Le stragi in mare sono ormai quotidiane e quasi non fanno più
scalpore, come non indignano più di tanto i rifugiati
ammassati alle frontiere che premono per l’apertura di un
corridoio umanitario. Gli scenari dell’immigrazione sono
completamente cambiati, la situazione si evolve continuamente
come le rotte dei trafficanti che ora volgono sempre più,
anche a fronte della chiusura delle frontiere ad est, sul lato
sud della costa adriatica, come dimostra l’ultimo naufragio
avvenuto qualche giorno fa in Puglia. Ma, allo stesso tempo,
assistiamo all’apertura di nuovi spazi di detenzione, centri di
contenimento e smistamento, luoghi privi di status giuridico ma
con gravi ripercussioni sulla libertà e sui diritti dei
migranti. La strage
dei migranti in mare e nell’attraversamento
di paesi e confini continua, infatti, anche dopo le operazioni
di soccorso in mare, continua alle nostre frontiere dove è
decisa in modo del tutto arbitrario la sorte di chi è
sopravvissuto al viaggio e ai trafficanti, chi far emergere e
chi “sommergere”, chi accogliere e chi respingere. Difficile
quantificare i “sommersi e i salvati”. Già da diversi mesi
erano emerse notizie su probabili espulsioni e respingimenti
collettivi dei migranti provenienti in particolare da alcuni
paesi come la Nigeria, il Gambia, il Senegal e i paesi
dell’area del Maghreb, ma nell’ultimo periodo, a Taranto come
in Sicilia, i sospetti sono diventati dati certi. Appare
urgente ed indispensabile affrontare una riflessione collettiva
sulle profonde trasformazioni in atto nel complessivo sistema
del diritto d’asilo tra respingimenti alle frontiere, selezioni
arbitrarie, procedure illegittime, apertura di nuovi non-luoghi
dall’incerto profilo giuridico, un inefficace sistema di
accoglienza e la creazione di una nuova schiera di
“irregolari”. La Puglia come laboratorio ove sperimentare e
testare nuove procedure A Taranto le espulsioni e i
respingimenti al momento dello sbarco stanno assumendo le
dimensioni di un fenomeno sempre più preoccupante. L’ultima
volta è accaduto il 7 dicembre scorso, quando sono arrivate
più di 600 persone a seguito di diverse operazioni di
salvataggio in mare ed i migranti sono stati suddivisi in vari
gruppi accedendo a procedure diversificate: un caso che ben
si presta a rappresentare il paradigma del diritto d’asilo oggi
in Italia in tutte le fasi della procedura. Dalle informazioni
raccolte la suddivisione è avvenuta in base alla sola
nazionalità in violazione di tutte le norme che regolano il
diritto soggettivo all’asilo. Ai migranti, appena giunti, è
stato distribuito un “foglio notizie”, senza aver ricevuto
alcuna informativa, senza la presenza di mediatori
linguisticoculturali e senza alcuna considerazione della
condizione di stress psico-fisico per le difficoltà patite
te il percorso migratorio e il viaggio. Il “foglio notizie” è servito, con modalità che hanno approfittato dello stato di confusione e dell’evidente condizione di soggezione, a selezionare i migranti definiti “economici” e a distinguerli dai potenziali richiedenti protezione internazionale, con notifica di un provvedimento di respingimento. Dunque, nessuna reale informativa sulla possibilità di richiedere protezione internazionale. Si ricorda che l’obbligo di adeguata informativa è espressamente previsto dalle norme, dal d.lgs 142/2015 e dal d.lgs 25/08 che agli artt. 10 e 10 bis ne prevede l’espletamento anche ai valichi di frontiera. Anche la Cedu è intervenuta più volte sul dovere di informare compiutamente tutti i cittadini stranieri, in particolare coloro che potrebbero essere destinatari di provvedimenti di allontanamento, sulla possibilità di richiedere la protezione internazionale. Un gruppo di nazionalità nigeriana è stato immediatamente trasferito nei Cie di Bari e Restinco (Br), mentre circa 150 persone provenienti dall’area del Maghreb sono state rilasciate sul territorio con un provvedimento di respingimento differito e l’intimazione a lasciare l’Italia entro sette giorni