Torino - In occasione della prima udienza del processo sul licenziamento, si è tenuto un presidio in solidarietà con le lavoratrici licenziate della cooperativa “Il Ponte”, che gestisce alcune comunità
psichiatriche, di recente privatizzate. Barbara e Silvia sono state licenziate per aver
lottato per un servizio migliore e migliori condizioni di lavoro.
Barbara e Silvia sono della Cub sanità e assistenza, facevano, come le loro colleghe turni infernali in condizioni durissime.
Di seguito l'intervista di radio blackout ad Alessandro Zanetti della Cub: 2017 12 19 zanetti licenziate
e un sunto della Cub sul processo di privatizzazione, che ha portato alla situazione attuale:
“IL PRETESTO PER LE DUE SOSPENSIONI
L’8 settembre il TAR del Piemonte ha rigettato i ricorsi presentati
da aziende e associazioni contro la DGR di riordino della residenzialità
psichiatrica.
Il 12 settembre la CUB Sanità ha scritto alle aziende Ester srl e
Gruppo Igea srl chiedendo l’apertura di una trattativa sull’adeguamento
degli standard di personale delle Comunità Protette “Sarli”, “De
Salvia”, “Risso”, “Il Ponte” e “Althea”.
Il 14 settembre la coordinatrice educativa delle Comunità dispone che
le OSS della Comunità il Ponte debbano redigere 18 Piani Assistenziali
Individuali (P.A.I.) entro pochi giorni, in quanto essi dovranno essere
discussi con la ASL entro la fine di settembre. Ciò significa che la
compilazione ricadrà quasi completamente sulla OSS Barbara Natale,
Rappresentante sindacale CUB, che è l’unica che svolgendo turni diurni
ha una conoscenza maggiore dei pazienti, infatti tutte le altre OSS
della Comunità prendono servizio alle 24.00 e smontano alle 8 di
mattina, cioè sono in servizio solo quando i pazienti dormono.
Il 18 settembre la lavoratrice Natale effettua alcune fotocopie di
documenti necessari alla compilazione dei suddetti Piani Assistenziali,
durante il proprio turno di lavoro e in modo visibile, alla presenza dei
colleghi, e inizia a redigere i P.A.I. richiesti.
Il giorno 22 settembre, la stessa sig.ra Natale effettua delle altre
copie. Poco dopo arriva in Comunità la proprietaria di una delle società
“titolari” delle Comunità privatizzate, con la Polizia. Alla sig.ra
Natale viene chiesta conferma del fatto che stesse facendo delle
fotocopie. La signora conferma e spiega che le servivano per lavoro.
La Polizia chiede alla proprietaria, sig.ra Mafalda Basile, se
conferma di voler denunciare la Rappresentante Sindacale e ne riceve
conferma. Si procede così alla redazione di un verbale.
Il giorno 25 settembre (lunedì) la lavoratrice viene sospesa dal
lavoro, per “condotta penalmente perseguibile in quanto lesiva della
privacy”.
L’accusa è manifestamente falsa perché a) la sig.ra Natale lavora da
molti anni presso il servizio ed è da sempre autorizzata al trattamento
dei dati, né ha mai ricevuto la disposizione di non fotocopiare i
materiali se necessario per lavoro; b) i dati dei pazienti sono stati
trattati nei limiti della legge, per lavoro, senza alcun altro fine e
senza divulgarli o anche lontanamente recare danni.
Sia sul piano materiale che sul piano giuridico, quindi, non esiste
alcun fondamento, ma non è sufficiente: 4 giorno dopo viene sospesa dal
lavoro anche la collega Silvia Copperi (anch’essa iscritta alla CUB
Sanità) con l’accusa analoga, di avere mostrato alla presidente della
cooperativa di cui è dipendente, in sede di incontro sindacale, la
fotocopia di un verbale di riunione della Comunità.
Far venire la polizia in comunità era inutile, inusitato e quindi aveva il solo scopo di intimidazione antisindacale.
Sospendere dal lavoro una operatrice per aver mostrato al proprio
datore di lavoro un documento di lavoro, in sede di trattativa sindacale
è una intimidazione antisindacale.
Lo scopo è chiarissimo: espellere il sindacato per non dovere
discutere neanche lontanamente né arretrare di un centesimo rispetto ai
guadagni smodati che stanno ricavando dalle Comunità psichiatriche
privatizzate, come illustrato di seguito.
