01/03/18

Verso l'8 marzo delle donne proletarie - Il movimento femminista e il ruolo della donna lavoratrice nella lotta di classe - Alexandra Kollontaj

prima parte

Conferenze all'università Sverdlov sulla liberazione della donna (*)

Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

1921 - VIII conferenza

Il movimento delle donne fu dunque il risultato di una contraddizione esemplare in seno al capitalismo: la partecipazione crescente delle donne alla produzione non era corrispondente in nessun modo alla loro discriminazione persistente nella società, nel matrimonio e nello Stato.
La "questione femminile" non esiste in modo indipendente. Questa violenza nella società borghese che opprime la donna è prodotta in parte dalla grande antinomia sociale tra capitale e lavoro.
La contraddizione tra la partecipazione della donna alla produzione e la sua generalizzata assenza di diritti condusse alla comparsa di un fenomeno assolutamente sconosciuto fino a quel momento: la nascita di un movimento di donne. Ma fin dall'inizio, questo movimento prende due orientamenti diametralmente opposti: una frazione si organizza sotto l'egida di un movimento femminista borghese, mentre l'altra diventa parte integrante del movimento operaio.

Il movimento femminista borghese nel XIX secolo derivava da organizzazioni politiche maschili e borghesi e non cessò di essere successivamente, anche solo parzialmente, il riflesso delle classi
sociali che lo componevano. Il movimento delle donne prese rapidamente ampiezza e forma, alla fine della XIX secolo, nella totalità degli Stati occidentali ed orientali, una rete solida di organizzazioni femminili. Il loro obiettivo principale era il riconoscimento dell'uguaglianza dei diritti dell'uomo e della donna su tutti i piani e nel quadro della società capitalista esistente. Le dirigenti borghesi del movimento delle donne non erano affatto interessate al movimento di rinnovamento sociale che apriva prospettive nettamente più vaste alla liberazione della donna e che ha dato loro l'unica base solida. Restarono completamente estranee al socialismo. E se, finalmente, una parte delle femministe borghesi aveva formulato verso la fine del XIX secolo delle rivendicazioni prese in prestito alle socialiste, fu solo per garantirsi il sostegno delle donne proletarie, per comperare la loro collaborazione e darsi così un più grande peso politico.

Il movimento femminista borghese si voleva esterno alla classe, neutrale e affermava di rappresentare le rivendicazioni e le iniziative di tutte le donne. Tuttavia, la realtà era molto diversa e le femministe
borghesi alla fine, non rappresentavano nulla di più che le loro rivendicazioni e i loro interessi, cosa che non escludeva il fatto che il movimento femminista borghese reclutasse i suoi membri fra le classi sociali più diverse. Una terza caratteristica di questo movimento è che esso riuscì a scatenare un serio conflitto d'interessi tra l'uomo e la donna, nella misura in cui, alla fine, le femministe cercavano di imitare gli uomini. Commisero ancora un altro grave errore. Non presero in considerazione il doppio ruolo sociale della donna e trascurarono completamente che questi "diritti naturali" che difendevano con tanto ardore, esigevano donne non soltanto che svolgessero un lavoro produttivo per la società, ma anche che assicurassero la loro funzione riproduttiva nell'ambito di questa stessa società. Ma la difesa e la protezione della donna come madre, non entravano affatto nel programma, né nella politica del movimento femminista borghese.

E quando il movimento iniziò a discutere il problema della protezione della maternità tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo, esso rappresentava una novità nel loro lavoro. A malincuore e senza credervi troppo, le femministe inclusero nel loro programma le rivendicazioni di protezione legale della madre e altre leggi speciali che dovevano garantire la tutela delle lavoratrici.

Le femministe tentarono ingenuamente di riportare la lotta per i diritti della donna dal piano stabile della lotta di classe, al piano della lotta tra i sessi. Ciò ha dato luogo ad una falsificazione, una caricatura. La loro mancanza di intuizione politica ha allontanato le femministe dalla giusta linea di lotta.
Il successo e l'appoggio che le femministe borghesi avevano incontrato in precedenza fra gli uomini della loro classe, furono persi entrambi perché in ogni occasione, buona o cattiva, difendevano una causa esclusivamente femminile, anziché sostenere gli interessi dell'insieme della classe borghese, che avrebbe potuto garantire in cambio i loro diritti. È soltanto all'inizio del XX secolo che i borghesi politicamente coscienti iniziano a collegare la propria lotta a quella di un determinato partito politico e che si presentano da quel momento come rappresentanti di questo partito. E' così che lavoravano ad esempio le giovani cadette, inizialmente nell'Associazione per i diritti delle donne e più tardi, nella Lega per i diritti delle donne.

