Pubblichiamo
una raccolta di inchieste tra le braccianti, soprattutto della Puglia,
che mostrano l'intreccio quotidiano tra sfruttamento e
oppressione/violenza.
Una condizione
che non può affatto essere cambiata dalle nuove norme del governo, ma da
una ripresa della lotta, unitaria ed estesa, delle donne nei campi.
(Da GdM) -
"Soprattutto in campagna le donne sono sfruttate. Paola (di S. Giorgio
provincia di Taranto) è morta per sfamare la famiglia e crescere bene i
figli, lavorava anche il pomeriggio al ritorno da Andria, qui nelle
campagne di San Giorgio. Quelli che lavorano come lavorava Paola
dovrebbero prendere 52 euro al giorno; mi disse che ne prendeva poco più
della metà e arrotondava il pomeriggio per altri 15 euro... Paola
lavorava anche 30 giorni in un mese. A giugno dello scorso anno sono
segnate 25 giornate, di cui 21 consecutive. Chiaramente la busta paga di
quel mese non corrisponde a quanto appuntato. Nonostante siano bollate
da un'agenzia interinale.
Paola veniva pagata due euro per ogni ora di lavoro, nonostante però avesse un regolare contratto.
Venivano
contabilizzate meno giornate di quelle effettivamente lavorate in modo
da dribblare i controlli, come dimostrano i diari. E anche perché in
busta spesso erano appuntati degli anticipi che in realtà la lavoratrice
non aveva mai ricevuto.
Dall'opuscolo del Mfpr sulla "condizione di (in)sicurezza delle lavoratrici":
"...Provate a
chiedere l’età alle braccianti e l’80% delle volte, soprattutto tra le
donne non giovanissime, diranno un’età che è inferiore a quella che
sembra guardandole in faccia.
Alla fatica si aggiunge il sole o il freddo che rovina la pelle. Ma non basta, le lavoratrici rischiano
altre malattie, anche respiratorie, anche dell’apparato riproduttivo per le sostanze chimiche tossiche usate in agricoltura.
Queste operaie sono
nella maggior parte dei casi capifamiglia, separate; altre hanno il
marito disoccupato, o in famiglia ha un proprio caro da curare con
terapie e visite specialistiche costosissime. Riguardo al loro stato di
salute, ognuna di esse è affetta da patologie, chi soffre di artrosi,
chi di vene varicose, chi di ernia, chi di cervicale.
Le ore di lavoro sono
infinite, (dalle 12 ore, ma più frequentemente alle 14 ore), non hanno
una vita sociale, la loro vita si svolge: lavoro-letto letto-lavoro, si
lavora 7 giorni su 7.
Le ferie non
esistono, andare in bagno è un lusso, non si deve sostare più di due
minuti. Finanza e questura vanno per controlli ma le operaie giustamente
sono indignate perchè sanno benissimo che le aziende non saranno mai
colpite in prima persona, o al massimo pagheranno qualche multa.
In più aziende, oltre
le condizioni di lavoro alcune operaie devono anche subire molestie
verbali e bullismo dalle operaie più anziane.
Una denuncia che si
aggiunge è quella dell'uso di casse denominate in gergo tecnico G.P.R.
Questi sono dei contenitori in cui vengono poste cassette di frutta del
peso di 2 kg l'una per un totale di 20 kg che vengono sollevate per
svariate volte al giorno fino allo sfinimento del personale.
Da inchieste di giornaliste
Inizia a parlare
Maria, cinquantadue anni, un matrimonio naufragato alle spalle, senza
figli. Lavora in campagna da quando era poco più che una bambina, aveva
tredici anni. “Per poter andare avanti e sopportare i soprusi subiti
ogni giorno in campagna prendo gli antidepressivi. Due gocce quando
iniziano a insultarmi e ho di nuovo la forza di sopportare e guadagnarmi
da vivere”.
“Prima si lavorava
meglio, i sindacati erano dalla parte dei braccianti. Bastava una parola
ed era sciopero. Altri tempi, c’erano grandi sindacalisti; ci
tutelavano e potevamo incrociare le braccia, dire no al padrone e ai
caporali. Oggi il sindacato dovrebbe tornare alle origini e non aver
timore di farci fare le vertenze. Dei caporali non bisogna aver paura né
si può pensare di dialogare con loro. Dovreste vederli quando gridano:
più in fretta, più in fretta; mentre ci rompiamo la schiena” continuano
nel loro racconto corale le braccianti: “Lavoriamo tutti i giorni, anche
la domenica che non è considerata straordinario. Possiamo prendere un
giorno di pausa, avvisando il caporale con due settimane di anticipo.
Lavoriamo dalle 7 ore in poi, senza una pausa per mangiare il panino.”
