03/03/25

Anche per le nostre sorelle morte sul lavoro, per il lavoro facciamo sciopero l'8 marzo

A tutt'oggi, non esiste un manuale di prevenzione infortunistica redatto per le donne nel senso che le tipologie di infortuni sono ancora pensate e predisposte per lavoratori maschi... senza tenere conto delle peculiarità femminili quali ciclo, menopausa ed altri disturbi ormonali che, come sappiamo, ben possono incidere sulla prestazione lavorativa.

Qualche anno fa facemmo un opuscolo sull'attacco alla salute, alla vita delle lavoratrici, ne pubblichiamo l'introduzione. Ma vogliamo aggiornarlo. Facciamo appello alle lavoratrici, alle delegate, alle ispettrici del lavoro, dell'Inail a darci una mano.

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L’ATTACCO ALLA SALUTE E ALLA VITA DELLE LAVORATRICI              UNA REALTA’ DELLE DONNE DI CUI SI VUOLE PARLARE POCO

Cominciamo da alcuni dati:

“Il 27,5% degli infortuni colpisce le donne, circa 250mila su un totale di oltre 910mila. L’8% delle donne muore per infortunio”.

Questi dati che possono sembrare bassi, non testimoniano affatto una condizione di maggiore sicurezza per le donne ma solo una condizione di minor lavoro; muoiono meno perchè lavorano meno, soprattutto al sud e nei settori dell’industria pesante, e sono escluse (discriminate) in alcuni settori particolarmente a rischio, come l’edilizia, la siderurgia, la cantieristica navale, ecc.

Considerando che, come emerge da un’inchiesta Fiom “le donne che lavorano sono il 46,3%, mentre al sud il 34,7%”, se le donne lavorassero nelle stessa percentuale degli uomini, gli infortuni si raddoppierebbero o addirittura triplicherebbero.

“Negli infortuni in itinere, invece, la quota rappresentata dalle lavoratrici, è rilevante e pari esattamente al 46,1%. e le morti delle donne in questi infortuni vanno oltre il 50% dei decessi (contro il 22,3% tra gli uomini)” - Come mai questo dato così alto? Questi infortuni denunciano la morte di lavoratrici, come braccianti, precarie che per arrivare sui posti di lavoro a volte devono viaggiare, spesso assiepate nei pulmini dei caporali o degli intermediari, mezzi spesso non a regola che vanno veloci per portare prima sul lavoro o dal lavoro.

Ma denunciano soprattutto la corsa che le donne devono fare per e da lavoro, per affrettarsi, già stanche e stressate, a fare l’altro lavoro, quello gratis in casa. Le donne, se hanno famiglia, vanno al lavoro dopo aver fatto a volte ore di lavoro prima per “mettere a posto la casa”, per preparare da mangiare, per i figli – vi sono lavoratrici che per andare a fare il primo turno lavorativo si alzano alle 4 di notte e fino alle 6 hanno già lavorato due ore e già comincia la stanchezza; lo stesso avviene al rientro dal posto di lavoro. E questo fa vivere le donne in una continua corsa, le costringe anche a uno sforzo mentale, dovendo pensare a più impegni, e la stanchezza si somma a tensione, nervosismo.

Questi dati testimoniano che, a parte infortuni simili e rischi uguali agli altri lavoratori, c’è, anche sul fronte della sicurezza/salute, una condizione diversa delle donne rispetto ai lavoratori uomini. Le lavoratrici, per il doppio lavoro che sono costrette a svolgere, non riposano, se non per lo tempo strettamente necessario. Rispetto ad un lavoratore che va al lavoro e si stanca, rischia, ma prima e dopo può riposarsi, per le donne, anche oggi, la fine del lavoro fuori è solo l’inizio del lavoro in casa; per tante donne, proletarie, sembra quasi, pur nel 2009, che il lavoro fuori se lo devono ogni giorno conquistare, perchè si aggiunge al lavoro “normale” che devono fare per la famiglia.

Quindi il doppio lavoro – le donne lavorano complessivamente da un minimo di 60 ore settimanali (più della metà delle donne) a 70 ore (più di un terzo delle donne – mentre solo il 15% degli uomini lavora per 60 e solo l’1% degli uomini dà un aiuto nel lavoro domestico) - porta alla “doppia fatica”, al doppio stress, ad un peggioramento della salute (tante lavoratrici soffrono di dolori diffusi, costanti, di ansia, insonnia, dolori allo stomaco, ecc. che si dovranno portare per anni: “circa un’operaia su due soffre di dolori alla schiena, alle spalle, alle braccia e alle mani, tanto più se lavora in un settore come quello della produzione di automobili o di elettrodomestici” - inchiesta Fiom).

Un attacco alla salute e alla vita meno quantificabile nelle tabelle statistiche sulla sicurezza, ma molto più generale e costante.

Una condizione che di fatto viene nascosta quando in nome di una ipocrita quanto falsa “parità”, vuole uguagliare l’età pensionabile delle donne a quella degli uomini. E questo proprio quando nella inchiesta Fiom le donne – e in particolare il 62% delle operaie - dicono che “...non ce la faranno a fare lo stesso lavoro che svolgono oggi quando avranno 60 anni”.

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Ma c’è da dire anche che i dati ufficiali di infortuni e malattie professionali sono al ribasso rispetto alla realtà effettiva. Non rientrano nelle statistiche gli infortuni e gli attacchi alla salute nei settori in cui le lavoratrici sono spesso a nero, come il commercio, il terziario, il settore dei Pubblici servizi, l’agricoltura, le piccole ditte, le cooperative, l’ampio settore del finto volontariato.

Vengono nascosti – anzi “non esistono” - gli infortuni, le malattie delle lavoratrici immigrate, dalle “schiave dei rifiuti” del nord est, alle badanti in tutt’Italia.

Tra le immigrate i dati ci dicono che molto elevati sono gli infortuni per le donne “provenienti da Ucraina (51%), Polonia (41,8%) e Ecuador (37,9%), occupate prevalentemente nei servizi alle imprese e alle famiglie (pulizie, badanti, colf, ecc.)”. Per le badanti, costrette, come sono, a stare chiuse in case per lunghe ore con un rapporto solo con l’assistito, a badare spesso ad anziani malati anche di notte, il lavoro è anche usurante sia fisicamente che mentalmente.

Ma le immigrate non hanno diritto neanche ad ammalarsi e a curarsi, perchè esistono solo se lavorano.

Tra le immigrate, le lavoratrici del sesso, perseguitate, offese, cacciate, come “portatrici” di malattie, sono invece quelle che si prendono le peggiori malattie dagli uomini-clienti per la loro concezione di uso/abuso del corpo delle prostitute.

Malattie che possono portarle a gravi invalidità, fino alla morte. Malattie che non possono neanche farsi curare, altrimenti rischiano di essere arrestate e cacciate. Negli ultimi tempi, poi, collegate alle criminali e razziste misure del pacchetto sicurezza e alla presenza da sceriffi dei poliziotti e carabinieri, vi sono state le morti “su strada” di prostitute investite mentre scappavano dalla polizia. Anche queste morti, che non vengono contabilizzate, sono invece parte dell’attacco alla vita e alla salute delle donne.

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Ma soprattutto denunciamo che non viene registrato l’esaurimento/morte lenta delle donne. “Bastano pochi anni di lavoro perchè più di un terzo delle operaie intervistate abbia consapevolezza dei danni che il lavoro ha prodotto sul proprio corpo; dopo 10 anni è oltre il 60% a denunciarne gli effetti – inchiesta Fiom”. E nella crisi, questa condizione sta peggiorando...

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