09/11/21

Afghanistan - sotto le bandiere della guerra al terrorismo e dei diritti delle donne, l'imperialismo ha solo rafforzato il fondamentalismo. Ma le donne di RAWA non fuggono, e continuano a guidare la lotta per la resistenza in Afghanistan


Afghanistan, continua la lotta delle donne: «Ci vogliono seppellire. Ma denunciare il regime è un dovere»

di Chiara Sgreccia

 

«Ci siamo sempre opposti con veemenza all’occupazione degli Stati Uniti e dei loro alleati. Hanno invaso l’Afghanistan sotto le bandiere della guerra al terrorismo e dei diritti delle donne ma hanno solo rafforzato il fondamentalismo». A raccontare è una donna che preferisce non dire il suo nome. Parla al plurale, in nome di RAWA – Associazione Rivoluzionaria delle Donne Afghane di cui fa parte. Nata negli anni Settanta come movimento femminile di resistenza all’occupazione sovietica, oggi opera in clandestinità. È una delle organizzazioni più importanti per la difesa dei diritti delle donne in Afghanistan sulle quali, forse più che su tutti gli altri, pesa il ritorno del dominio talebano.

«Gli ultimi 20 anni hanno trasformato il paese in un bagno di sangue e lo hanno lasciato nella corruzione e nell’insicurezza. Sono morte più di 240 mila persone dal 2001 – quando gli Stati Uniti e la Nato hanno invaso il paese – a oggi, nelle aree di guerra tra Afghanistan e Pakistan, sono stati sprecati migliaia di miliardi di dollari. Nessuno ha ascoltato i reali bisogni del popolo perché alla base dell’invasione occidentale ci sono sempre stati gli interessi economici, geopolitici, militari, come il traffico di oppio, la vendita di armi, la posizione strategica in Asia Centrale e la ricchezza mineraria del sottosuolo. Ma l’occupazione ha avuto bisogno anche di un volto umano per ottenere il supporto dell’opinione pubblica. Tra i documenti segreti sulla guerra in Afghanistan resi noti da WikiLeaks, c’è quello in cui la CIA consiglia di usare le donne afgane come strumento per accrescere il consenso della cittadinanza verso il conflitto, per provocare indignazione, perché il possibile ritorno dei Talebani avrebbe deteriorato le condizioni di vita delle donne».

Però, prima ancora che gli americani e la Nato terminassero il ritiro delle truppe dall’Afghanistan, lo scorso agosto i talebani sono tornati davvero. Sono entrati nel palazzo presidenziale di Kabul, la capitale, e hanno preso il potere. Hanno promesso che la stampa sarebbe rimasta libera – purché non andasse contro i valori nazionali – e che le donne avrebbero visto i loro diritti rispettati – anche se all’interno di un sistema di leggi basato su una rigida interpretazione della legge islamica. Ma ora che sono di nuovo al comando, e che l’attenzione internazionale inizia a rivolgersi altrove, i Talebani mostrano il loro vecchio volto.


Che fine hanno fatto le loro promesse?


«Il desiderio dei Talebani di essere presi sul serio dall’Occidente non ha cambiato la loro natura che è e sarà sempre misogina, inumana, barbara, reazionaria, antidemocratica e anti-progressista. La situazione nel paese è di totale caos e devastazione. Oggi le città afgane sono tristi, cupe e grigie: non si sente più musica o le voci delle persone lungo le strade. La gente esce poco di dimora perché ha paura. Ci sono pochissime automobili perché il gas e la benzina costano caro. La situazione economica è disastrosa: è quasi raddoppiato il prezzo degli alimenti di base, molti prodotti sono scomparsi dal mercato. Le banche, le imprese private, le start-up locali e anche i piccoli negozi stanno chiudendo; le importazioni e le esportazioni sono bloccate. Non c’è denaro e i pochi che lo possiedono, non posso prelevare più di 200 dollari al mese. Secondo UNDP (United Nations Development Programme) il 97% della cittadinanza rischia di cadere in povertà entro la metà del 2022, se non vengono forniti aiuti internazionali.

Anche il settore sanitario è in crisi, non ci sono le medicine, non ci sono gli strumenti, non ci sono gli operatori sanitari. Il tasso di disoccupazione è altissimo, sono aumentati i suicidi di chi non riesce a sfamare la famiglia o a pagare l’affitto. In molti affermano che quest’angoscia non è affatto diversa dalla sensazione di terrore che si prova in guerra. In più, una delle nostre più grandi paure è che i Talebani trasformino l’Afghanistan in un rifugio sicuro per i terroristi».


