MARTEDÌ 29 NOVEMBRE 2016- GRANDE MANIFESTAZIONE DELLE DONNE/RAGAZZE DEL 26 - LA NOSTRA SPERANZA... E' CHE LA QUANTITA' SI TRASFORMI IN QUALITA'/ROTTURA
E' stata sicuramente una grande manifestazione quella di sabato 26 nov. a Roma contro la violenza sessuale. 200mila è un dato realistico, ed è stata veramente nazionale, erano presenti grandissimi o piccoli gruppi di donne, come donne singole venute da tutte le Regioni e da tutte le province, città, anche piccole.
Non dagli anni '70 come scrive erroneamente "Il manifesto", ma dalle grandi manifestazioni a Milano, Roma del 2006 e 2007, non c'era stata una mobilitazione così ampia.
Vi erano, insieme a donne non giovani o anziane, tante ragazze, giovani, vi erano in migliaia le universitarie della Sapienza di Roma, ecc.
Un corteo che è iniziato a muoversi quando sono arrivate tutte, tutti i pulmann - fermati ancora una volta (dopo la manifestazione nazionale dei migranti) dalla polizia/carabinieri, su una nuova direttiva del Ministero degli Interni che bisogna subito contrastare, non accettare (una direttiva che si aggiunge al divieto di cortei a Roma dal lunedì al venerdì, vergognosamente accettata dai sindacati), perchè se non contrastata diventerà un modo per impedire le manifestazioni, come vi sarà una terza, una quarta direttiva repressiva...
E' stato un corteo che ha occupato come un fiume le strade centrali di Roma.
Noi speriamo che tutta questa quantità - come succede nelle leggi delle natura - si trasformi in qualità. Sia in termini di continuità, estensione di una mobilitazione che tocchi tutti i nodi della violenza reazionaria contro le donne, sia soprattutto in termini di elevamento della lotta, di agirla contro tutti i nemici delle donne, non solo gli uomini che odiano le donne ma i padroni, governo Renzi, Stato che odiano sistematicamente le donne e hanno pure il potere di mettere in pratica questo odio che diventa attacco quotidiano.
Ma questo sarà possibile se la quantità produca anche al suo interno delle "rotture".
Perchè la manifestazione è stata bella e grande, ma la sua organizzazione/direzione nei contenuti, negli scopi di essa è stata, dall'inizio fino alla fine, al di là delle affermazioni, nelle mani dei centri antiviolenza, di associazioni paraistituzionali, di aree che fino a poco fa gravavano nell'area dell'attuale partito di governo (vedi Udi).
Queste realtà hanno reso una potenzialità di lotta di massa delle donne che poteva far preoccupare i veri nemici delle donne, una manifestazione che non poteva dare fastidio e non ha dato fastidio - "Con i complimenti - scrive Il Manifesto - del questore per l'organizzazione".
Lo stesso giornale il giorno dopo si sorprende che il premier Renzi non ha detto "neanche una parola. Neanche in onore della delega alle pari opportunità che si è tenuta fino allo scorso giugno". E perchè avrebbe dovuto dirla? Quella manifestazione, per lui, per il governo, non faceva paura, non era "contro". Era veramente un'impresa trovare un cartello, uno striscione
contro Renzi, nonostante con il suo Jobs act abbia reso permanente la precarietà, di cui le donne sono state e continuano ad essere le prime colpite, e stia permettendo ai padroni di licenziare tantissime lavoratrici, o nonostante questo governo, per i suoi interessi imperialisti, stia uccidendo ogni settimana centinaia di nostre sorelle migranti e bambini, ecc. ecc., nonostante processi e incarceri le donne che lottano (dalla No Tav a L'Aquila); come erano rari i cartelli contro le ministre che tagliano il diritto allo studio alle ragazze, tagliano o peggiorano asili, servizi sociali, che chiudono interi reparti ospedalieri, anche di maternità - e poi la Lorenzin, fa le campagne per la fertilità aprendo la strada a un nuovo attacco al diritto d'aborto; come era impossibile vedere cartelli contro i padroni che tolgono pure i minuti di pausa alle donne che devono correre tra lavoro e casa - ma qui chi li avrebbe potuti portare fondamentalmente non era presente in questa manifestazione...
E, allora, perchè meravigliarsi che Renzi, la stampa dei padroni non abbia parlato della manifestazione di sabato?
Il corteo non esprimeva, non poteva esprimere tutta la rabbia, il dolore, la ribellione delle donne che non ce la fanno più, non esprimeva la necessità di una guerra di classe e di genere, contro la guerra di bassa intensità e continua che subiamo.
Esprimeva una "marea", come è stata chiamata, ma tranquilla.
Da cui vengono "richieste" al governo, "richiami al suo dovere" per avere "più soldi, più servizi sociali, più educazione di genere, leggi migliori"", ma non certo viene un messaggio di lotta che faccia paura e preoccupi. E nei fatti, al massimo le richieste a cui questo governo moderno fascista potrà rispondere, sono soltanto una elemosina di fondi ai centri antiviolenza. Un governo che col suo Ministro degli Interni proprio nella giornata mondiale contro al violenza sulle donne, in un paese dove sono state uccise (per quelle che si sanno) 116 donne finora e tante ferite nel corpo e nell'anima, tante stuprate, ha sciorinato, a suo merito, presentando il calendario della polizia, cifre che dimostrerebbero una riduzione delle violenze sessuali.
Infine, due, ma veramente due, parole sul fatto della presenza degli uomini - tanto sottolineata, invece. Un bel cartello di una ragazza diceva: "In questo giorno tanti uomini sono pubblicamente solidali poi arriva domani, chiudono le porte e ti alzano le mani".