e, di fatto, condannati ad una condizione di irregolarità non avendo neanche la reale possibilità di eseguire l’eventuale allontanamento dall’Italia. Nel Cie di Bari è avvenuta la nota violazione nell’esercizio del diritto di difesa e solo con estrema difficoltà i richiedenti hanno potuto formalizzare la loro richiesta d’asilo. I richiedenti nigeriani, dopo essere stati rilasciati, non hanno avuto accesso ad alcuna forma di accoglienza, tuttora negata, usufruendo solo di servizi a bassa soglia per senza fissa dimora. L’assenza di prima accoglienza per i richiedenti “non soccorsi in mare”, non è purtroppo un episodio isolato a Bari: infatti tutti i migranti che riescono con molta difficoltà a formalizzare la richiesta di asilo presso la questura, non accedono ad alcuna accoglienza perché nel Cara di Bari, nuovo Hub regionale, fanno ingresso solo i migranti trasferiti dalle zone di sbarco per essere relocati. La mancata accoglienza, violando un preciso obbligo normativo, rende qualunque richiedente asilo un soggetto ancora più fragile e in una condizione di estrema precarietà esistenziale che pregiudica o compromette qualsiasi percorso di inclusione. Tutti i richiedenti asilo hanno diritto alla prima accoglienza, l’arbitraria distinzione tra inesistenti categorie sta creando un’ulteriore situazione di emergenza, soprattutto nelle regioni frontaliere. Il caso riportato è solo uno di quelli emersi, non costituisce l’unico né in Puglia né alle altre frontiere ed è una perfetta rappresentazione dell’evoluzione del diritto alla protezione in Italia e delle violazioni in atto. Quello che sta avvenendo è solo un’anticipazione degli hotspot anche dove non ancora formalmente istituiti. La procedura “Hotspot”
Gli hotspot sono strutture previste per identificare e fotosegnalare i migranti (con trattenimento senza alcun provvedimento e con il probabile uso della forza per le impronte digitali come chiede l’UE), non previste o legittimate da alcuna norma comunitaria e nazionale, ma in realtà un vero e proprio metodo che prescinde da un luogo fisico come dimostra quanto accaduto a Taranto nel corso dell’ultimo anno e che viola il diritto d’asilo. Gli hotspot costituiscono in realtà la procedura di selezione e distinzione tra chi ha il diritto di chiedere asilo e i “migranti economici” da trattenere nei Cie, da rimpatriare o da rilasciare con l’intimazione ad abbandonare l’Italia entro sette giorni. La procedura hotspot è il cuore della nuova politica restrittiva in materia di un già debole diritto d’asilo, vero centro delle disposizioni europee che ruotano intorno alla “relocation” in altri paesi europei di richiedenti asilo con specifiche nazionalità, operazione sulla quale si è costruita una propaganda che non è però supportata da altrettanti dati reali. Le indicazioni europee sono state recepite dalla Road Map italiana che è un documento politico privo di alcuna base giuridica. Ci troviamo di fronte ad una serie di violazioni con il preciso scopo di escludere e selezionare il più possibile, la “procedura hotspot” è illegittima in tutte le sue fasi sul piano delle norme ed è lesiva dei diritti delle persone; né appare chiara la presenza dei funzionari delle agenzie europee (Frontex, EASO, Europol ed Eurojust), a quale mandato rispondano e con quali modalità operative agiscano. I respingimenti collettivi sono contrari alle norme europee e l’Italia è stata già condannata dalla CEDU. I provvedimenti di respingimento seppure redatti separatamente, sono documenti standardizzati e identici con l’unica differenza dei dati personali, la mancanza assoluta di qualunque motivazione o informazione individuale, nessun riferimento alla situazione personale e dunque nessuna prova che siano avvenuti colloqui individuali. Gruppi di persone aventi la stessa nazionalità, senza una valutazione reale e differenziata della propria situazione personale vengono respinti. Il meccanismo che si sta delineando è quello della “fabbrica dell’irregolarità”, la costruzione