Il corteo che ci è
stato prescritto in città non ci convince: il luogo del
concentramento (Viale Gran Sasso, altezza stadio) avrebbe solo
lambito un’estremità periferica del centro storico, ulteriormente
desertificata dall’ingente militarizzazione della zona. Da lì in
poi avremmo incontrato solo strade vuote, interdette al traffico per una presunta manifestazione di “pagine contro la
storia”, come travisavano i cartelli apposti dalla polizia
municipale per giustificare una città blindata e l’enorme disagio
che ne sarebbe derivato per la circolazione stradale e i
cittadini, già alle prese con una ricostruzione difficile e di
facciata.
Decidiamo pertanto
di portarci in una via più centrale della città, nei pressi di
Piazza Regina Margherita, dove riusciamo a comunicare, con
l’esposizione di materiale informativo e il volantinaggio ai
passanti, i motivi di questa campagna contro il 41bis, "pagine contro la tortura" e nello specifico della
mobilitazione qui all’Aquila. Il volantinaggio è penetrato anche
nella zona più centrale del Corso, dove ormai si concentrano il
sabato mattina i pochi aquilani presenti in città, riuscendo così
a rompere la cappa di isolamento che le forze dell’ordine,
arrivate in massa anche da Roma, volevano cucirci attorno.
Abbiamo distribuito
il volantone ’41 bis = Tortura’ di Pagine contro la tortura, i
volantini ‘Difendere le condizioni di vita dei prigionieri
rivoluzionari, per la liberazione di tutti i prigionieri politici
- Solidarietà a Nadia Lioce’ del Movimento Femminista Proletario
Rivoluzionario e del Soccorso
Rosso Proletario, ‘Tiriamoli fuori,
basta con l’isolamento!’ dell’Associazione Ampi orizzonti,
‘Sosteniamo la resistenza dei prigionieri rinchiusi nelle carceri
dell’imperialismo’ dell’Assemblea di lotta Uniti Contro la
Repressione e del Fronte Palestina di Milano e Padova.
Restiamo in centro
per oltre 2 ore a socializzare con i passanti i motivi della
protesta, primo fra tutti il divieto per le detenute e i detenuti
in 41 bis di ricevere libri in carcere, denunciando la "tortura bianca".
Siamo un’ottantina,
alcuni aquilani e abruzzesi, altri, come le compagne di Palermo,
Taranto, Milano, ma anche i compagni di Parma, Bologna ecc. hanno
dovuto affrontare un lungo viaggio in condizioni difficili, pur
essendo immersi, fino a poche ore prima, in tante e varie lotte
altrettanto difficili. Quindi ci siamo e decidiamo di muoverci in
corteo dall’inizio di Corso Vittorio Emanuele fino alla rotonda
sotto lo stadio Fattori.
Apriamo il corteo,
blindatissimo, con lo striscione “41 bis = Tortura” della Campagna
Pagine contro la tortura. A seguire ci sono gli striscioni del Soccorso Rosso Proletario “No
alla repressione antiproletaria e antipopolare. Libertà per tutti
i compagni prigionieri nelle carceri dell’imperialismo” e del
Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario “Difendere le
condizioni di vita dei prigionieri rivoluzionari. Solidarietà a
Nadia Lioce”.
Circondati da
polizia e carabinieri saliamo su autobus e auto e ci rechiamo,
scortati, davanti al carcere. Qui i cani da guardia
dell’imperialismo mostrano ancora di più i denti, disponendosi in
assetto antisommossa con scudi, caschi e manganelli bene in vista,
per impedirci di entrare nel prato adiacente al carcere, l’unico,
intorno a quella fortezza, in cui è possibile vedere le finestre a
bocca di lupo di una cinquantina di celle e da cui è possibile
farsi sentire dai detenuti.
Ma quello della
proprietà privata, unico diritto riconosciuto e difeso da questo
sistema, per una volta gli si è ritorto contro. Il prato in
questione è infatti di proprietà privata ma grazie a un accordo
stipulato precedentemente con la proprietà, ne abbiamo ottenuto
l’accesso.
Rimaste a bocca
vuota e con i muscoli dentro le uniformi, le forze dell’ordine si
sono dovute accontentare di schierarsi in fila a ridosso della
recinzione che separa quel prato dalle mura del carcere.
“Galere e CIE non ne
vogliamo più, colpo su colpo li tireremo giù”, “Pagherete caro
pagherete tutto”, sono alcuni degli slogans che, assieme al rumore
dei petardi e agli interventi al microfono, riescono a rompere il
muro del silenzio. Le guardie sono in agitazione e corrono sul
muro di cinta.
Da alcune celle i detenuti fanno sventolare fazzoletti e
persino una maglietta rossa. Sappiamo che da dentro ci sentono e
anche le donne prigioniere sanno della nostra lotta, nonostante siano interrate vive e questo è il momento più bello ed
emozionante della giornata.
Siamo rimasti sul
prato per quasi 3 ore, alternando interventi al microfono di
carattere informativo sulla campagna e sulle iniziative di lotta
messe in campo, di denuncia delle condizioni riservate alle donne
prigioniere ed in particolare a Nadia, compagna delle BR PCC,
chiusa in quella sezione da oltre 10 anni, sulla solidarietà
internazionale ai prigionieri politici rivoluzionari ecc. Inoltre
sono stati letti passi significativi di alcuni libri, come ‘Tempo dei vivi’ della
partigiana Bianca Ceva.
All’avvicinarsi di
un temporale, lanciamo i saluti assieme all’impegno a dare
continuità alla lotta, per ottenere risultati concreti, a
cominciare dal ritiro della circolare che vieta l’ingresso al
libro.
Non è la prima volta
che la città dell’Aquila si trova a fare i conti con una
manifestazione contro il carcere duro e le precedenti
manifestazioni hanno lasciato i segni, non solo nell’aquilano, di
una risposta repressiva dello Stato anche in termini mediatici, di
una criminalizzazione ‘a prescindere’ di chi vi partecipa, al di
là delle motivazioni soggettive. Anche per questo la costruzione
della mobilitazione a L’Aquila è stata forse la più difficile
della campagna e la nostra valutazione della giornata è senz’altro
positiva.
E’ stata una
manifestazione dignitosa, necessaria e coraggiosa, in un clima
crescente di repressione generalizzata, che nelle città di
provincia aumenta a dismisura la sua funzione di deterrenza alle
lotte e alla solidarietà, con la paura, la differenziazione e
l’isolamento di chi lotta. Noi abbiamo vinto tutto questo con la
forza delle nostre ragioni e della nostra volontà. Anche la stampa ha dovuto rompere il silenzio. Chi ha blindato
una città, chi ha parlato di flop della manifestazione per
sminuirne la portata e il significato (ma guarda caso è il sindacato della polizia....), ha in realtà spogliato un
re, mettendo a nudo la vera faccia di questo sistema, che con il
populismo penale da un lato e la guerra dall’altro, fa tutt’altri
interessi di quelli di un popolo “libero e forte”.
Questa
manifestazione è stata per noi l'inizio (e non la fine) di una
battaglia che deve proseguire, per la lotta contro la repressione,
per la difesa delle condizioni nelle carceri, per la liberazione
dei prigionieri politici, per riprendere questo autunno la
battaglia in termini di massa.
Una battaglia contro
lo stato di polizia che in autunno potrebbe ripartire proprio da
qui, dalla Campagna alle Costarelle dell'Aquila.
SRP
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