Una semplice applicazione dei parametri noti relativi ai costi di
funzionamento delle analoghe Comunità Protette fanno presumere alle
OO.SS. scriventi un margine di utile per la gestione che sembrerebbe
collocarsi tra i 30.000 e i 40.000 euro mensili per ciascuna delle 5
comunità. Una percentuale abnorme sul fatturato di poco più di 80.000
euro al mese, quando in un regime di normalità, gli Enti Pubblici
committenti riconoscono alle imprese del settore un margine non
superiore al 7-10%. In compenso l’organizzazione del lavoro è
drasticamente peggiorata.
LA PRIVATIZZAZIONE DELLE COMUNITA’
PROTETTE EX ASL TO2
LO SVOLGIMENTO DELLA PRIVATIZZAZIONE
Le Comunità Protette per pazienti psichiatrici “Althea”, “De Salvia”,
“Risso”, “Sarli” e “il Ponte” in poco più di un anno hanno subito una
trasformazione radicale sotto il profilo gestionale e organizzativo.
Storicamente tali Comunità funzionavano grazie ad una collaborazione
tripartita tra la ASL TO2 che implementava le attività sanitarie, una
cooperativa sociale (3 comunità con la coop. Zenith e 2 con la coop.
Altramente) che svolgeva le attività educativo-assistenziali e una
società privata (le due società Ester srl e Gruppo Igea srl) che
apportava i muri e le attività di carattere alberghiero quali pulizie,
mensa ecc.
Dalla primavera 2016 alle due società private veniva attribuita la
titolarità completa delle attività, incluse quelle medico-psichiatriche,
mentre la ASL ritirava il proprio personale. Le due cooperative sociali
– divenute fornitrici delle società private – hanno continuato a
svolgere le attività di carattere educativo, assistenziale e in parte
infermieristico, ma a condizioni fortemente mutate.
In particolare la presenza di personale infermieristico, educativo e
assistenziale è stata fortemente ridotta e tale si mantiene anche nel
nuovo sviluppo di questa trasformazione, con il trasferimento
dell’appalto dei servizi educativi, infermieristici e assistenziali
(personale OSS) alla cooperativa XI Luglio con sede legale a Roma,
aderente al consorzio La Meridiana.
Ove prima vi fosse la presenza infrasettimanale di 4 o 5 operatori,
oggi ve ne sono 2, per qualche ora 3. Ove ve ne fossero stati 2-3, la
presenza viene ridotta a 1-2. Si tenga conto che anche dove sussiste la
presenza formale nel turno di più unità di personale, durante la
settimana almeno una unità è spesso impegnata in attività esterne
(pratiche burocratiche, accompagnamenti, visite mediche ecc.), lasciando
così che in Comunità vi sia comunque una presenza singola, in un
rapporto operatori-pazienti che tende ad essere molto spesso
1-a-19/1-a-20.
E’ infatti testimoniato dagli operatori e operatrici che nell’arco di
oltre un anno da quando si vive in questo regime, l’intensità delle
situazioni di crisi di agitazione, aggressività, conflitti e quant’altro
è fortemente intensificata, creando anche situazioni di rischio per gli
operatori e per i pazienti stessi.
Esiste anche da parte del personale il dubbio, fondato su episodi, di
non essere più in grado di governare le situazioni di criticità sia
psichica che sanitaria più in generale.
A tutto ciò si aggiungano le gravi carenze di risorse gestionali come
la mancanza di denaro liquido per la vita quotidiana, la mancanza di un
qualsiasi veicolo per il trasporto dei pazienti (quando nella gestione
mista precedente ve ne erano ben due) e così via.
L’ATTEGGIAMENTO DELLA PROPRIETA’
Fin dallo scorso autunno la CUB Sanità avanzava la richiesta di
aprire una trattativa sull’organizzazione del lavoro a cui è stato
sempre opposto un rifiuto teso a procrastinare.
La proprietà ribadiva inamovibile di attenersi alla vecchia legge
regionale (DCR 357/97) e di voler attendere che la DGR sulla
residenzialità psichiatrica (prima n.30/2015, poi corretta dalla 29/2016
e poi sospesa dal TAR fino al settembre 2017) entrasse in vigore a
riordinare il settore, rendendo obbligatoria una maggiore intensità di
personale.
Ma la vigenza dell’una o l’altra norma non muta la sostanza, dal
momento che nel contratto stipulato tra la ASL Torino 2 e le società
Ester e Gruppo Igea nel marzo 2016, vigevano due condizioni:
- si applicava la normativa pre-esistente alla nuova DGR, la medesima che trovava applicazione anche nel precedente regime gestionale e che avrebbe logicamente dovuto avere sostanziale continuità nelle nuove condizioni, seppure con le possibili modifiche all’organizzazione del lavoro come facoltà dell’imprenditore;
- si applicavano però tariffe tali da consentire all’imprenditore di dotare già le Comunità Protette di un organico sovrapponibile a quello previsto dalle nuove norme.
