23/02/09

6 MARZO A ROMA


Passaggi d’uscita

Giorni terribili per le donne di questo paese e di questa città.
Terribili atti di violenza, altrettanto terribili reazioni del mondo della politica e della società.
È necessario, quasi d’obbligo, tracciare la fase che stiamo vivendo, perché è una fase di attacco alle donne, alla loro cittadinanza piena.
Si impone una riflessione diversa, approfondita, lontano dalle urla della stampa, dai “branchi” giustizieri e xenofobi, dalle parole tuonanti dei politici di turno.
Una riflessione franca, sincera e tagliente.

Giorni terribili
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La cronaca ci restituisce numerosi episodi di donne vittime di feroce violenza in diversi contesti: da una festa a Capodanno a un autobus a Primavalle, a un luogo appartato a Guidonia, alla violenza in strada al parco della Caffarella.
È bastato che in uno di questi casi gli assalitori fossero rumeni per dare la stura ai più terribili istinti razzisti ed emergenzialisti, l’insicurezza delle donne è dovuta ai troppi clandestini, ai Rom; si scatena una caccia all’uomo nei confronti della popolazione migrante, fino a tentare di bruciarli vivi.
La soluzione prospettata è l’espulsione di massa, con la “cattiveria” degli immigrati clandestini, una sorta di punizione collettiva di uomini e donne a cui la nostra società nega i più elementari diritti di cittadinanza, come le cure sanitarie.

Eppure siamo convinte che nonostante tutto nella coscienza delle donne si insinuano domande, dubbi e le discussioni si fanno sempre più fitte.

Sappiamo infatti che, benché non se ne parli quasi mai, la maggior parte della violenza sulle donne avviene tra le mura di casa, da uomini affermati, insospettabili e ben visti da tutti, con un’ampia trasversalità sociale.

Sappiamo che le giovani donne, come gli uomini, accedono al lavoro attraverso varie forme di precarietà, dai contratti atipici a quelli a termine, ma la donna rimane più a lungo in situazioni di incertezza, il differenziale salariale tra giovani laureate e laureati si registra già dopo il primo anno di lavoro.
Sappiamo che la maternità, per tutte le lavoratrici precarie, non ha più tutele, anzi spesso ti aspetta lì una lettera di dimissioni che ti hanno preventivamente costretto a firmare in bianco.

Sappiamo cosa subiscono le donne migranti, vittime silenziose, perché ricattabili, costrette al silenzio dalla clandestinità o dal fatto che il loro permesso di soggiorno è legato a quel lavoro dove trovano violenza. Donne che rispondono ad una buona fetta del fabbisogno del lavoro di cura, delle mense, delle imprese di pulizie, abbandonano qualificazione e istruzione per entrare nelle nostre case. In altri termini, se non abbiamo conquistato la ripartizione del lavoro di cura tra donna e uomo, l’abbiamo sicuramente ripartito con altre donne.

Sappiamo come sia ancora difficile e quanti ostacoli debba superare una donna che vuole fare politica, vuole svolgere un ruolo primario nella gestione delle aziende o si vuole affermare nel mondo della comunicazione senza fare la velina.

Sappiamo anche come le forme di tutela sociale delle donne siano sempre più ristrette: i Consultori, spesso privati di fondi e personale, sono ridotti ad ambulatori per le vaccinazioni ed hanno completamente perso la loro funzione sociale, tra cui il ruolo educativo e preventivo nei confronti delle giovani generazioni. I continui tagli alle spese sociali impediscono inoltre alle donne con figli di accedere al mondo del lavoro, basta pensare alla cronica carenza di posti negli asili nido pubblici. Le strutture di sostegno per le vittime di violenza sono poche e devono lottare continuamente contro l’indifferenza delle istituzioni che continuano a centellinare le risorse e rimangono attive solo grazie alla passione delle donne che vi lavorano; non esistono possibilità di accesso per le donne vittime di violenza all’edilizia residenziale pubblica.

È un problema culturale
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Siamo profondamente convinte che non lo si può ridurre ad un problema di sicurezza da risolvere con un maggior controllo, con l’esercito e con le pistole ai vigili urbani.
Forse non si risolve neanche con l’inserimento delle “quote rosa” in qualche parlamento.