In molti casi sono
loro a mantenere la famiglia: i figli, i loro mariti disoccupati. Sono
loro a mostrare una forza capace di sfidare tutto, soprattutto la
solitudine.
Possono fare i propri
bisogni solo sotto l’albero più vicino. Intimità zero: “Non possiamo
allontanarci, altrimenti viene il caporale e si arrabbia perché abbiamo
impiegato troppo tempo”. Il tempo in campagna e nelle aziende dove si
confezionano i prodotti della terra si è trasformato in un demone. La
bilancia su cui le donne pesano il raccolto è sincronizzata: se non
viene utilizzata per più di cinque minuti, si spegne. “E se passano
cinque minuti arriva la capo squadra a sbattere sul banco di lavoro il
cestino con la frutta. Un gesto che brucia”. In campagna come sotto i
tendoni “non possiamo portare più di una bottiglietta d’acqua. E’
vietato e non sono ammesse eccezioni, non si può discutere”, il sole è
alto e anche nei magazzini di confezionamento la temperatura è elevata,
insopportabile.
A comandare le
braccianti (il lavoro al femminile è più richiesto perché, ricordano le
donne: “Costiamo meno”) non ci sono solo i caporali, ma anche le
“vice-caporali”. Sono donne, a detta delle braccianti, capaci in poco
tempo di “far carriera con successo”. Sono una sorta di kapò al
femminile con una funzione di ricatto. È lei la persona di fiducia del
caporale che controlla le lavoratrici sul campo. “Il suo ruolo è di
subordinare psicologicamente le braccianti, garantendo loro assunzioni
se rinunciano ai diritti. Alla minima protesta, rimostranza o
insubordinazione si resta a casa per punizione”. Le lavoratrici sono
sotto il loro controllo e non c’è ombra di solidarietà femminile. La
solidarietà è quasi impossibile anche fra braccianti: “Non possiamo
aiutare le ultime arrivate. Il caporale non vuole. Chi è veloce e
sveglia e impara subito il lavoro va avanti, altrimenti viene sostituita
dal giorno dopo”.
Il salario è di 5.60
euro netti all’ora, “ma quasi la metà la trattiene il caporale. Così
loro possono comprarsi il fuori strada, mentre noi non riusciamo ad
arrivare a fine mese. Non sempre riusciamo a pagare tutte le bollette.”
“In provincia di
Taranto, con inquadramento minimo, posso avere una busta paga
‘ufficiale’ di 47 euro lordi, però in realtà me ne arrivano 27, massimo
28 a giornata. L’azienda ci dà il foglio di assunzione, noi dobbiamo
portarlo con noi tutti i giorni nel caso ci dovesse essere un controllo.
L’autista del pullman risulta essere un dipendente dell’agenzia di
viaggio”. I datori di lavoro mettono la paga del caporale sull’assegno
che percepiscono le lavoratrici, le quali riscuotono e danno al caporale
la sua parte in nero.
“Ora si raccoglie
l’uva, quindi c’è lavoro per tutti, ma tornate d’inverno quando da
raccogliere ci sono solo le arance, fa freddo, c’è il ghiaccio, e
rischiamo di scivolare e romperci una gamba per 27 euro lordi al
giorno”.
(da Emanuela Carucci)
Braccianti pugliesi raccontano la loro vita, tra campi e magazzini - di Francesca Buonfiglioli
ISPEZIONATE SOLO IL
4,5% DELLE AZIENDE. Rischio che, in Puglia, è basso. Nel 2014 i
controlli sono stati 1.818 su 40 mila imprese. Nel 55% dei casi è stata
denunciata una qualche inadempienza. E di questi l'80% era per lavoro
nero.
«Ci svegliamo alle 2
di notte. La caporale passa con il bus alle 3», il luogo di lavoro che
spesso viene comunicato la sera prima. Finite le ore, si riprende il
pullman: un'ora e mezzo, due di strada e si torna a casa. «Dove cerco di
sbrigare le faccende domestiche, solo l'essenziale», dice Maria, quasi
giustificandosi.
IL TRASPORTO A CARICO
DELLA LAVORATRICE. E con i chilometri, aumenta anche il prezzo del
passaggio. Dai 5, 10 euro arrivano fino a 10, 15, detratti naturalmente
dalla paga giornaliera di 36 euro circa. Si lavora sodo, fino a 10 ore
al giorno, contro le 6 e mezzo contrattuali. Di straordinari nemmeno
l'ombra
IL RICATTO
QUOTIDIANO. Lamentarsi, o solo chiedere chiarimenti su orari, contratti e
buste paga non conviene: «La caporale trova il modo di punirti. Per
esempio non ti fa lavorare per due, tre giorni di fila». Si vive
quotidianamente sotto ricatto. Per questo «è quasi impossibile che una
bracciante italiana denunci una caporale», precisa Maria, «la voce si
spargerebbe in giro, e per lei non ci sarebbe più lavoro».
