Una lotta di operaie combattive contro la produzione di mine per la guerra in Iraq “Noi non saremo complici”, il sostegno attivo di Gino Strada contro la guerra, i padroni che per il profitto fanno di tutto, i governi italiani sempre a sostegno delle guerre…
In questo articolo del manifesto ancora un omaggio alle battaglie di Gino Strada, in questa occasione insieme a delle operaie combattive.
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Un pugno di operaie di un piccolo paese fermò le mine
In pace. Successe alla Valsella insieme a Gino Strada
Gino Strada, fondatore di Emergency
Eravamo nei primi anni novanta quando la Valsella Meccanotecnica di Castenedolo (Bs), controllata dalla Fiat, era leader nazionale nella produzione di mine anti-uomo vendute all’Iraq in 9 milioni di esemplari. Vi lavoravano una decina di ingegneri progettisti, pagati a peso d’oro, e 40 operaie, addette allo stampaggio, per 800 mila lire al mese.
In assemblea ponemmo il problema della corresponsabilità anche di chi lavorava alla costruzione di quegli ordigni di morte. La prima risposta fu: “Noi non abbiamo le mani sporche di sangue; se non facciamo noi le mine le farà qualcun altro”. Allora organizzammo un incontro in Camera del lavoro con Gino Strada. E tutto il consiglio di fabbrica. La riunione fu introdotta da un documentario che Gino aveva portato con sé, mostrava i tragici e indiscriminati effetti delle mine, soprattutto sulla popolazione civile, sui bambini, con mutilazioni permanenti, provocate da ordigni in qualche caso fatti a forma di giocattolo affinché suscitassero l’interesse dei più piccoli. Lo shock fu potente ed innescò nelle lavoratrici una catarsi, una presa di coscienza che avviò una delle più straordinarie battaglie sindacali e di civiltà che io ricordi.
A quel primo incontro con Gino Strada ne seguirono altri e progressivamente maturò la decisione di chiedere l’interruzione della produzione delle mine e l’avvio di un processo di riconversione. Ma la Valsella non aveva alcuna intenzione di rinunciare ad una produzione lucrativa come nessun’altra. Cominciarono gli scioperi, via via più intensi, fino a trasformarsi in un blocco a oltranza dell’attività. Il prezzo fu altissimo. Dopo mesi di lotta le operaie e le loro famiglie vivevano a credito. La lotta non aveva contenuti salariali o normativi. Era il grido di donne che dicevano all’azienda dove si fabbricava la morte: “Noi non saremo complici”.
Quelle operaie vinsero, perché la moratoria della produzione infame ne bloccò la lavorazione. A quel punto si fece avanti un’azienda, la Vehicle Engineering&Design, che si candidò a rilevare l’impresa per produrre motori elettrici per automobili: indubbiamente un bel salto, dalle mine a motorizzazioni ecologiche. Ma la nuova azienda pose una condizione: potere vendere alla Spagna il brevetto dell’Istrice, un dispositivo per il disseminamento delle mine dall’alto, senza mappatura, con le conseguenze che ciascuno può immaginare. L’azienda promise che il denaro incassato sarebbe servito anche per saldare alle lavoratrici le mensilità arretrate. In assemblea ci fu un confronto tesissimo. Ad un certo punto, intervenne la compagna più anziana, componente del consiglio di fabbrica e pronunciò queste parole: “Ragazze, in questi mesi abbiamo fatto tanta strada insieme e siamo cambiate. So che è dura, ma non possiamo tornare indietro. Quindi, nessuna macchia. Se la nuova azienda vuole subentrare, non ponga alcuna condizione”. Le operaie approvarono, tutte, con un grande applauso.
A sera scrivemmo alla Engineering comunicando le decisioni assunte di comune accordo fra sindacato e lavoratrici. Per uno di quei rari casi che talvolta capitano, l’azienda rispose che rinunciava alla propria richiesta. Seguì una grande manifestazione, in realtà una festa. I brevetti furono restituiti al ministero della difesa e gli stampi delle mine bruciati in piazza.
Sono certo che a distanza di oltre vent’anni tutte le operaie ricordino questa vicenda come uno dei momenti più importanti delle loro vite e che il ricordo di colui che tanta importanza ebbe nella loro maturazione non sia mai venuto meno. Alcune settimane dopo Gino Strada tornò a Brescia, in Camera del lavoro, e incontrò di nuovo le donne della Valsella. Fu un abbraccio intenso, unito a pochissime parole. Un pugno di donne, operaie di un piccolo paese di provincia, avevano preso il mondo sulle loro spalle e costruito un piccolo monumento alla dignità umana.
(da Il Manifesto)
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