Come prima del 2001?


«I cinque anni del regime talebano, dal 1996 al 2001, sono stati bui e soffocanti, ricchi di crimini e atrocità. Le infrastrutture e l’economia del paese erano devastate. Non c’era acqua corrente, elettricità, mezzi di comunicazione come i telefoni, strade funzionanti o forniture regolari di energia. L’Afghanistan era un angolo di mondo completamente dimenticato in cui le donne non potevano uscire di dimora se non accompagnate dal mahram (un partente maschio stretto, come il padre, il fratello), andare a scuola, essere curate da medici uomini, lavorare fuori dall’abitazione, fare sport, farsi vedere in balcone, etc. Era vietato anche ridere rumorosamente. No tacchi, no trucco, caviglie coperte. Fustigazioni e pestaggi, le pene per chi non si fosse vestito seguendo le regole talebane. Venivano lapidate in pubblico le donne accusate di aver fatto sesso fuori dal matrimonio».


Dopo cosa è successo?


«Dalla fine del primo regime talebano, la società è cambiata molto: le donne sono andate a scuola, si sono laureate all’università, formate come medici, poliziotte, attrici, giornaliste. Si sono candidate al parlamento, hanno lavorato per il governo, per le organizzazioni internazionali. Questo, però, non è mai stato un merito degli occidentali che hanno invaso il nostro paese, ma il risultato naturale di una società che si evolve. Vent’anni sono molti. Secondo le statistiche, il 25% della cittadinanza dell’Afghanistan è nata dopo il 2001 e nonostante la quasi totale assenza di libertà le ragazze sono riuscite ad acquisire un’istruzione e competenze grazie al digitale. Internet e la tecnologia hanno giocato un ruolo importante nel progresso della nostra giovane generazione in particolare per le donne che sono diventate più consapevoli politicamente e socialmente».


E adesso?


«Oggi è straziante vedere che gli obiettivi di tante donne, come quelli di studiare o di costruirsi una buona carriera, siano infranti, seppelliti sotto il burqa che in molte non erano più abituate a portare. I Talebani trattano le donne peggio delle bestie. Considerano illegale la detenzione degli animali in gabbia ma le imprigionano tra le quattro mura di dimora. Mentre prima le donne costituivano poco più di un quarto del parlamento del paese e il 6,5% dei posti ministeriali, oggi sono escluse dal governo. E nonostante le false assicurazioni la maggior parte, deve ancora tornare in ufficio o in aula. L’edificio che una volta ospitava il Ministero degli Affari femminili da quando ci sono i Talebani è stato riadattato per accogliere il Ministero per la propagazione della virtù e la prevenzione del vizio, la polizia morale dei Talebani.

E Il fatto che ancora oggi menzionino costantemente il complesso di regole della Sharia significa che il sistema di restrizioni e regolamenti diventerà sempre più duro e stingente fino a che non ci soffocherà».


Ha mai pensato di lasciare l’Afghanistan?


Non pensiamo che fuggire dal paese sia la soluzione giusta per le donne di RAWA perché, come abbiamo imparato dalla storia, nei momenti di guerra e oppressione il popolo mostra la sua capacità di resistenza. Proveremmo vergogna a lasciare il paese e abbandonare milioni di persone che soffrono. Forse non riusciremo a rovesciare il regime talebano ma non smettiamo di aiutare la nostra gente. È un dovere continuare la lotta e denunciare il regime, i suoi crimini e il ruolo da traditore che hanno avuto le potenze straniere. Nonostante viviamo in una società misogina, fondamentalista e patriarcale, nonostante i divieti, le botte, la paura, le minacce e le decessi, le donne afghane continuano a protestare. Nessuna nazione può donare i diritti o la democrazia ad un altro stato. Perciò siamo certe che saranno proprio le nostre donne, ora politicamente consapevoli, a guidare la lotta per la resistenza in Afghanistan. Faranno da apripista perché sanno che cosa significa essere oppresse e, molto più di quanto accada agli uomini, stanno provando sulla loro pelle il dolore per la violazione dei diritti fondamentali, le brutalità del regime talebano».

 


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