Da nena-news
Un’immagine del peschereccio Marianne, parte della precedente Flotilla (Foto: Freedom Flotillla) |
La Freedom Flotilla Coalition lancia il progetto “Women’s
Boat to Gaza”: un’imbarcazione, guidata da un equipaggio femminile,
cercherà di raggiungere la Striscia. Un’iniziativa per sottolineare la
centralità delle donne nella lotta dei palestinesi
di Giovanni Vigna
Roma, 25 gennaio 2016, Nena News - Perché gli uomini fanno
la guerra? Forse per rispondere a questa domanda radicale, che tra
l’altro dà il titolo a un noto libro del filosofo Bertrand Russell, è
necessario focalizzare l’attenzione più sulla parola “uomini” che sul
termine “guerra”. Nel senso che, probabilmente, la guerra è una “cosa da
uomini”, risponde a una logica maschile di violenza, prevaricazione e
sopraffazione, è combattuta per lo più dagli uomini, fatta eccezione per
le famose ed eroiche soldatesse curde che lottano contro l’Isis accanto
ai colleghi maschi e per le donne che in alcuni paesi occidentali
decidono di arruolarsi nell’esercito e che, tuttavia, rappresentano una
minoranza.
Per attirare l’attenzione della comunità internazionale sulla
drammatica condizione del popolo palestinese, la Freedom Flotilla
Coalition, movimento internazionale che promuove iniziative finalizzate a
porre fine all’assedio su Gaza, ha lanciato il progetto “Women’s Boat
to Gaza”: un’imbarcazione, guidata da un equipaggio femminile,
sfiderà il blocco dell’esercito israeliano sulla Striscia. L’obiettivo
delle attiviste è rompere l’assedio militare, manifestare la propria
solidarietà nei confronti del popolo palestinese e, in particolare,
delle donne, il cui ruolo è ritenuto essenziale nella lotta per
l’indipendenza dall’occupazione militare israeliana.
Per spiegare in cosa consiste il progetto “Women’s Boat to Gaza”, abbiamo intervistato Wendy Goldsmith, attivista della Freedom Flotilla Coalition.
Per spiegare in cosa consiste il progetto “Women’s Boat to Gaza”, abbiamo intervistato Wendy Goldsmith, attivista della Freedom Flotilla Coalition.
Wendy, qual è il suo ruolo nel progetto “Women’s Boat to Gaza”?
“Sono una delle tante persone che, in tutto il mondo e all’interno
della nostra coalizione internazionale, stanno lavorando per mettere
fine al blocco illegale che opprime Gaza. Sono un membro
dell’“International Media Committee” e del “Canadian Boat to Gaza
Steering Committee”. I nostri attivisti provengono da tutti i settori
della società civile e hanno un obiettivo comune: rompere l’assedio di
Gaza via mare”.
In cosa consiste il progetto “Women’s Boat to Gaza”?
“Si tratta di un progetto promosso dalla Freedom Flotilla Coalition.
Lanciando una nave tutta al femminile, le donne di tutto il mondo
puntano a evidenziare i contributi innegabili e lo spirito indomito
delle donne palestinesi che svolgono un ruolo centrale nella lotta del
proprio popolo a Gaza, nella Cisgiordania, all’interno della Green Line e
nell’ambito della diaspora. Il progetto “Women’s Boat to Gaza” cerca
non solo di sfidare il blocco israeliano ma anche di dimostrare
solidarietà e portare un messaggio di pace al popolo palestinese, con il
supporto di donne, uomini, organizzazioni non governative, gruppi della
società civile e collettivi femminili provenienti da tutto il mondo”.
Perché le donne palestinesi sono considerate centrali nella lotta del popolo palestinese?
“Com’è noto le donne ricoprono un ruolo fondamentale nelle culture di
tutto il mondo e svolgono una funzione significativa quando bisogna
affrontare abusi e traumi. Le donne, che costituiscono più della metà
della popolazione mondiale, sono le madri e le persone che si prendono
cura e sostengono la vita. Di conseguenza è fondamentale che la loro
voce sia ascoltata soprattutto durante i periodi nei quali vengono
commesse ingiustizie. In particolare le donne palestinesi hanno sofferto
e lottato contro le ingiustizie al fine di mantenere unite le proprie
famiglie, piangere i propri cari e ricostruire un senso di speranza e di
potere. Infatti sono le donne che si battono per assicurare una
condizione di sicurezza ed equilibrio per i propri figli e per le
persone amate. Questo è particolarmente evidente a Gaza e in tutta la
storia della diaspora del popolo palestinese”.
I palestinesi di Gaza vivono in una condizione di continua emergenza.
