Riceviamo da Campagne in Lotta e riportiamo l'appello per il 6 novembre.
Riportiamo, inoltre, dall'Assemblea nazionale telematica Donne/Lavoratrici del 14/10 la denuncia di una lavoratrice immigrata, proprio sul problema dei documenti ma anche delle condizioni precarie di lavoro.
In questi due anni di pandemia tra chi è stato maggiormente penalizzato e chi non ha mai smesso di lottare ci sono le persone immigrate che per vivere dipendono da un permesso di soggiorno; un permesso che a sua volta è subordinato al contratto di lavoro, alla residenza, e a tutta un'altra serie di infiniti ostacoli burocratici che ne rendono sempre più difficile l'accesso e il mantenimento, sia per chi arriva in Italia che per chi ci vive e lavora da anni e magari ha anche dei figli qui, o prova a portare qui la propria famiglia.
La sanatoria del 2020, che avrebbe dovuto regolarizzare chi non aveva un permesso di soggiorno, è stata un fallimento e ha invece alimentato un giro di ricatti e di business sulle spalle dei lavoratori e le lavoratrici immigrate, che a un anno e mezzo dalla richiesta si ritrovano ancora a mani vuote.
La questione dell'accesso ai documenti ci riguarda tutti, italiani e immigrati. Si tratta dell'accesso alla salute, alla casa, ai servizi e alle tutele di base.
Per questo il 6 novembre torniamo in piazza, dalle campagne e dalle città di tutta Italia, per chiedere un incontro al ministero dell'Interno e ottenere risposte concrete. Vogliamo la regolarizzazione di chiunque non ha un permesso, l'abolizione delle attuali sull'immigrazione e dei decreti sicurezza, e la fine degli abusi nelle questure.
Contro confini e sfruttamento, per documenti per tutt*!
APPUNTAMENTO alle ORE 10:00 in PIAZZA ESQUILINO/VIA CAVOUR
DALL'ASSEMBLEA NAZIONALE DONNE/LAVORATRICI
SOLOMON: “Durante il lockdown non sono potuta uscire di casa, ora lavoro. Ho un problema per mia figlia di 21 anni.
Sono venuti a cercarmi i vigili ma loro non mi hanno trovata a casa perché faccio due lavori, di giorno faccio la cameriera ai piani e di sera vado da dei nonni per tutta la notte e così non ho tempo di stare a casa. Il vigile ha detto che sono venuti a casa a cercarmi ma non mi hanno trovata e quindi vuol dire che io non abito lì. Ma non è così, io abito lì, ma io lavoro e anche mia figlia lavora. Mi hanno detto di andare alla questura che mi dicono loro cosa devo fare e lì mi hanno detto di portargli il biglietto che faccio per andare a lavorare a Roma. Ho portato il biglietto, per un mese mi hanno detto: va bene, ma vai in Comune a prendere il certificato dello stato di famiglia di tua figlia, ma nello stato di famiglia non risulta il mio nome e quello è il problema e non so che cosa fare. Loro non hanno dato i documenti. I documenti servono anche per il lavoro, anche se mi ferma la polizia fuori senza documenti è un problema.
Sul lavoro, dove lavoro da 20 anni vi sono altri problemi. Sono le stesse persone della Ditta ma cambiano sempre il nome; dal 2017 che non mi pagano gli assegni familiari e ho chiesto a loro perché non me lo pagano e mi hanno detto che non potevano perché quella ditta non esiste più. Ma dico è la stessa persona e io non so cosa devo fare perché loro me li devono pagare. La Ditta quest’anno ha un nome, l’anno prossimo chiude e apre con un altro nome, la busta paga mi arriva sempre...”
Dalla compagna del Mfpr di Taranto: “Chiaramente ci dobbiamo occupare di questo perché non è una questione solo di Salomon ma di tante lavoratrici immigrate. Noi l’abbiamo detto tempo fa che le lavoratrici immigrate vengono anche doppiamente discriminate, doppiamente negati i diritti e che dovevamo anche fare un’inchiesta per capire meglio dove era possibile e su cosa era possibile lottare sicuramente sulla questione dei documenti e anche delle condizioni di lavoro. Su questo dobbiamo muoverci e risolvere alcuni problemi, perché risolto per una ci dà più spinta, ci da possibilità di pretendere questi diritti anche per altre".
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