La lotta di Nadia Lioce e la campagna di massa del MFPR e di Pagine
contro la tortura hanno rotto il muro di silenzio intorno alle reali
condizioni di detenzione delle donne rinchiuse in 41 bis nel carcere
dell'Aquila. L'isolamento assoluto, i soprusi continui, il divieto di parlare e di
protestare sono solo il vertice della piramide repressiva che mira a
schiacciare la solidarietà di genere e di classe intorno alle
prigioniere politiche. Questa piramide dobbiamo erodere, dal basso, come
solo può fare una vera marea!
Con lo striscione LIBERTA' PER NADIA LIOCE abbiamo contaminato la marea delle donne presenti in piazza il 25 novembre. "Nadia c'è" si leggeva in un cartello dietro a quello striscione. Bene, ora vogliamo che quel cartello e quello striscione attraversino le piazze e le assemblee di tutti i territori dove la nostra campagna è arrivata. Ma per farlo è bene ripartire proprio dalla lettura del memoriale di Nadia Lioce, depositato
il 24 novembre al Tribunale dell'Aquila in occasione del processo che la
vede imputata per "disturbo delle occupazioni o del riposo delle
persone e oltraggio a pubblico ufficiale".
Qui proponiamo uno stralcio del memoriale di Nadia, pubblicato su Il Dubbio del 30 novembre 2017.
Il memoriale completo è disponibile anche su questo blog.
"41bis: vietato dire buongiorno, colloqui limitati e costrette a denudarsi"
Il Dubbio, 30 novembre 2017
Nel memoriale dell'ex Br Nadia Lioce le condizioni di vita al 41bis, i
divieti totali, le misure disciplinari, la riduzione dei colloqui, dei
quaderni, dei libri, delle sigarette. e la proibizione assoluta di
rivolgere la parola agli altri detenuti.
Pubblichiamo alcuni passi della memoria scritta da Nadia Lioce in cui
descrive le condizioni di vita in regime di 41bis. Nadia Lioce è
l'esponente delle nuove Br che fu arrestata nel 2003 dopo uno scontro a
fuoco nel quale morì un agente della Polfer. È stata successivamente
condannata all'ergastolo per gli omicidi D'Antona e Biagi.
Il testo di questo memoriale è stato depositato dai suoi legali nel
corso dell'udienza che si è tenuta lo scorso 24 novembre davanti al
Tribunale dell'Aquila chiamato a pronunciarsi sulla denuncia per
"disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone e oltraggio a
pubblico ufficiale". Dopo una lunga serie di misure restrittive che
avevano portato alla drastica riduzione del numero dei libri, quaderni e
documenti tenuti in cella, Lioce aveva dato vita ad una serie di
proteste battendo con una bottiglietta di plastica sul blindato delle
propria camera detentiva.
La parola segregata - Non un "buongiorno" può essere scambiato.
Così come effettivamente disposto dalla direzione dell'istituto de
L'Aquila in data 6 novembre 2016. Un divieto di scambio di saluto tra
detenuti presenti all'interno di una medesima sezione, che in concreto
interruppe questa sopravvissuta tradizione e che è una delle
espressioni, materializzate, di quella ambiguità aleggiante sulle regole
del 41bis, che si genera tra disposizioni di legge, disposizioni del
decreto di 41bis, apparentemente a raggio di azione circoscritto; e
contenuti di giurisprudenza costituzionale (esempio: sent. C. Cost.
122/2017) che, dagli asseriti legittimi limiti alla comunicazione dei
detenuti appare escludere, e con un argomento pesante quale quello
dell'inviolabilità della persona, la possibilità di precludere
comunicazioni tra detenuti compresenti in una sezione, in quanto
argomenta di limitazioni alla facoltà dei detenuti di intrattenere
colloqui diretti con persone esterne all'ambiente carcerario. Uno
slittamento che pare essere potuto avvenire in una condizione generale
formata da una reiterazione di rappresentazioni pubbliche del carcere
come un "santuario", ovvero luogo in cui chi vi si trovi è
invulnerabile, incontrollabile e incoercibile, opposte alla realtà della
prigione, in cui le libertà sono a priori residue, e chi vi è rinchiuso
è "coatto", che hanno sollecitato un'aspettativa pubblica giustificante
le scelte politiche alla base della legiferazione.
In ogni caso, ricostruendo gli avvenimenti, "la parola" segregata
fu in realtà introdotta già da una circolare ministeriale nell'agosto
2008, cioè circa 10 anni fa, plausibilmente come sperimentazione della
successiva introduzione legislativa. La "parola", ovvero quella facoltà
innata del genere umano che storicamente presso un po' tutte le civiltà
ne tipicizza la dignità rispetto alle altre specie animali, viene
criminalizzata in se stessa.