“Nonostante le bombe, le macerie, l’interruzione della corrente
elettrica e la mancanza di acqua potabile, malgrado le restrizioni e i
tormenti inflitti da uno dei più potenti eserciti del mondo, il popolo
di Gaza è determinato a continuare a vivere. Le donne della Striscia
raccolgono ciò che rimane dei beni di famiglia tra le macerie delle case
distrutte: uno sgabello rotto, una padella ammaccata, una bottiglia o
un quaderno scolastico. E cercano di ricostruire questi oggetti. Sanno
come si fa perché hanno dovuto impararlo. Ogni giorno cuociono il pane e
il riso e consolano i propri figli che di notte piangono perché temono
che gli aerei israeliani tornino a bombardare. Le donne di Gaza sono
baluardi di resistenza e vita. Non permettono che il proprio spirito
venga distrutto nonostante la devastazione che le circonda. Perciò molte
donne provenienti da diversi paesi si stanno unendo per raggiungere le
donne di Gaza, per esprimere la propria solidarietà alla popolazione
assediata, per portare un abbraccio e per rendere omaggio al coraggio e
alla forza di queste donne, che sono nostre sorelle”.
In Italia arrivano notizie dalla Palestina ma, in generale,
non si conosce in modo approfondito la realtà quotidiana delle donne
palestinesi. Possono essere definite persone libere?
“Ebbene, la libertà è un concetto relativo. Le donne palestinesi sono
libere di viaggiare fuori e all’interno della Striscia di Gaza? No.
Sono libere di vivere la propria vita senza la minaccia dell’occupazione
militare israeliana e senza minacce fisiche? No. I loro figli sono
liberi di andare a scuola senza la paura di essere attaccati fisicamente
e mentalmente? No. Le donne sono libere di vivere una vita colma dei
piaceri e delle gioie che caratterizzano la “normalità”? No, non lo
sono. Finché la brutale occupazione israeliana non finirà, nessun
palestinese sarà libero.
Da nove anni oltre un milione e 800mila persone, oppresse dal crudele
e disumano blocco dell’esercito israeliano, sono rinchiuse in un’area
di non più di 360 chilometri quadrati, dove le forze armate vanno e
vengono come vogliono. I soldati israeliani fanno fuoco dalle loro torri
di guardia sui contadini che hanno la sfortuna di possedere terre
troppo vicine ai confini. Le navi della marina israeliana a loro volta
fanno fuoco sui pescatori che tentano di pescare in zone dove tale
attività è attualmente vietata. Periodicamente gli elicotteri Apache
dell’esercito israeliano compiono incursioni che loro definiscono
“omicidi mirati” ma purtroppo non sono mai realmente “mirati”. E di
tanto in tanto il governo israeliano decide di lanciare un’offensiva
devastante seminando morte e distruzione in quel lembo di terra
martirizzata che è la Striscia di Gaza”.
Gaza è stata rasa al suolo dai massicci bombardamenti dell’estate 2014.
“Nonostante le promesse fatte dalla comunità internazionale dopo
l’atroce operazione militare del 2014, molto poco è stato ricostruito
nella Striscia. L’esercito israeliano non consente che i materiali edili
entrino a Gaza, dove gli abitanti hanno solo sei ore al giorno di
corrente elettrica e dove il tasso di disoccupazione ha raggiunto il
42%. Secondo i report delle Nazioni Unite 400mila bambini gazawy hanno
bisogno di assistenza psicologica. Un rapporto dell’Onu avverte che, se
non si troverà un rimedio, entro cinque anni Gaza diventerà
inabitabile”.
La vostra imbarcazione sfiderà il blocco israeliano. Sarà rischioso?
“Esatto, la barca sfiderà il blocco israeliano e, sì, in ogni sfida è
implicito un rischio. Ma noi riteniamo che il rischio di non fare nulla
sia di gran lunga più grave del rischio di fare qualcosa. Per questo
vogliamo rompere l’assedio su Gaza. Essendo il nostro progetto di natura
pacifica e non violenta, intendiamo correre questo rischio. D’altra
parte per i palestinesi di Gaza è la vita quotidiana a essere rischiosa.
In una situazione normale non dovremmo correre rischi per dimostrare la
nostra solidarietà ma, in Palestina, è Israele che determina
un’esposizione al rischio. Siamo determinati a manifestare la nostra
solidarietà nei confronti degli abitanti di Gaza perché il blocco è un
crimine che viene perpetrato contro questo popolo ormai da nove anni.
Questa situazione persiste a causa del silenzio, della passività e della
complicità di tanti governi che si autodefiniscono democratici. Noi non
vogliamo essere conniventi con questo crimine e, per questo motivo,
salperemo ancora una volta a bordo di una barca per arrivare a Gaza”.
Quando salperete?
“La data esatta non è ancora stata stabilita ma prevediamo di
annunciarla nel giorno della festa internazionale delle donne, l’8
marzo”.
Da chi sono formati l’equipaggio e il gruppo che si occupa dell’organizzazione del progetto “Women’s Boat to Gaza”?
“Questo progetto, promosso da una coalizione internazionale, coinvolge sia donne che uomini. Siamo membri della
società civile che hanno accumulato molti anni di esperienza e saggezza
collettiva, lavoriamo sia nei nostri paesi che in Palestina con i
nostri fratelli e le nostre sorelle”.
Nessun commento:
Posta un commento