Risulta al nostro Sindacato che le rette previste per le due
tipologie di comunità (tipo A e tipo B secondo la DCR 357/97) siano
quasi sovrapponibili con quelle delle analoghe comunità contemplate
dalla nuova normativa (SRP 1 e SRP 2 secondo la DGR 29).
Rette riconosciute alle società Ester e Gruppo Igea: euro 168 (Tipo A) e 134 (Tipo B)
Rette previste dalla nuova normativa: euro 160 (SRP 1) e 135 (SRP 2)
Appare evidente che la pretesa di attendere l’entrata in vigore di
nuove norme per garantire una prestazione sufficiente per il percorso
terapeutico dei pazienti e un lavoro sicuro e professionale agli
operatori non ha fondamento economico.
Come già detto, l’applicazione dei parametri noti relativi ai costi
di funzionamento delle analoghe Comunità Protette fanno presumere alle
OO.SS. scriventi un margine di utile per le società titolari delle
Comunità Protette un margine di utile per la gestione caratteristica che
sembrerebbe collocarsi tra i 30.000 e i 40.000 euro sul fatturato di
poco più di 80.000 mensili per ciascuna delle 5 comunità.
Le società Ester srl e Gruppo Igea srl non hanno mai voluto sedersi a
un tavolo e confrontarsi su tale valutazione, nemmeno per smentirla
concretamente.
La DGR 29-2016 è oggi rimessa in vigore dal TAR, ma la proprietà non
solo non dà alcun segno di volersi adeguare, anzi, sfrutta qualsiasi
scappatoia per rinviare ulteriormente e ribadisce che “non spetta al
sindacato” proporre incontri per “il riordino del funzionamento delle
Comunità”.
L’AGGRESSIONE ALLA CUB SANITA’
Ritenendo irrimandabile un riaggiustamento dell’organizzazione del
lavoro e delle risorse disponibili al fine di riportare le Comunità ad
un migliore funzionamento, la nostra O.S. ha, nel corso dei mesi
continuato a sollecitare sia le Aziende che i soggetti pubblici per
ottenere quei miglioramenti necessari.
In occasione del “cambio di appalto” avvenuto il 1° giugno (uscenti
coop. Zenith e coop. Altramente, entrante coop. XI Luglio) si è ottenuta
la completa continuità occupazionale e delle tutele a favore di
lavoratrici e lavoratori, inclusa l’applicazione dell’ “art.18”.
Subito dopo la cooperativa XI luglio ha tentato una prima volta di
cancellare la presenza della CUB Sanità, venendo però immediatamente
condannata (Ordinanza del Tribunale di Torino del 10 luglio 2017) per
“condotta antisindacale” ai sensi dello Statuto dei Lavoratori.
Il successivo tentativo della CUB Sanità di riprendere il dialogo
sindacale non decolla. I due incontri successivi alla sentenza del
Tribunale non producono risultati di rilievo, invece arriva il nuovo
accanito tentativo di eliminare il sindacato, con la sospensione della
Rappresentante Sindacale e della collega.
Alla richiesta di aprire una trattativa sull’adeguamento degli
standard di personale all’entrata in vigore della DGR 29-2016, la
proprietà risponde arrogantemente, con lettera del 27 settembre, che
“non compete a codesta sigla sindacale… proporre…incontri per il
riordino del funzionamento delle comunità”.
LE CONSEGUENZE PER I PAZIENTI E IL PERSONALE
Vige per legge il diritto del singolo imprenditore di avvalersi dei
fornitori di propria scelta o di cambiarli, o di scegliere
l’organizzazione del lavoro. Ma è compito del sindacato contrattare
l’organizzazione stessa del lavoro ed è diritto dei lavoratori e
lavoratrici vedere tutelata la propria dignità e professionalità
(aggredite dalla dequalificazione degli interventi al limite della
violazione della deontologia professionale), nonché la propria salute e
sicurezza che appaiono fortemente messe in pericolo sia dallo
stress-lavoro correlato che dal rischio di eventi critici.
Quello che la proprietà vuole ottenere, attaccando il sindacato e le
operatrici sindacalizzate, è di stendere un velo di silenzio sulle
conseguenze prodotte da una smodata volontà di lucro.
Gli operatori sindacalizzati sono infatti i migliori difensori,
giorno per giorno, dei diritti dei pazienti, della qualità e
professionalità del servizio.