Alcune organizzazioni inglesi e tedesche adottarono una politica simile.
Dato che le femministe borghesi hanno usato tutta la loro energia per dimostrare che la donna non era affatto e in nessun modo inferiore all'uomo, trascurarono completamente la specificità biologica della donna, specificità di cui la società doveva tenere conto. Nel periodo del comunismo primitivo, la tribù rispettava le donne perché erano, da un lato i produttori principali dell'economia della tribù e dall'altro, perché mettevano al mondo i bambini e garantivano così la discendenza della tribù. Ma in seguito, quando gli uomini eseguivano la totalità dei compiti produttivi, la società non aveva più una ragione importante per considerare le donne come uguali a loro, anche se queste continuavano a partorire come in passato. È soltanto quando uomini e donne hanno un lavoro socialmente utile, che la società è pronta a considerare la funzione sociale supplementare della donna, come madre ed educatrice dei bambini, garantendole un certo aiuto e protezione.

Ma le femministe borghesi, nel loro esaltato impegno per i vuoti principi dell'uguaglianza dei diritti, rifiutarono di riconoscere questa realtà. Il loro più grave errore fu di credere che il riconoscimento dei diritti della donna dipendesse dalla totale uguaglianza dell'uomo e della donna. È per questo che le femministe estremiste si vestivano "per principio" e non per comodità come gli uomini, si tagliavano i capelli per somigliare a loro e mostravano gesti e comportamenti maschili.

Quando le femministe appresero che le donne che lavoravano come scaricatori al porto erano costrette a trasportare carichi pesanti, furono estremamente commosse e scrissero, effettivamente, nei loro giornali e nelle loro riviste ciò che segue: "Una nuova vittoria da mettere in conto nella lotta per l'uguaglianza dei diritti della donna. Le donne portuali trasportano fianco a fianco dei loro colleghi maschi, carichi che arrivano fino a 200 kg". Non si rendevano conto che al contrario sarebbe stato necessario scrivere articoli per svelare la rapacità del capitalismo, denunciare questo lavoro inadatto, dannoso per gli organi femminili e pertanto, dannoso per il popolo intero. Le femministe non capivano che la donna, a causa delle sue specifiche proprietà fisiche, si trova sempre in una situazione "a parte" e che, per una data società, il fatto di "rispettare" o di "tenere conto" di queste qualità specifiche non sarebbe affatto pregiudizievole, al contrario. La donna non deve assolutamente fare lo stesso lavoro dell'uomo.

Al fine di garantirgli pari diritti, è sufficiente che svolga un lavoro di pari valore per la comunità. Ma le femministe semplicemente non capivano questa relazione ed è per questo che il loro movimento era così limitato e unilaterale.

Il movimento femminista borghese attraversò naturalmente varie tappe di sviluppo. Le rivendicazioni per l'uguaglianza dei diritti politici, che erano state poste con energia e fermezza in America e in Francia fino al XVIII secolo, cessarono con lo scatenarsi della guerra civile e il consolidamento simultaneo della predominanza della classe borghese. Il movimento femminista all'inizio del XIX secolo si accontentò allora più modestamente di reclamare l'accesso di tutte le donne alla formazione professionale. Questa rivendicazione deriva direttamente dalla prima rivendicazione del movimento, cioè dal diritto al lavoro. All'epoca della Rivoluzione francese, Olympe de Gouges aveva perfettamente ragione quando affermava nel suo manifesto politico che il riconoscimento unilaterale dei diritti politici della donna non avrebbe affatto cambiato la situazione di questa. Era altrettanto importante per le donne lottare per ottenere l'accesso a tutte le professioni.

