Una linea e una pratica da
seguire...
Parlano le operaie di Brescia
SIETE TUTTE DONNE, COME E PERCHE’ SI E’ FORMATO IL VOSTRO GRUPPO?
Parlano le operaie di Brescia
SIETE TUTTE DONNE, COME E PERCHE’ SI E’ FORMATO IL VOSTRO GRUPPO?
Tutto è partito da una
provocazione da parte di un “capetto” che ci prendeva di mira
perché eravamo attive sindacalmente come RSU e come semplici
iscritte. L’intento era di isolarci per il nostro essere ribelli
e, in una certa misura, politicizzate. Da un fatto specifico e
particolare, una provocazione appunto, abbiamo tratto la spinta
per fare un passo avanti contro il regime che vige in fabbrica.
Diciamo che abbiamo capito persino meglio che avevamo un interesse
comune molto concreto, che poi non è chissà che, ma semplicemente
il lavorare in sicurezza, avere i propri diritti, cose di questo
genere… quindi ci siamo unite ancora di più e così è nato il
gruppo.
QUALI SONO LE DIFFICOLTA’ CHE
AVETE INCONTRATO NELLA VOSTRA ATTIVITA’?
Alcune di noi erano RSU, ma siamo
state obbligate a dimetterci perché la direzione ci ha mobilitato
contro la maggior parte degli operai, utilizzando intimidazioni e
calunnie, tipo che la crisi dell’azienda era colpa nostra, che
creavamo situazioni che mettevano a rischio il futuro
dell’azienda, ecc. Il sindacato ci ha consigliato di rinunciare
alla carica per evitare ritorsioni peggiori, anche se noi avremmo
voluto continuare. E’ stata un po’ una ritirata. Da noi vige una
specie di regime: manca qualsiasi tipo di libertà, che sia
esprimere opinioni o leggere un’informativa. Anche durante le
assemblee sindacali era impossibile avere un confronto libero,
perché erano presenti alcuni capi che facevano azioni di disturbo
e plateali intimidazioni. Questo ha portato molti a non
partecipare più.
Agli scioperi le minacce erano
prassi corrente: la direzione convocava le lavoratrici in ufficio,
da sole, senza tutele e con richiami più o meno formali le
minacciava di non proseguire su una linea o condotta altrimenti
sarebbe arrivato il licenziamento. Minacce anche campate in aria,
ma spesso l’ignoranza in termini di diritti le rendeva efficaci.
Del resto informarsi era impossibile: se attaccavamo volantini
alla bacheca, dopo mezz’ora venivano fatti sparire. Abbiamo
tentato anche di diffonderli di nascosto, ma anche così dopo un
paio d’ore siamo state richiamate dalla direzione che sosteneva
fosse proibito volantinare in azienda. Ecco, la prima difficoltà è
far aprire gli occhi ai colleghi sulla situazione perché molti si
accontentano, la paura di perdere il lavoro favorisce questo
problema, ma così la situazione peggiora. Chi si ribella si trova
fra l’incudine e il martello perché anche alcuni colleghi sembrano
vedere solo intenti “polemici” nelle proteste, dicono che si è
sempre andati avanti così e non vedono prospettive.
STATE DESCRIVENDO UNA
SITUAZIONE DI TERRORISMO VERO E PROPRIO...
La ragione dell’azienda viene
fatta valere con intimazioni e pressioni, facendo leva sui
soggetti più deboli, sulla paura della crisi e su chi magari in
famiglia ha già problemi con il marito che ha perso il lavoro: in
questi casi la minaccia di licenziamento o di chiudere la fabbrica
fa decisamente il suo effetto. La disorganizzazione è totale,
tutto ricade sulle spalle dei lavoratori. Per il padrone, finché i
conti tornano, di problemi non ce ne sono e c’è gente che si
ammazza di lavoro per sopperire a questa mentalità del dover
produrre anche in condizioni che ti ostacolano. Produrre,
produrre, produrre anche a discapito della salute, questa è la
situazione. La violenza psicologica, inoltre, va “a go go”.
Abbiamo casi di colleghe che si devono curare per i nervi che
saltano. Ma è il caso di perdere la salute per accettare questo
ricatto? Ad aumentare la pressione, il fatto che il capitalista ti
vede come una merce: quando hai problemi di salute, quando non sai
più stare in piedi, quando non ci sei più con la testa ti dice
“stai a casa, che non ci servi più”. C’è quindi una tensione
latente, anche fra colleghi a volte si rischia di venire alle
mani. Ci sono lavoratori di serie A e di serie B. La questione è
che i nervi saltano perché c’è questo clima e l’azienda lo
favorisce facendo fioccare anche i richiami disciplinari. In casi
di diatribe fra operai viene colpito quello con la tessera
sindacale. Anche in caso di errori nel lavoro: sbagliano due
operai e magari ne sanzionano solo uno. Come mai questa
differenza? Lo fanno per mettere uno contro l’altro due operai che
lavorano insieme. Noi abbiamo capito questa tattica. Anche contro
il nostro gruppo tentano queste cose. Una di noi, ad esempio,
viene trattata meglio, sembrano più gentili: secondo noi perché
tentano lo stesso tipo di gioco, di lavorarsela un po’. Ecco,
questa era la situazione e in parte è ancora così.