di un bacino di migranti “irregolari per forza”. I respingimenti collettivi, il mancato accesso alla procedura sia nei cosiddetti hotspot o nei luoghi di sbarco e sia nelle questure, la mancata accoglienza e dunque la negazione di qualunque percorso per la costruzione di un progetto individuale in autonomia, il restringimento stesso del riconoscimento della protezione da parte delle Commissioni Territoriali persino in presenza di condizioni e/o categorie vulnerabili quali minori soli e vittime di tratta, dimostrano che la direzione è quella di un diritto selettivo che non considera né l’evoluzione delle migrazioni forzate, né lo scenario internazionale attuale e quello prossimo, i conflitti in corso e quelli che si stanno delineando, né le vulnerabilità. L’unica prospettiva immaginabile è una schiera di persone condannate all’irregolarità nell’immediato o nel breve periodo, persone facilmente ricattabili a fronte di una precarietà esistenziale e dunque probabili vittime di sfruttamento sessuale e /o lavorativo che andranno ad alimentare i cosiddetti “ghetti” nelle campagne e in città.
Diritto di asilo negato Quello che sta avvenendo è la costruzione di ulteriori dispositivi di negazione del diritto d’asilo, esclusione e fragilità sociale di chi è costretto a migrare dal proprio paese. Le identificazioni approssimative, le interviste sommarie senza la minima considerazione del trauma per il viaggio, l’assenza di alcuna valutazione delle situazioni personali e delle condizioni di vulnerabilità (compresa la minore età), la mancata attenzione all’emersione di particolari necessità e bisogni, la discriminazione sulla base del paese di origine (il “racial profiling”), l’assoluta discrezionalità di cui si testimonia in questo documento sono segnali inquietanti della trasformazione del diritto d’asilo che si prefigura sempre più selettivo sin dal momento dell’arrivo e dunque dell’accesso alla procedura. In questa prospettiva acquistano centralità i luoghi di sbarco, gli hotspot, gli hub regionali con assenza o insufficienza di adeguata informativa, la discriminazione e discrezionalità nella profilazione dei migranti, le violazioni dei diritti fondamentali, l’inefficacia delle organizzazioni internazionali presenti nelle zone di sbarco e nei centri governativi che rischiano di essere complici silenti di un tale sistema. Ma appare altrettanto importante quello che sta accadendo alle principali frontiere oltre ai porti identificati come luoghi di sbarco per le operazioni di soccorso in mare, come ad esempio la Puglia e il Friuli Venezia Giulia dove registriamo la negazione o la limitazione delle richieste di asilo e la negazione dell’accoglienza. Importante monitorare l’operato delle Commissioni Territoriali e la restrizione dei riconoscimenti soprattutto in relazione ad alcune nazionalità (subsahariani, pachistani, maghrebini) la non considerazione delle vulnerabilità, nonché il peggioramento delle modalità di ascolto a fronte di una dichiarata esigenza di razionalizzazione. Indispensabile il monitoraggio del sistema di accoglienza ormai prevalentemente di tipo “straordinario” (i CAS, spesso strutture non idonee, spesso decentrate e prive di adeguati servizi quali mediazione, orientamento legale, orientamento al lavoro) che crea ed amplifica una condizione di fragilità del titolare di protezione. Necessario agire una puntuale azione di monitoraggio nei Cie che in questa fase, nella “procedura hotspot”, sembrano assolvere ad un’altra precisa funzione, da ritenere indispensabile la riapertura di alcune strutture come è avvenuto a Restinco (Brindisi). Lo scenario delle migrazioni è mutato e modificato è il contesto generale, il diritto d’asilo è fortemente violato e compromesso, perciò appare necessario promuovere momenti di analisi e confronto per lo sviluppo di azioni comuni, per la riaffermazione del diritto alla protezione e alla dignità dei migranti. 22 Gennaio 2016 Asgi Puglia
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