Il 24 novembre scorso a L’Aquila, in occasione
della terza udienza del processo a Nadia Lioce per “disturbo della quiete o del
riposo delle persone”, un centinaio di compagne e compagni hanno manifestato contro
il regime di tortura del 41 bis ed espresso la loro solidarietà a Nadia, unica
donna, prigioniera politica, ancora sottoposta a questo infame regime detentivo,
a cui ha avuto la forza di ribellarsi.
La si accusa di aver reagito a ogni sequestro
e vessazione quotidiana, battendo una bottiglietta di plastica vuota contro la
porta blindata della cella in cui è sepolta.
E oggi 31 compagne e compagni sono accusati di aver disobbedito alle prescrizioni della questura dell’Aquila, che voleva di fatto vietare quella manifestazione in virtù dell’art. 18 comma 5 del fascistissimo Regio Decreto n.773 del 18 giugno 1931.
Respingiamo
questo tentativo di reprimere chi lotta, di criminalizzare la
solidarietà verso i detenuti politici rivoluzionari. Questa battaglia
continuerà più ampia e forte di prima.
Come compagne del movimento femminista proletario rivoluzionario ribadiamo la necessità e l’urgenza, di fronte al moderno fascismo che avanza, di una mobilitazione di massa per la libertà delle prigioniere politiche e dei proletari ribelli rinchiusi nelle carceri di questo Stato borghese.
E oggi
abbiamo anche la "voce" dall'interno del carcere per combattere
contro ogni tentativo di isolamento, criminalizzazione delle lotte. Il
memoriale che Nadia Lioce ha depositato presso il Tribunale di
L’Aquila il 24 novembre offre
un’altra chiave di lettura del 41 bis, agli antipodi delle
rappresentazioni
mediatiche. In esso può riflettersi non solo la condizione di chi è
reclusa/o
in 41 bis o in altro regime detentivo, ma anche la condizione di tante
donne e
uomini "detenuti" in fabbrica, nei posti di lavoro, nelle
scuole-azienda, dove
vige sempre più un regime autoritario, repressivo, un potere e un
controllo
sempre più stringente, che tende ad isolare, deridere, annichilire chi
non si
mostra collaborativa/o e compiacente con il padrone o chi ne fa le veci.
Rilanciamo
pertanto, in vista della prossima udienza per Nadia Lioce che si terrà a
L’Aquila il 4 maggio, la proposta di organizzare insieme assemblee nei vari
territori,
affinché si dia una base più visibile, estesa e di massa alla
campagna per Nadia Lioce. Assemblee per spiegare ai lavoratori, ai giovani,
alle realtà di movimento locali, alle donne in lotta contro le violenze
reazionarie di questo sistema sociale, la vicenda di Nadia e dei prigionieri
rivoluzionari, interna all'azione repressiva violenta dello Stato; per
denunciare a tutti cosa è realmente il 41bis, avvalendoci del documento di
Nadia Lioce; per chiamare alla solidarietà in varie forme, raccogliendo vari contributi.
Perché il 4 maggio vogliamo
essere tante e tanti di più
MFPR
Info: mfpr.naz@gmail.com
Di
seguito proponiamo la lettura di uno stralcio del documento di Nadia Lioce, sulla
specificità della sezione 41 bis femminile dell’Aquila (il documento integrale
potete trovarlo su http://femminismorivoluzionario.blogspot.it/p/blog-page.html)
“La specificità della sezione 41 bis femminile dell’Aquila è
quella di essere stata istituita da zero. Cioè scegliendo: ubicazione
geografica e strutturale, personale assegnato e sua formazione, e il
trattamento a cui sottoporre le “politiche” per cui è nata. E ciò potendo
contare sul fatto che le prigioniere sottoposte alla misura non avessero
un’esperienza pregressa, nemmeno storica, del 41 bis (misura che viene previsto
possa essere applicata anche ai politici nel 2002). Inoltre, la mancanza di una
loro coesione per ragioni di forza maggiore, ha reso più praticabile un
trattamento di “massimo rigore”.
Col passare degli anni, e radicato l’insediamento e le sue
caratteristiche di fondo, la particolarità è stata essenzialmente quella di
essere poche.
Ma è necessario fare un passo indietro.
Fino al 2005, la sezione 41 bis femminile era quella di
Rebibbia, a Roma, dove le restrizioni applicate erano quelle di legge e
generali, e il personale penitenziario era ordinario.
Quella sezione nel 2009 chiuse.
In quella aquilana, aperta nell’ottobre 2005, per applicare il
“massimo rigore” fu adottato l’espediente di elaborare ed affiggere nella
saletta della sezione un regolamento apposito per la sezione, che voleva dare
l’impressione che, data la peculiarità di genere della sezione, essendo
femminile in un carcere esclusivamente maschile, ne servisse uno apposta,
altrimenti esisteva un regolamento di istituto che era vigente a tutti gli
effetti.
In realtà, quando nel 2006 fu chiesto di poter acquisire il
regolamento d’istituto – tutti gli istituti devono averne uno – non fu opposto
un diniego, non sarebbe stato giustificabile, ma fu affissa una copia del
regolamento mancante di alcune pagine iniziali e anche al suo interno. Se ne
dovette perciò reclamare l’affissione nella sua interezza al Magistrato di
sorveglianza. E infatti così fu fatto quando il magistrato lo ordinò.
