01/11/15

Schiave tra le serre


Da MEDITERRANEA

Nove ore al giorno nelle serre e poi, dal tardo pomeriggio alla sera, in un casolare a soggiacere ai piaceri del padrone e dei suoi amici. Gratis, o quasi, naturalmente.
Il suo fidanzato, un bracciante tunisino, ha provato a difenderla, a tirarla fuori da lì, ha chiesto aiuto agli operatori di una associazione onlus di cui ha deciso di fidarsi, ma Valentina non ne ha voluto sentire, terrorizzata di paura. Lui lo hanno massacrato a botte, lei è sparita, portata via in un’altra ‘campagna’, lontano da occhio indiscreti.
Benvenuti nell’inferno di Macconi, un tringolo di terra tra Acate, Vittoria e Scoglitti, decine di chilometri di plastica, una sconfinata distesa di serre, zona franca, un Far West assoluto che è diventato al tempo stesso terra promessa e prigione delle schiave romene del terzo millennio.
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Il miraggio di tante Alina, Cornelia, Mariana sono le 52 giornate di lavoro, naturalmente contrattualizzato, che servono loro per ottenere l’indennità di disoccupazione agricola. Poco importa se le giornate di lavoro effettive sono più del doppio, se non vengono pagate più di venti euro al giorno per dieci, dodici ore di lavoro e se pur di avere quel maledetto contratto a condizione falsate devono sopportare di tutto. Anche di essere violentate sotto la minaccia della pistola o di essere costrette ad improvvisarsi ballerine di lap dance e prostitute in una delle discoteche della zona.

Il martedì all’ospedale di Vittoria è giorno di aborti. Qui sono quasi tutti obiettori di coscienza e così l’equipe medica arriva dagli ospedali vicini. C’è una domanda altissima da soddisfare.
Vittoria (in percentuale rispetto al numero degli abitanti) ha il più alto numero di interruzioni di gravidanza in Italia, più di cento l’anno e di queste il 40% riguardano donne romene.
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Moltissime donne che restano incinte vengono messe subito sul primo autobus per la Romania, mandata ad abortire là dove tutto è più facile e con meno regole, visto che praticano interruzioni di gravidanza anche dopo il terzo mese, e poi fatte tornare.
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I bambini, anche loro qui, tra questa immensa teoria di serre dove è impossibile orientarsi, dove non esistono indirizzi, dove se chiami un’ambulanza non riesce ad arrivare, dove polizia e carabinieri non entrano e dove naturalmente non arrivano i servizi pubblici, sono dei ‘fantasmi’ che vivono in assoluto isolamento in balia dei padroni delle campagne in cui lavorano i genitori.
Pochissimi sono quelli che vanno a scuola, gli altri aspettano chiusi in questi tuguri che di giorno sembrano deserti, abbandonati da anni, e che solo all’imbrunire si animano con l’accensione di qualche piccola luce o di un braciere su cui cuocere quel poco che c’è da mangiare.
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“L’invisibilità di questa gente - ci dice Ausilia Cosentini, coordinatrice di Proxima - è un elemento fondante di questa condizione di schiavitù perché consente alla comunità locale e alle istituzioni di non occuparsene. (…)
I numeri la dicono lunga: in dieci anni ci sono state solo due denunce di abusi sessuali. E negli ultimi due anni delle 269 persone che abbiamo contattato con i nostri servizi di emersione solo 23, meno del 10%, hanno accettato di intraprendere un percorso di salvezza”.

Mediterranea
a cura di Carla Pecis - UDI Catania


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