COSA E’ CAMBIATO O COSA STA
CAMBIANDO? E COME AGITE?
Quando eravamo RSU avevamo questo
piccolo potere e lo usavamo per ottenere qualcosa di positivo per
i lavoratori, ad esempio sul tema della sicurezza qualcosa la
proprietà è stata obbligata a fare e tutt’ora è difficile tornare
indietro. E questo ci ha fatto mantenere prestigio, in un certo
senso. Ma nel momento in cui abbiamo toccato dei nervi scoperti,
la direzione ci ha fatto terra bruciata e in parte ci è riuscita,
anche se il nostro gruppo è rimasto coeso. Alcune operaie hanno
iniziato a porsi domande, vediamo che alcune reagiscono, ci sono
piccoli segnali, qualche collega inizia ad alzare un po’ la testa,
anche se di nascosto, diciamo. La smania repressiva della
direzione riusciamo a volgerla a nostro favore, perché le operaie
colpite vengono a chiedere aiuto e noi le sosteniamo. Chiaro che
la direzione, continuando ad attaccare i lavoratori, li spinge
verso di noi. Anche i più pacifici a lungo andare si stufano, si
stanno fortificando anche quelli che vengono presi di mira di
continuo, perché ritenuti più deboli. Ci sono casi di colleghe che
vediamo crescere in consapevolezza, che iniziano a tirare fuori le
unghie contro i soprusi. Questo è possibile perché sanno che c’è
un gruppo che le appoggia, che non sono sole. Se le nostre
colleghe vedono che non abbiamo paura di reagire, allora si
sentono appoggiate. Noi teniamo d’occhio e seguiamo le persone più
deboli che hanno problemi e ci adoperiamo a tutela dei compagni di
lavoro. Rivoltiamo contro la direzione le sue stesse mosse,
trasformiamo in opportunità i tentativi di impedire la nostra
iniziativa. Il tentativo di debellarci esautorandoci come RSU, ad
esempio, ha portato risultati positivi: si può dire che i colleghi
quasi ci vedono più adesso come rappresentanti rispetto a prima,
ci cercano di più, ci chiamano per i loro problemi. Così, il
tentativo di separarci assegnandoci turni diversi, spostandoci in
reparti diversi, cambiandoci le mansioni, ecc. ci consente di
“coprire” con la nostra presenza due turni invece che uno solo.
Ora abbiamo due gruppi, anche se piccoli, così veniamo a conoscere
tante cose che prima ci sfuggivano; allarghiamo il nostro bacino
di influenza e questa cosa piano piano si sta ritorcendo contro la
direzione, abbiamo potenziato un lavoro di squadra che ci permette
di mettere assieme le scoperte e gli elementi che raccogliamo. In
questa fase la direzione tende a evitarci per non sostenere delle
discussioni con noi. Questo evidenzia già una loro debolezza, una
“crepa” nel regime.
UNA CREPA CHE PUO’ DIVENTARE
UNA VORAGINE...
Una crepa che ci permette di
guardare avanti con fiducia e tirare dritte per il nostro
obiettivo: unire più persone in questo “gruppo” e diventare forti
davvero. Ma senza eccessi di entusiasmo... Abbiamo avuto quella
esperienza di cospirazioni organizzate, dove l’azienda è riuscita
a mobilitare tante nostre colleghe contro di noi. Noi le
sosteniamo, ma per accoglierle appieno serve avere più fiducia. È
importante che chi si avvicina comprenda che noi le sosteniamo e
che il loro sostegno verso di noi è importante, per vincere questa
battaglia. Perché in realtà noi vogliamo fare una cosa
costruttiva, unendoci e risolvendo i problemi che riguardano
tutti.
OLTRE CHE AI RAPPORTI IN
FABBRICA, PENSIAMO ANCHE ALLA GESTIONE DEI RAPPORTI FAMILIARI:
CI SONO DELLE PARTICOLARI PROBLEMATICHE DA AFFRONTARE COME
OPERAIE E COME DONNE?
Con una famiglia è più complicato
perché i doveri familiari solitamente sono sulle spalle delle
donne, in una società dove i ritmi sono sempre più serrati e
stressanti. Da parte dei familiari e dei mariti c’è un sostegno
verbale, ma non c’è una collaborazione attiva. E’ difficile far
comprendere la situazione che viviamo e, sentendo le cose
dall’esterno, spesso c’è la tendenza a sminuire, a ridimensionare,
a cercare di sdrammatizzare, a dire che bisognerebbe cercare di
fregarsene, di fare il proprio lavoro senza badare a queste cose,
di lasciare stare. C’è sempre un freno, che magari è dettato dal
tentativo di preservarti da guai e ritorsioni, ma credo che in
realtà se una è convinta di quello che fa dovrebbe essere
sostenuta.
In fabbrica le donne portano più
problematiche: i figli, il ciclo, la stanchezza (perché lavorano
anche a casa), ecc. La nostra esperienza dice che il trattamento
della direzione rispetto agli uomini che cercano di alzare la
testa è quasi lo stesso: il padrone usa un criterio di classe. Ma
è vero che riserva attenzioni maggiori verso le donne.
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