All'epoca in cui Olympe de Gouges pubblicò il suo manifesto, cominciò la lotta delle donne borghesi per l'accesso senza restrizione agli studi e alle professioni universitarie. All'apogeo del capitalismo, gli artigiani non erano i soli a fare fallimento, né gli operai a domicilio a trasformarsi in operai di fabbrica. L'idillio sentimentale della piccola e della media borghesia fu così considerevolmente minato. Gli uomini di queste ultime categorie sociali diventarono bruscamente incapaci di far fronte al mantenimento delle loro famiglie. Ciò indusse i figli e le figlie delle famiglie svantaggiate a cercare lavoro. Le ragazze delle famiglie borghesi lavoravano come maestre di scuola, scrivevano o traducevano romanzi o tentavano di adoperarsi come funzionari dello Stato per garantirsi un reddito stabile. Tuttavia, l'accesso delle donne alle professioni specificamente universitarie restò loro interdetto come in passato. La società borghese ha dato alla loro energia e intelligenza solo una fiducia limitata e ha aperto loro questa strada soltanto a malincuore. Occorre aggiungere che le donne stesse sottovalutavano le loro facoltà intellettuali rispetto agli uomini.

Normalmente, l'uomo garantiva la sua sussistenza e quella della sua famiglia. La donna borghese aveva, di norma, soltanto "un'occupazione di sostegno", abitava con il marito ed utilizzava le sue entrate per coprire le proprie "spese personali". Ma il numero di donne della piccola e della media borghesia obbligate a soddisfare non soltanto i propri bisogni, ma anche quelli della propria famiglia, aumentava sempre più. I loro stipendi, tuttavia, continuavano a essere calcolati come se il loro lavoro fosse solo supplementare. La loro debole qualificazione professionale fu anche causa del reddito inferiore percepito. Non è perché le donne appartenevano "al sesso debole" che gli imprenditori e i servizi pubblici sbarravano loro l'accesso alle occupazioni d'ufficio o al lavoro d'insegnante. Il loro lavoro rivestiva un valore produttivo inferiore perché le donne non disponevano della formazione professionale corrispondente. I loro concorrenti sul mercato del lavoro, gli uomini, erano ovviamente estremamente insoddisfatti quando perdevano il loro lavoro d'ufficio nel settore privato o in quello pubblico.

Le femministe commisero un grave errore pensando che gli uomini rifiutassero l'accesso delle donne ad alcune professioni soltanto perché erano egoisti e temevano la concorrenza femminile. Il fatto che le donne borghesi avessero allora la scelta tra un numero estremamente ridotto di professioni, era dovuto alla mancanza di formazione professionale. Le donne poterono uscire da questo vicolo cieco soltanto quando riuscirono ad accedere agli studi universitari. È per questo che in alcuni paesi, come in Germania e più tardi anche in Russia, la rivendicazione essenziale del movimento femminista borghese fu la seguente: stesse condizioni per le donne e gli uomini nell'istruzione superiore. Il dibattito su migliori possibilità d'istruzione per le donne è sorto nel XVIII secolo. Lo scrittore francese Fénelon e più tardi, il filosofo e giornalista Condorcet (particolarmente attivo durante i primi anni della Rivoluzione) si sono pronunciati con determinazione per l'istruzione delle donne. In Inghilterra, la questione fu già posta nel XVII secolo da Daniel Defoe e Mary Astell. Ma, poiché erano l'uno e l'altra in una posizione piuttosto isolata, il loro appello non aveva comportato conseguenze pratiche.

Le cose cambiarono tuttavia durante il XIX secolo. Mary Wollstonecraft affrontò nuovamente il problema dell'istruzione della donna nella sua opera Per la difesa dei diritti della donna. In questo libro dà prova del resto di un coraggio e di un'audacia eccezionali e senza dimenticare le grandi figure della Rivoluzione francese. Le sue conclusioni furono particolarmente originali. Rivendicava un miglioramento dell'educazione delle donne e il riconoscimento dei loro diritti, pur mettendo l'accento sul significato spirituale della maternità. Solo una donna libera e cosciente poteva essere una buona madre capace di insegnare ai suoi bambini i loro doveri di cittadini ed un amore autentico per la libertà. Fra tutti i pionieri che lottano per i diritti delle donne, Mary Wollstonecraft fu effettivamente la prima che reclamò l'uguaglianza dei diritti della donna a partite dai doveri della maternità. La sola eccezione è Jean-Jacques Rousseau in Francia. Questo filosofo e rivoluzionario del XVIII secolo spiega l'uguaglianza delle donne a partire dai "diritti naturali dell'umanità". Tuttavia nella sua libera società, in cui l'intelligenza regnava sovrana, rinviava però la donna esclusivamente al suo ruolo di madre, in uno spirito non molto distante da quello della famiglia borghese.

