenza. Devo partire da questo corpo per liberare la mia mente."
"Ciao, anch'io come le altre
ragazze ho subito molestie durante l'adunata degli alpini. Ho lavorato in un
bar del centro in quei giorni. Per chiamarmi gli appellativi erano spesso
"donna" "bambolina" "mona" " gnocca"
"cameriera, fai la brava". Le molestie fisiche sono state ancora
peggio: strusciamenti da dietro, mani sui fianchi che scendevano finché
spinavo birre, baci sulla guancia non graditi né richiesti, prese per i fianchi
finché portavo vassoi per fare una foto con me, sguardi perversi e insistenti
sul mio seno, a pochi cm di distanza, al punto che sento ancora la puzza di
alcool del loro fiato. Il tutto mentre io lavoravo, mentre correvo su e giù per
i tavoli per circa 11h al giorno, per servirli e sentirmi i loro commenti
sessisti, omofobi, e razzisti. Li ho visti cacciare a suon di insulti tutte le
donne e gli uomini di colore che passavano. Uno di loro mi ha detto che se
l'anno prossimo tornava, e scopriva che ero ancora fidanzata, mi avrebbe
"legnata". Erano tutti ubriachi fradici, fin dal mattino. Ho sofferto
doppiamente perché ho reagito solo in parte, mi sentivo con le mani legate,
impotente. Non potendo rischiare di perdere un lavoro ho reagito con stizza
alle loro provocazioni, allontanandomi e cercando di tenerli a distanza per
quel che potevo (la sera, quando mi sono trovata a spinare birra da sola, anche
a spintoni e gomitate). Ma la rabbia è montata dentro di me, e ho realizzato
solo ieri di quanto sia uscita ferita da questi tre giorni, ieri ho pianto più
volte per la frustrazione provata. Se avete intenzione di scrivere altri
comunicati, o di fare una manifestazione per smuovere le coscienze, finché i
fatti sono ancora recenti, io ci sono"
"ESSERE DONNA E MULATTA IN TEMPI
DI ADUNATA-riflessioni dal margine
Maggio 2018. Trento, sicura, silenziosa, regina di decoro urbano si prepara ad accogliere 600000 militari e simpatizzanti smaniosi di sfilare per giorni a passo di marcia.
Maggio 2018. Trento, sicura, silenziosa, regina di decoro urbano si prepara ad accogliere 600000 militari e simpatizzanti smaniosi di sfilare per giorni a passo di marcia.
Da settimane la città è in fermento, i
camion di bitume rompono i silenzi notturni, squadre di pompieri vengono
arruolate per onorare la patria e adornare la le facciate di bandiere
tricolore, anche la bella e ormai succube sede di sociologia si veste a festa e
da il ben venuto agli alpini. Allora via le bici, disinfetta i parchi da
migranti e accattoni, scattano ordinanze su ordinanze speciali. 10 maggio è
tutto pronto.
La città è luccicante e disposta a delegare interamente l’ordine pubblico all’organizzatissimo Corpo degli Alpini, legittimati in ogni loro azione dal semplice essere forze dell’ordine e di conseguenza affidabili, solidali, caritatevoli rappresentanti dell’ordine costituito.
Il capoluogo si trasforma in cittadella dell’Alpino, come per ogni grande evento il capitalismo si traveste per l’occorrenza e subdolo si appropria di ogni cosa. Chiudono le università, chiudono le biblioteche, chiudono gli asili nido. Ogni via si riempie di uomini in divisa, penne nere, fiumi di alcol, cori e trombe. Diventa labirinto inaccessibile e sala di tortura per qualsiasi corpo che non risponda alle prerogative di maschio, bianco, eterosessuale. (ah, non deve avere coscienza critica, questo è chiaro)
La città è luccicante e disposta a delegare interamente l’ordine pubblico all’organizzatissimo Corpo degli Alpini, legittimati in ogni loro azione dal semplice essere forze dell’ordine e di conseguenza affidabili, solidali, caritatevoli rappresentanti dell’ordine costituito.
Il capoluogo si trasforma in cittadella dell’Alpino, come per ogni grande evento il capitalismo si traveste per l’occorrenza e subdolo si appropria di ogni cosa. Chiudono le università, chiudono le biblioteche, chiudono gli asili nido. Ogni via si riempie di uomini in divisa, penne nere, fiumi di alcol, cori e trombe. Diventa labirinto inaccessibile e sala di tortura per qualsiasi corpo che non risponda alle prerogative di maschio, bianco, eterosessuale. (ah, non deve avere coscienza critica, questo è chiaro)
Diventa impraticabile e pericolosa per
me che sono donna e mulatta. Esposta in maniera esponenziale a continue
aggressioni verbali e fisiche che intersecano razza e genere, dando vita ad una
narrativa vissuta e rivissuta mille volte nei più svariati contesti. A chi
importa il tuo vissuto, a chi importa da dove vieni, a chi importa chi sei, chi
si ricorda di avere davanti una persona, a chi importa?
Il colore della tua pelle, i ricci
ribelli, i lineamenti, l’espressione di genere sono un pass par tout per aprire
le fogne , etichette incollate su ogni parte del mio corpo che legittimano
qualsiasi forma di violenza razzista e sessista. Non serve altro, il discorso
d’odio è servito, è tutto normale, dall’alto del privilegio maschio e
occidentale è tutto consentito. Ogni angolo di quell’immenso e pericoloso
formicaio era per me trappola e luogo di resistenza, i miei tratti somatici mi
tradivano in continuazione, l’autodifesa mi teneva in vita, sempre vigile e
attenta.