Quindi, lasciato da parte il "luogo comune" che sono "gli altri" a commettere tali orrori, occorre guardare in faccia la realtà. Secondo l’ISTAt, il 69% degli stupri sono opera di partner, mariti o fidanzati, questo dato è significativo perchè in parte "scagiona" gli stranieri ed immigrati dalla maggior parte di questi reati, ma soprattutto perchè fa emergere inconfutabilmente l’aspetto culturale di tale fenomeno.

Ne esce fuori un panorama culturale, ampiamente sostenuto e promosso dalla televisione e dalla pubblicità, nella quale la donna, lungi dall'essere sempre rispettata, diventa troppo spesso l'oggetto sessuale per mariti e partner violenti.

L’unica sicurezza possibile sono le donne del mondo che si autorganizzano
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Una presa di parola e di azione collettiva che rimette in moto, dà forza e valore alle intelligenze femminili, attraverso una profonda ridiscussione delle radici culturali del nostro mondo.

Sulla scena pubblica spopola la parola famiglia, concepita solo come un’entità morale, indipendente dalle persone che la compongono, dall’autodeterminazione che è fondamento della libertà femminile, una famiglia imprigionata fra desideri e progetti di vita, negati dalla precarietà, ai quali lo Stato sociale arretrato e inadeguato com’è, non sa dare risposte se non allacciando le politiche pubbliche alla morale. Nessuno, pensiamo – ma sicuramente non le donne che investono sulle relazioni affettive, di coppia e di genitorialità - è astrattamente contro l’idea di famiglia, ma ci piace concepirla nella sua molteplicità di forme, nelle sue varie modalità, nelle dinamiche di relazione e di investimento che vi sono al suo interno.

Proviamo a ragionare fra di noi se la parola parità mantiene il senso che le abbiamo dato quando abbiamo iniziato questo percorso, oppure se in qualche modo se ne è perso il senso: il tema della parità non può funzionare se non rendiamo evidente il fatto che non tutto può essere tradotto e reso uguale.

Partendo da queste brevi ed assolutamente incomplete riflessioni, vi invitiamo a discutere, tra diverse, intorno a un tavolo sui processi che possiamo avviare per modificare profondamente il mondo che ci circonda, forti delle esperienze e delle battaglie che tante prima di noi hanno portato avanti, affinché si apra una fase nuova, un nuovo femminismo capace di investire come un’onda che travolge la nostra società contemporanea.

Lo vogliamo fare a partire da una piccola esperienza che abbiamo portato avanti nell’ultimo anno, da quando l’8 marzo 2008, abbiamo recuperato e dato nuova vita e colore all’ennesimo palazzo vuoto e fatiscente e ne abbiamo fatto una casa. Solo per le donne. Per tutte quelle donne che non hanno una casa in cui vivere, ma che da una casa sono dovute scappare o sono state cacciate, che sono state oggetto di violenza e sopraffazione, per colore che hanno deciso di di vivere da “sole”.
Uno spazio abitativo e sociale di donne e per le donne, il primo nella storia di questa città che mette insieme la tematica dell’emergenza abitativa con l’istanza di autodeterminazione sociale e civile delle donne.
Una casa delle donne territoriale, calata nel contesto delle periferie urbanizzate della nostra città, uno spazio dove accogliere donne in difficoltà, ma soprattutto un punto di riferimento sociale, motore di organizzazione di un nuovo protagonismo delle donne, un presidio territoriale aperto e includente.
Da questa piccola esperienza, vorremmo lanciare a tutte una proposta, che sicuramente non è risolutiva delle complesse questioni che prima abbiamo accennato, ma che può costituire un primo passo concreto al fine di ridisegnare le politiche delle pari opportunità e della lotta alla violenza a partire dai governi di prossimità, per attuare un sistema di contatto capillare con il territorio dove le donne vivono: costruiamo una casa delle donne in ogni municipio della città!

Per avviare questa discussione
Vi invitiamo ad intervenire

VENERDÌ 6 MARZO ORE 17.30
SALA ROSSA IV PIANO
MUNICIPIO ROMA X
PIAZZA DI CINECITTÀ 11

Action A

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