Nonostante il fatto che molti pensatori si fossero pronunciati nella prima metà del XIX secolo per l'eguale diritto dell'uomo e della donna ad un'istruzione superiore, le porte delle università - e anche quelle delle istituzioni di livello inferiore - restarono chiuse alle donne, come in passato. È soltanto al termine di una lunga lotta e dopo avere superato ostacoli innumerevoli che la donna riuscì ad ottenere il suo accesso al lavoro intellettuale, che le fornì le conoscenze scientifiche e tecniche necessarie. Elisabeth e Amelia Blackwell, due militanti del movimento femminile borghese, arrivarono verso il 1840 ad entrare in un'università americana. Amelia fu la prima donna a conseguire il titolo di medico. In quella stessa epoca, la prima giornalista americana, Margareth Fuller, riesce a farsi un nome. Verso il 1860, Mary Mitchell fu la prima donna ad ottenere una cattedra di matematica e astronomia, per altro sempre in America. Negli anni 30, l'inglese Caroline Herschel, sorella del famoso astronomo Herschel, diventò membro della società astronomica.

Ma le università inglesi restarono chiuse alle donne. Così la prima dottoressa inglese, Elisabeth Garrett, fu obbligata a studiare medicina in Svizzera. È soltanto verso la fine del XIX secolo che le donne riuscirono a conquistare, passo dopo passo, il loro accesso alle università.

In Russia, anche il movimento femminista borghese lottò inizialmente per "la libertà d'istruzione". Questo slogan si basava sulla rivendicazione legittima e necessaria del diritto al lavoro. La possibilità di esercitare una libera professione che richiedeva una formazione universitaria era quindi completamente preclusa alle donne.

Il processo di dissoluzione della nobiltà comincia negli anni 1860, in questo caso dopo la liberazione dei contadini ed altri cambiamenti politici intervenuti a favore del capitalismo. La rovina economica dei proprietari terrieri obbligò i loro bambini, ragazzi, come ragazze, a cercare lavoro. Apparve così un nuovo tipo di donne: donne che guadagnavano da vivere esattamente come gli uomini esercitando una libera professione. Parallelamente allo sviluppo del capitalismo, vi è stata la nascita di un apparato statale sempre più complesso, che richiedeva sempre più forza lavoro, in particolare nei settori dell'istruzione e della medicina. Questo stato di cose dispose al meglio i poteri pubblici riguardo le rivendicazioni delle donne per una formazione superiore.

In Russia, la domanda crescente e la mancanza di manodopera qualificata, agevolarono le nostre donne nell'accesso alle libere professioni e agli istituti di istruzione superiore. Naturalmente ciò non avvenne interamente senza lottare. Il principio di inerzia impedisce sempre a una classe di capire che certe riforme possono servire particolarmente ai propri interessi. Ad esempio, Sofia Kovalevskaja, matematica conosciuta, incontrò una resistenza così grande tanto che fu obbligata a completare i suoi studi all'estero. E negli anni 1880 non divenne professoressa in un'università Russa, ma in un'università svedese di Stoccolma. Ricordo ancora molto bene l'immenso prestigio di cui godono le nostre prime due dottoresse russe, Nadeschda Suslova e Rudnova, che ottennero entrambe il loro titolo all'estero.

Al giorno d'oggi - in particolare dalla fine della guerra, ma anche perché la Rivoluzione russa esercita una grande influenza sull'evoluzione di tutti gli altri paesi - la questione intesa ad accertare se la donna avesse o no diritto ad una formazione più accurata fu risolto quasi ovunque in modo soddisfacente. In Asia, in Cina, in India e in Giappone, la questione resta ancora in sospeso, come certe scienze o alcune professioni restano ancora precluse alle donne. Ma, anche in questi paesi, le donne hanno attualmente più facilità ad accedere ad una formazione universitaria e professionale più ampia di quanto non avvenne in Europa e in America per il periodo che qui ci interessa. Quest'evoluzione è dovuta allo sviluppo del capitalismo e alla domanda crescente di un apparato di Stato sempre più complesso, che richiede un numero sempre più importante di maestri, di telegrafisti, di telefonisti, di impiegati, di bibliotecari, ecc.