Al tavolo di ogni bar, ad ogni incrocio si potevano captare l’affanno delle poche sinapsi di branchi di energumeni messe sotto sforzo, per portare avanti una discussione che puntualmente veniva condita da una frase come: “sti negri de merda”, “non sono razzista, ma…”, “andassero tutti a casa loro”, “gli ammazzerei tutti”, ”tira fuori le tette”, “bella gnocca vieni qua” ,qualche camionata di insulti a venditori ambulanti, che corazzati da anni di resistenza continuavano imperterriti il loro lavoro, e poi via, un altro rosso , prego, che la festa continui!
Mi sono sentita ingiustamente violentata ed impotente, violentata dagli sguardi, dai commenti sessisti, dalle palpate, dal esotizzazione continua del mio corpo trasformato in oggetto sessuale che risveglia profumi di violenza tropicale, nostalgie coloniali.
Nessuno ha chiesto il mio consenso, nessuno si è sentito in dovere di farlo, nessuno si è sentito responsabile per quello che stava accadendo nello spazio pubblico che lo circondava, nessuna delle “loro (bianche) donne” mi è stata solidale. Le istituzioni complici, si sono girate dall’altra parte e con tranquillità si sono fatte servire un vino, al tavolo dell’aggressore.
Nessuno si è chiesto se fosse normale che una cameriera sottopagata dovesse sopportare per ore frasi del tipo “Che bela moreta, fammi un pompino” o semplicemente, “non mi faccio servire da una marocchina” tutto normale , tutto concesso, nobilitato dalla posizione di “salvatore della patria”, corpo solidale in caso di calamità naturale. Tutti sembravano non voler ricordare che machismo e razzismo vengono esercitati da qualsiasi corpo, tanto più se privilegiato e paramilitare.
Questi quattro giorni sono stati la cartina torna sole dell’aria che si respira a livello nazionale, dell’ansia che ogni corpo di donna o di negra sente quotidianamente nell’attraversare lo spazio pubblico, delle ondate razziste e sessiste che attraversano il paese, ma non lo scuotono, che si insinuano silenziose nel discorso politico istituzionale di ogni giorno.
Al tavolo di ogni bar, ad ogni incrocio si potevano captare l’affanno delle poche sinapsi di branchi di energumeni messe sotto sforzo, per portare avanti una discussione che puntualmente veniva condita da una frase come: “sti negri de merda”, “non sono razzista, ma…”, “andassero tutti a casa loro”, “gli ammazzerei tutti”, ”tira fuori le tette”, “bella gnocca vieni qua” ,qualche camionata di insulti a venditori ambulanti, che corazzati da anni di resistenza continuavano imperterriti il loro lavoro, e poi via, un altro rosso , prego, che la festa continui!
Mi sono sentita ingiustamente violentata ed impotente, violentata dagli sguardi, dai commenti sessisti, dalle palpate, dal esotizzazione continua del mio corpo trasformato in oggetto sessuale che risveglia profumi di violenza tropicale, nostalgie coloniali.
Nessuno ha chiesto il mio consenso, nessuno si è sentito in dovere di farlo, nessuno si è sentito responsabile per quello che stava accadendo nello spazio pubblico che lo circondava, nessuna delle “loro (bianche) donne” mi è stata solidale. Le istituzioni complici, si sono girate dall’altra parte e con tranquillità si sono fatte servire un vino, al tavolo dell’aggressore.
Nessuno si è chiesto se fosse normale che una cameriera sottopagata dovesse sopportare per ore frasi del tipo “Che bela moreta, fammi un pompino” o semplicemente, “non mi faccio servire da una marocchina” tutto normale , tutto concesso, nobilitato dalla posizione di “salvatore della patria”, corpo solidale in caso di calamità naturale. Tutti sembravano non voler ricordare che machismo e razzismo vengono esercitati da qualsiasi corpo, tanto più se privilegiato e paramilitare.
Questi quattro giorni sono stati la cartina torna sole dell’aria che si respira a livello nazionale, dell’ansia che ogni corpo di donna o di negra sente quotidianamente nell’attraversare lo spazio pubblico, delle ondate razziste e sessiste che attraversano il paese, ma non lo scuotono, che si insinuano silenziose nel discorso politico istituzionale di ogni giorno.
Io, come moltissime altre, non ci sto!
non sono disposta a dover lasciare la città perchè non è per me spazio sicuro,
non sono disposta a delegare la mia sicurezza a gruppi di militari maschi e
testosteronici , non sono disposta a sorridere e lasciare correre “perché in
fondo si scherza”, non sono disposta ad essere complice della vostra lurida
violenza quotidiana con il mio silenzio, non sono disposta a tutelare il buon
costume della vostra civiltà, rispettosa solo con chi rientra nei canoni
imposti. Non sono più disposta ad agognare sanguinante e invisibile perché voi
possiate marciare in pace sul mio corpo e onorare la vostra patria. Siamo
stanche e arrabbiate, non ci sarà più nessuna aggressione senza risposta,
nessun silenzio complice."
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