Allora si poté scoprire che, quelle mancanti, erano pagine
concernenti modalità di perquisizione personale, quantità e generi alimentari,
di vestiario e altro, detenibili in cella. Ambiti in cui la prassi nella
sezione femminile non osservava il regolamento a scapito delle detenute, fino a
quel momento ancora poco esperte.
La sottoscritta farà alcuni esempio pratici: le “perquisizioni
personali con denudamento” venivano fatte con denudamento integrale nonostante
il regolamento d’istituto prescrivesse che il detenuto restasse con gli
indumenti intimi.
Un altro esempio: il regolamento d’istituto prevedeva che in
cella si potessero detenere 10 pacchetti di sigarette. Quello di sezione non
contemplava l’argomento, sicché la quantità detenibile veniva comunicata
oralmente. Diventarono 8, poi 6, poi 4. E il momento della decisione di ridurre
da 8 a 6
ecc. era quello in cui nel corso della perquisizione della cella, a quel tempo
settimanale, se ne trovavano 7, poi 5 e così via.
Alla detenuta veniva contestata la detenzione di un “eccesso”,
alla prevista e scontata rimostranza, la prima volta c’era l’avvertimento, la
seconda il rapporto disciplinare. E così per ogni variazione in senso
restrittivo che potesse/volesse essere inventata.
A quel tempo, fino a tutto il 2009, era un metodo, poi è
diventato periodico, mentre, più in generale, anche sui generi detenibili in
cella il dipartimento ha sussunto molte delle potestà prima in capo, almeno
formalmente, ai direttori.
Come detto, la particolarità della sezione femminile 41 bis è
ora in buona parte dovuta alla scarsità di detenute, un dato di fatto che di
per sé si traduce in una pressione più elevata, e che consente di gestire la
frequentazione alternata dei comuni passeggi e della saletta, anche formando
“gruppi” di due persone.
E poiché come prima opzione l’amministrazione privilegia la
composizione di gruppi di numero minimo di persone, i “gruppi”, salvo cause di
forza maggiore, sono sempre di due donne.
I gruppi di due persone nella vita civile si chiamano coppie.
Anche in carcere, tempo fa, la definizione di “gruppo”, almeno nelle
controversie insorte tra amministrazione, detenuti e magistratura, rispettava
il senso comune. Il gruppo, cioè, era costituito da un minimo di 3 persone.
I gruppi di 2-3 persone, inoltre, erano limitati alle “aree
riservate”, cosi dette perché braccetti separati “monogruppo”, isolati dagli
altri e con un trattamento più duro, fino al 2009 presenti in poche unità
per carcere ove fossero ubicate.
Trovate forme di legittimazione, di fatto con la legge del 2009,
“l’area riservata” è diventata il modulo segregativo della popolazione detenuta
al 41 bis. E anche in questo senso, la sezione femminile, che dall’apertura
della sezione de L’Aquila è sempre stata un’area riservata per un massimo di 4
detenute – fino al 2013 – si è ritrovata ad essere il “benchmark” ed infine “la
nuova normalità”.
Come si può intuire, i mini gruppi di 2 persone sono la
composizione a massimo condizionamento reciproco.
Ad esempio offrono la possibilità con una sanzione di erogarne
informalmente 2.
È quello che sarebbe successo alla sventurata detenuta che fosse
capitata nel gruppo con la sottoscritta, anche dall’aprile 2015 all’ottobre
2017, quando avrebbe dovuto restare sola al passo delle sanzioni scontate dalla
sottoscritta per la protesta effettuata dei fatti di un segmento della quale
qui si discute.
E invece non è successo perché la sottoscritta, anche per senso
di responsabilità verso le altre detenute, all’atto del trasferimento in una
sezione più grande in grado di custodire ulteriori detenute sopravvenute, ha
scelto di non condividere gruppi con nessuna, ovvero dal gennaio 2013 a tutt’oggi.
In parole povere, composizioni di gruppi minimali sono una
condizione che genera isolamenti in se stessa perché l’unico altro componente
resta solo in casi di: sanzione, malattia, colloquio, udienza, o semplice,
legittima, mancanza di volontà di uscire dalla cella, o di svolgere le medesime
attività durante l’ora d’aria o di saletta, dell’altro.
Tutte condizioni concretamente verificatesi centinaia di volte
dal 2005, da quando cioè L’Aquila aprì la sezione femminile per “le politiche”.
Dopodiché l’essere umano è per sua natura sociale, cioè lo è sia
interiormente che nelle sue interazioni, non lo è solo circostanzialmente,
perciò le circostanze sono ciò con cui potenzialità e istanze si misurano e con
cui le persone possono maturare, anzi tanto più possono aspirare a migliorarsi,
quanto più difficili fossero le circostanze che si presentassero.
La sottoscritta, non potendo sapere quale sia l’idea dei
presenti sulle comunicazioni nelle sezioni 41 bis, immaginando che non fossero
note né le circostanze derivanti dalla propria condizione di “solitudine” e
dunque di preclusione assoluta delle comunicazioni con altre detenute, né che –
tra le altre cose – all’epoca dei fatti la sottoscritta avesse conosciuto
soltanto due delle altre sei detenute presenti nella sezione femminile in quanto
già a L’Aquila dal 2010 – 2011, e infine immaginando che possa essere ritenuto
– erroneamente – che una situazione del genere, contrastando con un principio
di inviolabilità della persona, non possa verificarsi in questo paese, ha
preferito dilungarsi a illustrare le condizioni d’esistenza proprie e delle
altre detenute, nel regime di prigionia di 41 bis, prima di entrare nel merito
di quanto in oggetto."
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