30/06/21

Nuova strage di donne in mare. Le stragi imperialiste non sono una fatalità, ma il frutto marcio di questa società, che mentre ciancia di "uguaglianza di genere" finanzia il respingimento delle nostre sorelle migranti nei lagher libici e si appresta a fare altrettanto sulla rotta balcanica sul "modello Turchia"

Migranti, la strage delle donne: deserto di soccorsi nel Mediterraneo centrale

L'Ue punta tutto sui guardacoste libici, mentre le navi delle ong sono quasi tutte ferme per controlli e quarantene


Aumenta la conta dei morti nel Mediterraneo centrale, ma la rotta migratoria più letale del mondo resta un deserto senza soccorsi. Le navi delle ong sono quasi tutte ferme per procedimenti amministrativi e obblighi di quarantena. L’Unione europea si guarda bene dall’impegnarsi in operazioni di pattugliamento in acque internazionali. Quasi tutto il “lavoro sporco” è demandato alla Guardia costiera libica, che però nel caso dell’ultimo naufragio c’entra poco, perché il barchino affondato a sole 5 miglia da Lampedusa era partito dalla Tunisia e non dalla Libia, da cui in migliaia cercano di fuggire per essere ricacciati indietro. Storie di abusi, privazioni, viaggi impossibili che si consumano nell’indifferenza di un’Europa più che mai smaniosa d’estate e leggerezza, da anni abituata all’idea che il Mare nostrum sia, per altri, cimitero.

A Lampedusa l’ennesima tragedia suscita la rabbia del sindaco Totò Martello. “Non si vuole prendere coscienza di quello che succede nel Mediterraneo, non vale a nulla la solidarietà che, adesso, ci arriverà. Perché la solidarietà deve essere vera e concreta”. Sul molo Favarolo sono stati portati i cadaveri di sette donne, tra cui una incinta, ma i dispersi sono almeno nove, soprattutto bambini. L’imbarcazione era partita da Sfax, in Tunisia, con a bordo una sessantina di persone; tra le nazionalità segnalate Costa d’Avorio, Burkina Faso, Guinea e altre. Le donne ivoriane che arrivano dalla Tunisia, in particolare, sono spesso vittime di tratta sia a scopo sessuale sia a scopo di sfruttamento domestico, una doppia vulnerabilità che le accomuna alle nigeriane che giungono dalla Libia.

Quello che le organizzazioni competenti lamentano da tempo è l’assenza di un sistema di soccorso in acque internazionali, che assieme alla mancanza di vie legali per entrare in Ue rende il Mediterraneo un campo aperto per i trafficanti di esseri umani.

È per sopperire a questo vuoto che sono scese in mare le navi delle ong, il cui lavoro è però continuamente bloccato da fermi amministrativi o rallentato da misure anti-Covid. La Geo Barents, la nave con cui Medici Senza Frontiere è tornata in mare a metà maggio, si trova attualmente al porto di Augusta, con l’equipaggio in quarantena dal 19 giugno; oggi dovrebbe essere l’ultimo giorno. La Sea Watch 3 è in cantiere a Burriana, in Spagna, sotto fermo amministrativo del governo italiano che ha autorizzato il viaggio di sola andata. La Open Arms, partita da Pozzallo dopo una nuova ispezione il 25 giugno, è ora diretta in Spagna per cantiere. Sea Watch è in fermo amministrativo, così come Sea Eye 4. Mediterranea è in cantiere a Chioggia, mentre l’Aita Mari ha fatto ritorno in Spagna, senza aver fatto la quarantena. La Ocean Viking è partita domenica sera dal porto di Marsiglia: “i team a bordo – fa sapere la ong - stanno attualmente svolgendo una serie di esercitazioni prima di raggiungere il Mediterraneo centrale. Una volta arrivata nella zona delle operazioni sarà – purtroppo – l’unica nave di soccorso civile presente nell’area”.

Da huffingtonpost

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