Verso il detenuto in 41bis che non si auto-inibisse, lo è dal
2008 in poi con la sanzione disciplinare, sebbene non prevista come
indisciplina specifica dall'ordinamento penitenziario né dal regolamento
di esecuzione almeno fino al settembre 2017, ma, si presume,
suscettibile di sanzione in quanto inosservanza di un ordine. Ma verso
chiunque altro "consentisse" al detenuto in 41bis di "comunicare" con
"l'esterno" (presumibilmente anche del gruppo) - dal personale
penitenziario, all'avvocato, al familiare, a chiunque solidarizza
previsione legislativa del 2009 è l'incriminazione penale. E tenuto
conto che "verba volant", che significa che le parole non hanno
consistenza materiale, né in se stesse potenzialità di effetti
materiali, intorno a questa criminalizzazione è venuto a formarsi un
grumo antigiuridico potenzialmente ad alto tasso di criminogenità,
potendo chiunque essere accusato di qualunque cosa.
Questa innovazione legislativa, insieme a quella che andava a
creare un regime speciale per il diritto di difesa del detenuto in 41bis
limitandone le ore di colloquio e la durata delle telefonate (ne- anni
arrivate alla consulta e dichiarate incostituzionali) e insieme
centralizzazione presso un unico Tribunale di Sorveglianza - quello
territoriale del Ministero decretante la misura- dei reclami contro i
decreti di 41bis, andarono ad integrare il nuovo paradigma del "carcere
duro". Un paradigma la cui specificità rispetto al precedente è la
capacità di proiezione di conseguenze a largo raggio, molto oltre
l'ambito dei suoi "ristretti" o dell'intera popolazione detenuta,
venendo ad incidere sul ruolo e sull'operatività di tutta la
Magistratura di Sorveglianza.
Il regolamento emendato - Fino al 2005, la sezione 41bis
femminile era quella di Rebibbia, a Roma, dove le restrizioni applicate
erano quelle di legge e generali, e il personale penitenziario era
ordinario. Quella sezione nel 2009 chiuse. In quella aquilana, aperta
nell'ottobre 2005, per applicare il "massimo rigore" fu adottato
l'espediente di elaborare ed affiggere nella saletta della sezione un
regolamento apposito per la sezione, che voleva dare l'impressione che,
data la peculiarità di genere della sezione, essendo femminile in un
carcere esclusivamente maschile, ne servisse uno apposta, altrimenti
esisteva un regolamento di istituto che era vigente a tutti gli effetti.
In realtà, quando nel 2006 fu chiesto di poter acquisire il
regolamento d'istituto - tutti gli istituti devono averne uno - non fu
opposto un diniego, non sarebbe stato giustificabile, ma fu affissa una
copia del regolamento mancante di alcune pagine iniziali e anche al suo
interno. Se ne dovette perciò reclamare l'affissione nella sua interezza
al Magistrato di sorveglianza. E infatti così fu fatto quando il
magistrato lo ordinò. Allora si poté scoprire che, quelle mancanti,
erano pagine concernenti modalità di perquisizione personale, quantità e
generi alimentari, di vestiario e altro, detenibili in cella. Ambiti in
cui la prassi nella sezione femminile non osservava il regolamento a
scapito delle detenute, fino a quel momento ancora poco esperte.
La sottoscritta farà alcuni esempio pratici: le "perquisizioni
personali con denudamento" venivano fatte con denudamento integrale
nonostante il regolamento d'istituto prescrivesse che il detenuto
restasse con gli indumenti intimi. Un altro esempio: il regolamento
d'istituto prevedeva che in cella si potessero detenere 10 pacchetti di
sigarette. Quello di sezione non contemplava l'argomento, sicché la
quantità detenibile veniva comunicata oralmente. Diventarono 8, poi 6,
poi 4. E il momento della decisione di ridurre da 8 a 6 ecc. era quello
in cui nel corso della perquisizione della cella, a quel tempo
settimanale, se ne trovavano 7, poi 5 e così via. Alla detenuta veniva
contestata la detenzione di un "eccesso", alla previsa e scontata
rimostranza, la prima volta c'era l'avvertimento, la seconda il rapporto
disciplinare. E così per ogni variazione in senso restrittivo che
potesse/ volesse essere inventata. A quel tempo, fino a tutto il 2009,
era un metodo, poi è diventato periodico, mentre, più in generale, anche
sui generi detenibili in cella il dipartimento ha sussunto molte delle
potestà prima in capo, almeno formalmente, ai direttori.
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