Oggi anche le operaie metalmeccaniche scioperano. Ma la prima cosa da dire è che in tante fabbriche metalmeccaniche non ci sono, con una discriminazione che nasce dall’origine. In altre sono presenti, e anche tante, per esempio nelle fabbriche Stellantis. Però anche in queste fabbriche sono spesso “invisibili” – certo “visibili” per i padroni e i capi per lo sfruttamento, per i contratti peggiori, ultraprecari, a termine, perché più ricattabili, licenziabili, ma invisibili nei loro diritti.
Ma in generale le operaie sono “invisibili” anche per i sindacati confederali, nonostante la loro condizione “gridi” in ogni momento il doppio sfruttamento e la doppia oppressione che subiscono; le pesanti discriminazioni che vivono sono al massimo materia di centri statistici delle segreterie sindacali, raramente di qualche inchiesta, come dei giornali, anche in questi giorni.
Le loro rivendicazioni di donne-lavoratrici non entrano nella piattaforma contrattuale; così come sono delle “mosche bianche” delegate donne nelle Rsu, Rls – e quindi viene tolto alle lavoratrici il diritto di decidere su rivendicazioni che riguardano le loro condizioni di lavoro o contro piani o accordi che penalizzano la maternità o aumentano le differenze di genere nei salari e nelle mansioni.
Noi negli anni, negli interventi alle fabbriche in cui lavorano le operaie – in particolare negli stabilimenti Stellantis/ex Fiat di Mirafiori, di Melfi - abbiamo raccolto in una specie di “piattaforma” alcune rivendicazioni – di cui non c’è traccia anche in questo contratto metalmeccanico e per cui Fiom, Fim, Uilm chiamano allo sciopero oggi.
Riportiamo le principali di queste rivendicazioni:
- Pari salario per pari lavoro;
Ma dove stanno queste richieste nel contratto per cui oggi i sindacati metalmeccanici hanno chiamato allo sciopero?
Se i dati dei mass media, delle inchieste sindacali restano solo dati, per le operaie si tratta di vita concreta, di sofferenze, di discriminazioni sul lavoro, salariali inaccettabili.
Per non parlare della ipocrita odiosa auto propaganda del governo Meloni sull’occupazione e la condizione delle lavoratrici, che si riempie di falsità e di elemosine offensive, come i bonus dati a una ristretto numero di lavoratrici e a “peso”, secondo il numero dei figli – e che ora si vuole anche ridurre (a meno che di figli non ne hai 3 o più).
Nel settore metalmeccanico le donne sono mediamente il 20% tra gli operai, nella grande industria hanno raggiunto anche più del 28% degli occupati. Ma lo scarico della crisi su tutti gli operai, per le donne lavoratrici è un dramma. Tra le prime ad essere messe in cassintegrazione, ad essere licenziate, a vedersi trasformati contratti da tempo indeterminato in contratti a termine, sempre a rischio di essere sbattute fuori; in questi anni l’occupazione delle donne è calata del 15,7%.
La maggior parte delle operaie vive una situazione di ricatto, repressione e umiliazione dei diritti,
come lavoratrici e come donne. Insieme allo sfruttamento e fatica del lavoro – questo chiaramente comune nei suoi fondamenti a quelli degli operai maschi – per le donne vi è lo stress dovuto ai posti di lavoro peggiori ma soprattutto al peso del doppio lavoro fabbrica-casa, che influenza tutto: orari, ritmi, riposo. E questa condizione, sia chiaro, non è affatto un fatto privato, ma una condizione sociale frutto di questo sistema sociale capitalista.
Le operaie dicono che non ce la fanno più, per i ritmi di lavoro più intensi, anche a causa della velocità delle macchine, per il controllo dei capi.
La cassa integrazione, o la chiamata al lavoro, comunicata il giorno prima o addirittura ore prima - per esempio questo è norma negli stabilimenti Stellantis - comporta per le donne una doppia fatica e stress, dovendo sistemare all’ultimo momento i figli, la casa.
Sono sottoposte a movimenti ripetitivi di mani e braccia e a posizioni disagiate; a causa di questo modo di lavorare hanno dolori alla schiena, alle articolazioni e nel corpo; in alcuni casi sono esposte a rumori molto forti, a temperature troppo alte, a vibrazioni, o vapori, polveri e sostanze chimiche.
La sensazione delle operaie è come se il corpo giorno dopo giorno si consuma in mansioni logoranti e ambienti di lavoro nocivi.
Tutto questo per le donne ha conseguenze pesanti anche sulla salute riproduttiva, sulla possibilità di portare a termine in modo sano le gravidanze; comportano disfunzioni e patologie del ciclo mestruale e della menopausa, fino ad aborti spontanei.
A questo si unisce spesso un controllo eccessivo sulle prestazioni. Questa condizione di lavoro è peggiore rispetto agli uomini pure a parità di inquadramento, perchè rispetto a loro le donne hanno meno possibilità di cambiare orario di lavoro per l'incastro del lavoro esterno con il lavoro in famiglia.
In un’inchiesta da noi fatta allo stabilimento di Melfi, dove erano stati ridotti anche i minuti di pausa, le operaie dicevano: "Loro non sanno cosa significa catena di montaggio. Dicono: "che cosa sono 10 minuti di pausa in meno…?", ma quando i bagni stanno a inizio e fine del reparto, per chi sta in mezzo ci vogliono 10 minuti solo per arrivarci! E per le donne? Chi ha il ciclo mestruale come deve fare?".
Sul fronte salariale e dei livelli, la condizione, in una situazione generale di impoverimento dei salari, per le operaie vuol dire guadagnare sempre meno dei loro compagni di lavoro maschi ed essere inquadrate nei livelli più bassi pur a parità di ore, anzianità di lavoro e di titolo di studio. La loro maggiore presenza nei lavori precari, flessibili porta a livelli ancora più bassi e quindi ad una retribuzione più bassa, in cui una serie di voci retributive sono limitate alle voci “base”. Le donne sono penalizzate sui premi legati alle ore di effettiva prestazione lavorativa perché escludono le assenze di maternità, le assenze per malattia dei figli, le assenze per assistenza, come i permessi della legge 104.
E’ poi facile immaginare come i tagli del governo ai servizi sociali, alla sanità, all’assistenza per gli anziani, al bluff degli asili, che solo sui giornali la Meloni e i suoi ministri avevano promesso di aumentare e di renderli gratuiti, tutto questo riduce le possibilità lavorative.
Infine a tutto questo dobbiamo aggiungere le varie forme di discriminazione, molestie, a volte violenze che subiscono le operaie sul lavoro. Le subiscono maggiormente le migranti, le donne al sud, le giovani operaie, le single, e, sorprendentemente, accade più spesso alle lavoratrici delle grandi fabbriche.
La condizione sempre più precaria delle operaie, sempre più pesante per la loro salute (dato che le donne finiscono il loro turno inn fabbrica e comincia il “turno” in casa nei lavori domestici, nella cura dei figli, pure del marito, a volte anche degli anziani) deve portare a una doppia lotta contro i padroni, il governo e l’humus e l’azione maschilista che impregna tutto e tutti.
Occorre, utilizzare anche gli scioperi sindacali per costruire l’unità delle operaie tra i vari posti di lavoro, per costruire piattaforme delle donne operaie, per scioperi delle donne; per essere protagoniste della costruzione del sindacato di classe di tipo nuovo che ponga come principio costitutivo e permanentemente agente il ruolo delle donne lavoratrici nel affermare il carattere di classe e di genere che deve avere il sindacato, rompendo nei fatti con una “classe senza sesso”.
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