Da radio città del capo
L’8 marzo, Giornata internazionale della donna e giornata di sciopero femminista promosso dalla rete Non una di meno. “Partecipo in quanto donna e in quanto immigrata”, spiega Victoria,
che da oltre 20 anni vive in Italia ma non ha dimenticato il “dolore di
lasciare il proprio Paese, le persone care, familiari, amici, per
andare in un Paese lontano, alla ricerca di una vita più dignitosa”.
Oggi Victoria fa “la mediatrice in un centro di accoglienza” per Mondo Donna
e lavora con giovani donne che hanno subito violenza nei territori dove
sono nate e in quelli in cui sono transitate. Ma arrivare in Italia non
significa sempre lasciarsi alle spalle tutto questo, perché la violenza
si ripresenta tra le mura domestiche nella maggior parte dei casi e poi
anche sul posto di lavoro: per questo Victoria sottolinea l’importanza
di sganciare il permesso di soggiorno dalla condizione familiare e lavorativa e il diritto al non-respingimento.
“Le donne che subiscono violenza e dicono ‘no’ a un matrimonio, o a
stare con un padre violento, diventano irregolari”, racconta Mina dell’associazione Nondasola di Reggio Emilia e dell’Osservatorio sulla migrazione femminile.
Il rischio per le donne è quello di ritrovarsi costrette a “rimanere
con un violento per non perdere i documenti”. Oltre a ribadire la
necessità di sganciare quindi il permesso di soggiorno dalla condizione
familiare, Mina aggiunge come il percorso per ottenere la piena
autonomia per le donne migranti debba necessariamente passare per il reddito di autodeterminazione:
“Noi esigiamo – conclude – che la donna abbia un minimo economico per
poter scegliere, perché senza quello una scelta vera non ci sarà”.
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