Solo in Puglia sono
tra le 30 e le 40mila le donne gravemente sottopagate, a cui vanno
aggiunte diverse altre migliaia in Campania e in Sicilia. I caporali
intascano 12 euro per ogni donna che hanno “procurato”. Anche se hanno
un regolare contratto, vengono pagate 20-25 euro al giorno. Mentre sulla
busta paga ne risultano 45. Succede soprattutto nel Casertano e nel
Salernitano. “Mentre lavorano le donne vengono controllate da un
guardiano, che grida continuamente di non distrarsi e di essere più
veloci. Per andare in bagno hanno 10 minuti a turno. E se qualcuna si
rifiuta di andare sui campi in un giorno di festa, come il 15 agosto,
viene ‘punita': per qualche giorno non la fanno lavorare”. E se una
ragazza è considerata troppo ribelle non viene scelta. Le donne
selezionate vengono caricate sui furgoni o ammassate – anche in 30 – in
camion telonati. Per questo trasporto bestiame ogni lavoratrice paga
fino a 7 euro a viaggio.
STRONCATE DALLA
FATICA. «Sotto i tendoni a 50 gradi senza acqua». «Se finisce l'acqua»,
spiega Maria, «nessuno te la dà. Non si beve e basta». Una vita dura,
durissima. Che lei ha cominciato a fare a 11 anni. «Allora le condizioni
erano anche peggiori, soprattutto per il trasporto. Negli Anni 80 molti
braccianti sono morti in incidenti per arrivare sul posto di lavoro».
Le cose sono poi migliorate, ma per poco. «Adesso siamo tornati
indietro”
Paradossalmente, in
passato si lottava di più. «C'era un maggiore senso del gruppo, più
solidarietà. Adesso ognuna pensa a se stessa, a portare a casa la
pagnotta. Se puniscono una di noi lasciandola a casa per due o tre
giorni, le altre si voltano dall'altra parte». La crisi, soprattutto al
Sud, ha giocato un ruolo importante.
A fronte di un tasso
di occupazione femminile medio del 64% nell’Europa a 28 in età 35-64
anni, il Mezzogiorno si ferma al 35,6%. Le percentuali sono più
preoccupanti se si considerano le under 34: l'occupazione al Sud si
ferma al 20,8% contro una media nazionale del 34% (il Settentrione segna
un 42,3%) ed europea del 51%. Per le donne del Sud non ci sono molte
alternative. «Siamo costrette ad accettare quello che troviamo, anche a
condizioni disumane».
«LO STATO SI È
DIMENTICATO DI NOI». «Ogni notte partono centinaia di bus dai paesi
della Puglia, e ogni pomeriggio fanno rientro, proprio nell'ora della
pennichella, quando tutti - carabinieri e polizia compresi - possono
vederci. Ma nessuno alza un dito, nessuno fa qualcosa per fermare questa
piaga. Siamo come dei fantasmi». E si arrabbia anche quando sente il
presidente del Consiglio Matteo Renzi accusare i meridionali di
piangersi addosso. «Che venisse a fare il mio lavoro», lo invita, «ma
alle stesse condizioni. E anche solo per una settimana».
Per mascherare di
legalità il caporalato, l’intermediazione illecita avviene usando
importanti agenzie di somministrazione del lavoro.
LE BRACCIANTI
STRANIERE schiavizzate in agricoltura sono 15mila (contro i 5mila
uomini). Sono quasi sempre giovani mamme, ricattabili proprio perché
hanno figli piccoli da mantenere.
Ad Amina hanno
raccontato che tutti i soldi guadagnati in un mese servono per pagare il
viaggio, gli spostamenti, l’acqua, il vitto. E che, anzi, è lei ad
essere in debito. E che deve continuare a lavorare fino a quando non
sarà saldato. Altrimenti niente paga e niente documenti. “Fai quello che
ti diciamo, oppure ti ammazziamo”. Si è dovuta anche prostituire in
cambio della libertà. Molte altre restano a spezzarsi la schiena fino a
14 ore al giorno.
Ragazze reclutate in
Romania. I caporali che operano in Puglia vanno a reclutare le ragazze
soprattutto nelle zone agricole della Romania. Qui non si tratta di
caporali e basta, si tratta di organizzazioni criminali. Malavita. Il
caporale è solo un anello della catena. Gli annunci per questi lavori
escono addirittura su un giornale romeno.
In Campania ad essere
schiavizzate sono le donne africane. “Se non accettano di avere
rapporti sessuali con il datore di lavoro (quasi sempre italiano, ndr)
non vengono pagate. Non hanno permesso di soggiorno, ed essendo
clandestine sono le più ricattabili”.
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