Nel corso degli anni 1850, le donne borghesi, al posto della rivendicazione all'uguale diritto alla formazione, arrivarono a porre correttamente la rivendicazione "del diritto al lavoro". Il movimento femminista borghese può essere orgoglioso di avere permesso alle donne di conquistare la loro indipendenza economica con il lavoro. Questo movimento non ha tuttavia tenuto conto del fatto essenziale che il movimento delle donne era soltanto un risultato dell'integrazione delle donne nella produzione. Sappiamo, grazie alle conferenze precedenti, che queste rivendicazioni furono già realizzate nella pratica da milioni di proletari e ciò ben prima di essere formulate dalle femministe. E questo processo fu una conseguenza delle condizioni economiche nuove e dell'istituzione definitiva del sistema capitalista.

In effetti, la maggioranza delle borghesi viveva come nel passato, felice ed al riparo nel proprio focolare, a spese del proprio marito o del proprio amante, in breve, non le mancava nulla. In quella stessa epoca, le contadine povere e i proletari obbligati a guadagnarsi la vita realizzarono fin dal XVII e XVIII secolo la parola d'ordine delle femministe della fine del XIX, cioè il diritto al lavoro. Le donne più povere lottavano per questo diritto, mentre le borghesi consideravano come una vergogna il dover lavorare. Ma le donne della classe operaia, accedendo al lavoro produttivo, non seguivano le stesse regole sociali. Il movimento delle donne proletarie sceglie un'altra via, determinandosi come parte integrante del movimento operaio in generale.

Numerosi lavori sono stati scritti in tutte le lingue sul movimento femminista borghese. Ma la storia della lotta delle donne lavoratrici per la difesa dei loro diritti come membri della classe operaia e produttori di uguale valore per l'economia nazionale, assicurando inoltre la riproduzione della specie, questa storia non è stata ancora scritta. Troviamo sparsi qua e là in alcune opere che riferiscono sulla lotta e sulla storia della classe operaia, solo alcuni fatti isolati. Ma queste informazioni bastano a mostrarci come le donne proletarie, lentamente ma inesorabilmente, riuscirono a conquistare un settore lavorativo dopo l'altro e ci forniscono informazioni anche sulla presa di coscienza crescente delle donne, allo stesso tempo come membri di una classe data e come individui. Queste informazioni ci permettono di osservare come le lavoratrici si associarono alla lotta della classe operaia nel suo insieme e come hanno difeso rivendicazioni proprie della loro situazione. Ma il libro che tratta a fondo questo tema e che descrive il difficile cammino percorso dalle donne fino al loro riconoscimento definitivo come membri a pieno titolo del proletariato, non è ancora nato.

Il movimento delle donne proletarie è ovviamente strettamente ed indissolubilmente legato al resto del movimento operaio di cui è una parte costituente e organica. Commetteremmo lo stesso errore delle femministe se continuassimo a negare la differenza tra le donne e gli uomini del proletariato, se affermassimo semplicemente che avendo uno solo e stesso scopo - il comunismo - sarebbero, a causa dei loro interessi di classe comuni, in accordo perfetto e in armonia perfetta. Ma, occorre assolutamente mettere l'accento sulle differenze anatomiche della donna e sulla sua capacità di partorire (quest'ultimo compito sociale continuerà a cadere su di lei, anche quando l'uguaglianza dei diritti sarà definitivamente acquisita). Il fatto che la donna non è soltanto cittadina e forza lavoro, ma il fatto che mette anche bambini al mondo, la metterà sempre in una situazione particolare. È ciò che le femministe rifiutarono di comprendere. Il proletariato non può permettersi di ignorare questa realtà essenziale quando si tratta di elaborare nuovi modi di vita.

Ritorneremo ora al ruolo della donna borghese nei paesi capitalisti e proseguiremo la nostra descrizione dello sviluppo del movimento femminista.

(Continua)

*) Conferenze all'università Sverdlov sulla liberazione della donna - 12° Conferenza, Éditions "La Brèche", 1978

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