E’ ovvio che il numero di operatori e operatrici (infermieri,
educatori, OSS) presenti durante la settimana allo standard
precedentemente utilizzato solo nel weekend produce degli effetti.
Le Comunità Protette, dovrebbero essere terapeutiche, cioè
riabilitative e risocializzanti, integrando la dimensione strettamente
medica con quella di carattere relazionale e sociale, infermieristica,
farmacologica, psicoterapica, educativa nell’attuazione un Progetto
Terapeutico Riabilitativo Personalizzato, nell’ambito di un Piano
Terapeutico Individuale, così come stabilito dal Piano di Azione
Nazionale per la Salute Mentale AGENAS-GISM recepito dall’Accordo
Stato-Regioni del 17 ottobre 2013.
La carenza di riunioni di équipe multiprofessionali in cui siano
stabilmente coinvolte le figure relazionali quotidiane
(educatori-OSS-infermieri). La mancanza delle occasioni di passaggio di
consegne tra gli operatori montanti e smontanti. La sostanziale assenza
delle risorse necessarie allo svolgimento di progetti riabilitativi e
risocializzanti. Tutti questi sono elementi che connotano l’attuale
gestione del paziente in Comunità Protetta nel senso di una pura azione
di badanza e contenimento, mentre il Piano Nazionale per la Salute
Mentale parla, in riferimento alla tutela della salute mentale in età
adulta di “prestazioni diagnostiche terapeutiche, riabilitative e socio
riabilitative in regime residenziale nella fase intensiva ed estensiva,
secondo il progetto terapeutico individuale” e di “prestazioni
assistenziali e socio riabilitative, compresi programmi di reinserimento
sociale e lavorativo, sia in regime residenziale nella fase di
lungoassistenza che nella comunità secondo il progetto terapeutico
individuale”.
L’insufficienza della strutturazione professionale risulta anche
dalla testimonianza di numerosi operatori che sostengono di non avere il
tempo per svolgere una adeguata attività relazionale con gli ospiti
della struttura. Gli ospiti di ciascuna comunità sono 20 e che quindi il
rapporto operatori/pazienti, per molte ore della giornata è di 1:20. A
ciò si assommi il fatto che le compresenze di 2 operatori, quando ci
sono, sono sovente dedicate ad accompagnamenti o disbrigo di pratiche
all’esterno, oppure ad attività assistenziali (igieniche e simili) per
quelle persone non in grado di provvedere in maniera del tutto autonoma.
Ciò rende estremamente difficoltoso ottemperare a tutti gli impegni,
le attività, le iniziative di cura, riabilitazione e risocializzazione
che non attengano alla pura assistenza diretta alla persona (igiene,
somministrazione dei farmaci, dei pasti e altre funzioni elementari),
con quella che giudichiamo una netta riduzione della qualità e quantità
delle prestazioni al paziente.
L’impossibilità per il singolo operatore presente di occuparsi
contemporaneamente delle esigenze materiali, emotive e relazionali di 20
pazienti ha come immediata conseguenza il minore “contenimento
relazionale” di persone con difficoltà psicoaffettive e psichiatriche, e
quindi il più facile insorgere di stati di disagio fino alle vere e
proprie crisi di agitazione.
Tali crisi, ovviamente, sono normali nel contesto delle
residenzialità psichiatriche, tanto più delle Comunità Protette, ma
possono essere ridotte o aumentate per numero, intensità e frequenza
dalla presenza di attività preventive di contenimento relazionale, di
ascolto, di “presa in carico” dei bisogni sia pratici che relazionali
del paziente.
La carenza di personale, inoltre, comporta un aggravio per
l’operatore/trice turnante in termini di fatica, e di stress-lavoro
correlato. Per conseguenza l’operatore sarà meno lucido, meno capace di
interpretare i segnali di tensione che possono risultare premonitori
dell’avvicinarsi di un momento difficile. Avrà perciò maggiori
difficoltà a prevenire le crisi, ma anche a gestirle e a circoscriverle
nel momento in cui esse dovessero scoppiare .
In caso di crisi di agitazione, poi, l’operatore/trice presente in
struttura potrebbe trovarsi nell’impossibilità di gestire la situazione
da solo e persino di poter chiamare aiuto in una situazione di rischio
che, tenuto conto del contesto particolare, può implicare esiti anche
seri.
Numerosi episodi si sono verificati nell’arco dell’ultimo anno e
mezzo a riprova di questa difficoltà. L’aggressione alla CUB Sanità è
proprio tesa a impedire la trasparenza che renderebbe inevitabile un
deciso cambiamento dei metodi gestionali.”
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