La questione non è uomini sì o uomini no, ma la necessità della lotta autonoma, separata delle donne, una lotta dura, che ponga chiaro la priorità del contro, non pacifica, accogliente (gli uomini hanno potuto partecipare e prendere la parola anche il giorno dopo, ai Tavoli). Questa lotta può e deve porre anche tra gli uomini, anche tra i proletari, rotture reali che continuino il "giorno dopo", non adesioni o sostegno, comprensione, o "battiture sul petto" che restano molto ma molto in superficie senza una rivoluzione.
Lenin - come abbiamo ricordato ieri - scriveva: "Pochissimi uomini - anche tra i proletari - si rendono conto della fatica e della pena che potrebbero risparmiare alla donna se dessero una mano al "lavoro della donna". Ma no, ciò è contrario ai "diritti e alla dignità dell'uomo"; essi vogliono pace e comodità..."; "Gratta un comunista (un compagno, diremmo oggi) e troverai un filisteo! Evidentemente bisogna grattare il punto giusto: la sua concezione della donna...".
Questa manifestazione non ha posto all'OdG la necessaria guerra come classe e come donne; ma è stata sì di classe, cioè espressione di una classe, quella della piccola e media borghesia, che vuole, appunto, miglioramenti, non rovesciare questo sistema capitalista che, come 100 anni fa, sempre e di più, si basa sulla proprietà privata, sulla famiglia, sulla conservazione dell'ordine statale esistente, e per questo non potrà che attaccare le condizioni di vita, di lavoro, opprimere sempre più le donne. Certo anche il 26 tante lavoratrici, precarie, disoccupate, immigrate, ecc. stavano alla manifestazione, ma non potevano stare come voce, come ideologia, come bi/sogni, come necessità di rompere tutte le catene, di rivoluzione.
La voce di queste donne proletarie stava ed era rappresentata il giorno prima, il 25, a piazza Montecitorio, nell'assedio al parlamento.
A queste donne, la polizia non ha fatto "i complimenti", ma è giunta in forze, con uomini e blindato, minacciando quando una parte di loro si è recata al giornale Il Messaggero.
Queste donne non sono entrate in parlamento per creare un "clima positivo e collaborativo" (come ha detto la Boldrini sull'incontro con le organizzatrici della manifestazione del 26), ma hanno imposto con l'assedio, espressione delle lotte di ogni giorno nelle loro realtà, di entrare in Parlamento, rompendo le regole sulle modalità e partecipazione agli incontri e ponendo subito, con gli interventi di forte denuncia delle lavoratrici, disoccupate, che noi non vogliamo sentire chiacchiere e false promesse, ma che dovete voi starci a sentire e noi vi giudicheremo sui fatti.
Queste donne, il giorno 26 hanno chiamato tutte ad un nuovo, più grande, esteso e forte sciopero delle donne - dopo quello da noi cominciato nel 25 novembre 2013 e nell'8 marzo di quest'anno e come hanno cominciato a fare anche in Argentina, Polonia, Islanda, Francia.
Ora lo "sciopero delle donne" nella giornata dell'8 marzo 2017, è diventata una parola d'ordine e un impegno assunto anche nei Tavoli del 27 novembre.
Ma sono e devono essere le donne proletarie, più sfruttate e oppresse, quelle che subiscono non una ma tutte le violenze fasciste, sessiste, razzista di questo sistema ad essere l'avanguardia e il riferimento, per contenuti, pratica, prospettiva.
LO SCIOPERO DELLE DONNE È OGGI L'ARMA DELLE DONNE LAVORATRICI, PRECARIE, DISOCCUPATE, DI CHI LOTTA OGNI GIORNO, PERCHÈ VI SIA UNA LOTTA GENERALE CONTRO TUTTO QUESTO SISTEMA BORGHESE, LOTTA RIVOLUZIONARIA.
Per questo non basta dire "facciamo come l'Argentina", ma anche capire e dire quello che hanno detto le donne argentine:
"In mezzo all’aumento della flessibilizzazione e ai licenziamenti, in un contesto dove la disoccupazione giunge al 9,3%, arrivando al 10,5% nel caso delle donne, con una crescente inflazione, in mezzo alla perdita di potere d’acquisto e al congelamento del consumo, noi donne ci siamo riappropriate della parola sciopero come uno strumento storico di lotta ma che, risignificandolo, lo usiamo noi doppiamente oppresse per rifiutare questa oppressione. Scioperiamo sia come classe e sia come donne, scioperiamo mentre i “ragazzi” della CGT vanno di riunione in riunione, civettando con il governo e difendendo i loro propri interessi, scioperiamo in mezzo a tagli, mancanze, precarietà... Oggi, noi donne dimostriamo che siamo molto più coscienti e, per questo, occupiamo le strade per mandare un messaggio chiaro: non siamo sole, siamo organizzate e daremo battaglia. Questo sciopero non farà finire i femminicidi. Non farà finire la violenza che esercitano su di noi, con la discriminazione che subiamo nel lavoro, con la criminalizzazione di quelle di noi che abortiscono, con la stigmatizzazione di quelle di noi che non sono madri, né vogliono esserlo, o con la repressione che colpisce quelle di noi che si organizzano contro il patriarcato.
Ma dopo questo 19 ottobre staremo un po’ più insieme, un po’ più organizzate, saremo un po’ più coscienti… Continueremo a trasformare l’ingiustizia, la rabbia e il dolore in più lotta".
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