14/15 marzo a Napoli, presso la sala “DOMUS ARS”, Via Santa Chiara, 10 C
COMBATTERE IL CARCERE
Un convegno contro il carcere
★ SABATO 14 MARZO
◾ Carcere e società (dalle ore 10.00 alle 12.30)
https://combattereilcarcere.noblogs.org/carcere-e-societa-2/
◾ Le lotte di ieri e di oggi (dalle ore 14.00 alle 16.30)
https://combattereilcarcere.noblogs.org/le-lotte-di-ieri-e-di-oggi/
Dibattito aperto sui temi trattati durante la giornata (17.00 - 19.00)
★ DOMENICA 15 MARZO
◾ Differenziazione e premialità (dalle ore 10.00 alle 12.30)
https://combattereilcarcere.noblogs.org/differenziazione-e-premialita/
◾ Il diritto penale del nemico (dalle ore 14.00 alle 16.30)
https://combattereilcarcere.noblogs.org/il-diritto-penale-del-nemico/
Dibattito aperto sui temi trattati durante la giornata (17.00 - 19.00)
Tra passato e presente, le lotte dentro, le lotte fuori, la prospettiva di distruggerlo.
Perché un convegno contro il carcere?
A reggere la presente organizzazione sociale è, in ultima analisi, la violenza. E il carcere ne è la sua concretizzazione materiale, una delle sue più empie epifanie e anche un suo utile strumento.
Esso non solo concentra in se la violenza quotidiana dello sfruttamento e del dominio (dal lavoro ai quartieri, dalla scuola alla medicina, dalla famiglia all’urbanistica) esacerbandola, ma condiziona e informa la società nel suo insieme, nei suoi spazi e nei suoi tempi.
Ma proprio il sistema carcere è quel sistema che più di altri è stato messo in crisi dalle lotte dentro e fuori, dimostrando la sua non riformabilità.
Se il carcere come istituzione totale è cambiato nel corso della storia, non è stato né per gentile concessione di chi lo amministra, né per le politiche di pretesi riformatori, bensì per le lotte. Se la vita quotidiana dei prigionieri si è “speggiorata” (dagli oggetti a disposizione dei reclusi ai rapporti con l’esterno) lo si deve alle rivolte, all’autorganizzazione, agli scontri, ai morti, alle evasioni tentate e riuscite negli anni Sessanta e Settanta.
E quando quel ciclo si è esaurito per le profonde trasformazioni avvenute dentro e fuori, la funzione del carcere come strumento di brutale repressione, di monito, di normalizzazione ha sfoderato tutti i suoi artigli. E padroni e carcerieri hanno usato l’arma più insidiosa della collaborazione, della premialità, della desolidarizzazione per creare cittadini obbedienti e disgregati.
“Io speriamo che me la cavo” – questa sembra la condizione mentale e materiale del mondo dentro e fuori il carcere.
In questo contesto di frammentazione, tornano il terrore, i pestaggi senza risposta, l’impedimento di ogni contatto con l’esterno (attraverso il blocco della posta, innanzitutto). E crescono sia la psichiatrizzazione della “devianza” sia le morti per l’incuria sanitaria. Ma esplodono anche, improvvise, le rivolte, quel tempo accelerato della sommossa che spezza il tempo immobile del carcere ma che non riesce a produrre i tempi lunghi dell’autorganizzazione, della sedimentazione delle esperienze di lotta, del passaggio di testimone da carcere a carcere.
Del resto, per chi lotta, resiste, attacca o prova a non soggiacere, sono sempre più affinati il linciaggio pubblico, la criminalizzazione, la differenziazione (Alta Sorveglianza, 41 bis, 14 bis…). All’esterno, la solidarietà concreta raramente sfonda l’isolamento sociale e troppo spesso non è in grado di reagire alle rappresaglie dei carcerieri.
La repressione si affina e accumula un sistema eterogeneo di strumenti per estendersi nei territori, affiancando al carcere sempre più misure preventive. Le “emergenze” si rinnovano senza sosta e il diritto penale del nemico – che altri chiamano legislazione e carcere di guerra – compie inesorabilmente la sua marcia di guerra coloniale. In una parabola ascendente, torna in auge la mostrificazione sociale del nemico che ha le sue radici nel colonialismo storico a cui sono state sottoposte le popolazioni del Sud Italia, e grazie al quale le contraddizioni del sistema coloniale sono state abilmente nascoste e marginalità indotta e conflitto sociale sono stati ricondotti nella categoria della “criminalità organizzata”. In modo non molto diverso, con l’accusa di “estremismo islamico” oggi si mostrificano socialmente – e si disperdono nelle sezioni speciali delle carceri – centinaia di proletari arabi e africani.
Mentre il carcere diventa sempre più una discarica sociale per i poveri (in misura crescente stranieri), parte del fronte interno delle guerre neo-coloniali, dai campi di concentramento per i senza-documenti (CPR) arrivano forti segnali di rivolta.
Perché, allora, un convegno contro il carcere?
Perché si distrugge qualcosa che si conosce – e lo si conosce solo nei tentativi, anche piccoli e parziali, di distruggerlo.
Perché il carcere è sempre più l’ombra che accompagna le lotte e, più in generale, le vite di migliaia di esclusi e non serve a niente a nessuno ignorarne il peso e la funzione.
Perché è necessario, fuori dalla retorica, analizzare i cambiamenti nella composizione della popolazione carceraria, nel corpo prigioniero, nell’individualizzazione dei comportamenti, nelle rotture, nelle difficoltà per comprendere quali siano i meccanismi che lo regolano e lo rafforzano.
Perché esiste un ricco bagaglio di esperienze che, tra passato e presente, possono fornire spunti di solidarietà, di autorganizzazione, di azione.
Un convegno ambizioso, come si vede, per disseppellire e rinnovare la storia delle lotte contro il carcere, per collocare il carcere in una nuova prospettiva di lotta.
Per info: carcere[at]anche[.]no
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