Afghanistan, continua la lotta delle donne: «Ci vogliono seppellire. Ma denunciare il regime è un dovere»
«Ci siamo sempre opposti con veemenza all’occupazione
degli Stati Uniti e dei loro alleati. Hanno invaso l’Afghanistan sotto le
bandiere della guerra al terrorismo e dei diritti delle donne ma hanno solo
rafforzato il fondamentalismo». A raccontare è una donna che preferisce non
dire il suo nome. Parla al plurale, in nome di RAWA – Associazione
Rivoluzionaria delle Donne Afghane di cui fa parte. Nata negli
anni Settanta come movimento femminile di resistenza all’occupazione sovietica,
oggi opera in clandestinità. È una delle organizzazioni più importanti per la
difesa dei diritti delle donne in Afghanistan sulle quali, forse più che su
tutti gli altri, pesa il ritorno del dominio talebano.
«Gli ultimi 20 anni hanno trasformato
il paese in un bagno di sangue e lo hanno lasciato nella corruzione e
nell’insicurezza. Sono morte più di 240 mila persone dal 2001 – quando gli
Stati Uniti e
Però, prima ancora che gli
americani e
Che fine hanno fatto le loro promesse?
«Il desiderio dei Talebani di essere presi sul serio dall’Occidente non ha cambiato la loro natura che è e sarà sempre misogina, inumana, barbara, reazionaria, antidemocratica e anti-progressista. La situazione nel paese è di totale caos e devastazione. Oggi le città afgane sono tristi, cupe e grigie: non si sente più musica o le voci delle persone lungo le strade. La gente esce poco di dimora perché ha paura. Ci sono pochissime automobili perché il gas e la benzina costano caro. La situazione economica è disastrosa: è quasi raddoppiato il prezzo degli alimenti di base, molti prodotti sono scomparsi dal mercato. Le banche, le imprese private, le start-up locali e anche i piccoli negozi stanno chiudendo; le importazioni e le esportazioni sono bloccate. Non c’è denaro e i pochi che lo possiedono, non posso prelevare più di 200 dollari al mese. Secondo UNDP (United Nations Development Programme) il 97% della cittadinanza rischia di cadere in povertà entro la metà del 2022, se non vengono forniti aiuti internazionali.
Anche il settore sanitario è in
crisi, non ci sono le medicine, non ci sono gli strumenti, non ci sono gli
operatori sanitari. Il tasso di disoccupazione è altissimo, sono aumentati i
suicidi di chi non riesce a sfamare la famiglia o a pagare l’affitto. In molti
affermano che quest’angoscia non è affatto diversa dalla sensazione di terrore
che si prova in guerra. In più, una delle nostre più grandi
paure è che i Talebani trasformino l’Afghanistan in un rifugio sicuro per i
terroristi».
Come prima del 2001?
«I cinque anni del regime talebano, dal 1996 al 2001, sono stati bui e soffocanti, ricchi di crimini e atrocità. Le infrastrutture e l’economia del paese erano devastate. Non c’era acqua corrente, elettricità, mezzi di comunicazione come i telefoni, strade funzionanti o forniture regolari di energia. L’Afghanistan era un angolo di mondo completamente dimenticato in cui le donne non potevano uscire di dimora se non accompagnate dal mahram (un partente maschio stretto, come il padre, il fratello), andare a scuola, essere curate da medici uomini, lavorare fuori dall’abitazione, fare sport, farsi vedere in balcone, etc. Era vietato anche ridere rumorosamente. No tacchi, no trucco, caviglie coperte. Fustigazioni e pestaggi, le pene per chi non si fosse vestito seguendo le regole talebane. Venivano lapidate in pubblico le donne accusate di aver fatto sesso fuori dal matrimonio».
Dopo cosa è successo?
«Dalla fine del primo regime talebano, la società è cambiata molto: le donne sono andate a scuola, si sono laureate all’università, formate come medici, poliziotte, attrici, giornaliste. Si sono candidate al parlamento, hanno lavorato per il governo, per le organizzazioni internazionali. Questo, però, non è mai stato un merito degli occidentali che hanno invaso il nostro paese, ma il risultato naturale di una società che si evolve. Vent’anni sono molti. Secondo le statistiche, il 25% della cittadinanza dell’Afghanistan è nata dopo il 2001 e nonostante la quasi totale assenza di libertà le ragazze sono riuscite ad acquisire un’istruzione e competenze grazie al digitale. Internet e la tecnologia hanno giocato un ruolo importante nel progresso della nostra giovane generazione in particolare per le donne che sono diventate più consapevoli politicamente e socialmente».
E adesso?
«Oggi è straziante vedere che gli
obiettivi di tante donne, come quelli di studiare o di costruirsi una buona
carriera, siano infranti, seppelliti sotto il burqa che in
molte non erano più abituate a portare. I Talebani trattano le donne peggio
delle bestie. Considerano illegale la detenzione degli animali in gabbia ma le
imprigionano tra le quattro mura di dimora. Mentre prima le donne costituivano
poco più di un quarto del parlamento del paese e il 6,5% dei posti
ministeriali, oggi sono escluse dal governo. E nonostante le false
assicurazioni la maggior parte, deve ancora tornare in ufficio o in aula. L’edificio che una volta ospitava il Ministero degli Affari
femminili da quando ci sono i Talebani è stato riadattato per accogliere il
Ministero per la propagazione della virtù e la prevenzione del vizio, la
polizia morale dei Talebani.
E Il fatto che ancora oggi
menzionino costantemente il complesso di regole della Sharia significa che il sistema di restrizioni e
regolamenti diventerà sempre più duro e stingente fino a che non ci
soffocherà».
Ha mai pensato di lasciare l’Afghanistan?
Non pensiamo che fuggire dal paese
sia la soluzione giusta per le donne di RAWA perché, come abbiamo imparato
dalla storia, nei momenti di guerra e oppressione il popolo mostra la sua
capacità di resistenza. Proveremmo vergogna a lasciare il paese
e abbandonare milioni di persone che soffrono. Forse non riusciremo a
rovesciare il regime talebano ma non smettiamo di aiutare la nostra gente. È un dovere continuare la lotta e denunciare il regime,
i suoi crimini e il ruolo da traditore che hanno avuto le potenze straniere. Nonostante
viviamo in una società misogina, fondamentalista e patriarcale, nonostante i
divieti, le botte, la paura, le minacce e le decessi, le donne afghane continuano
a protestare. Nessuna nazione può donare i diritti o la democrazia ad un altro
stato. Perciò siamo certe che saranno proprio le nostre donne,
ora politicamente consapevoli, a guidare la lotta per la resistenza in
Afghanistan. Faranno da apripista perché sanno che cosa significa essere
oppresse e, molto più di quanto accada agli uomini, stanno provando sulla loro
pelle il dolore per la violazione dei diritti fondamentali, le brutalità del
regime talebano».
Nessun commento:
Posta un commento