Becky Moses aveva 26 anni e due li aveva passati a Riace prima di morire nell’inferno di San Ferdinando. Un essere umano “a scadenza” per le istituzioni, denuncia il sindaco del paese dei bronzi, Domenico Lucano. Perché Becky è morta nel rogo che sabato scorso si è sviluppato nel cuore della tendopoli di Rosarno, quella che otto anni fa si era ribellata all’oppressione ma dove ancora oggi circa mille migranti vivono in condizioni di degrado. Il fuoco che l’ha uccisa era stato acceso per scaldarsi, in quella terra di nessuno senza regole né umanità. Le fiamme hanno distrutto 200 rifugi, uccidendo la 26enne nigeriana e ferendo gravemente altre due donne. «Di questa morte – dice Lucano con un groppo in gola – sono responsabili, le istituzioni che hanno lasciato per anni che Rosarno continuasse così, e i mercenari dell’accoglienza». Becky viveva a Riace, dove tornerà per essere sepolta e dove oggi decine di migranti manifesteranno per ricordarla.
L’ultima firma sui suoi documenti è proprio quella di Lucano e porta la
data del 21 dicembre 2017. Era arrivata sulle coste calabresi con un
barcone della speranza e un mese fa stava ancora nell’entroterra della
Locride, dove aveva una casa vera e amici a tenerla al riparo da chi
ancora pretendeva di riscattare la sua libertà. «Le donne nigeriane – spiega Lucano – sono costrette a pagare il costo del biglietto del viaggio prostituendosi».
A
Riace Becky stava però imparando un mestiere ed era ospite di un Centro
di accoglienza straordinario, un Cas, struttura gestita dalla prefettura
di Reggio Calabria. Ma di fondi, da quasi due anni, non c’era più
traccia. «C’è stato una sorta di embargo su Riace – spiega il sindaco -. I
fondi per i Cas sono stati tagliati e questo in qualche modo ha
condizionato tutto. L’ultimo pagamento risale a giugno 2016. Noi abbiamo
fatto un vero e proprio miracolo, ma stavano tagliando la luce nelle
case, mentre si avvicinava Natale. E nel 2017 hanno smesso di
riconoscerci i bonus».
I bonus, ovvero la moneta alternativa “coniata” a Riace per sopperire i ritardi nei pagamenti e che dopo anni di elogi
non è stata più riconosciuta dal ministero dell’Interno, tanto da
rappresentare uno dei capitoli dell’indagine aperta sulla gestione
dell’accoglienza a Riace dalla procura di Locri. Una vicenda, sottolinea
Lucano, «che ha screditato un sistema virtuoso dove le persone sono persone e non numeri».
La prefettura di Reggio Calabria, dunque, di punto in bianco ha comunicato di voler chiudere il progetto.
Una decisione non condivisa dai migranti, che hanno protestato, e
nemmeno dal presidente della Regione, Mario Oliverio, che ha chiesto
alla prefettura di temporeggiare. Ma la situazione era ormai
ingestibile.
Così è stato Lucano a decidere di chiudere il progetto, lasciando però le porte aperte ai migranti nei progetti Sprar. «Era come lottare contro un muro – racconta il sindaco -. Non
volevamo più i soldi della prefettura, non volevamo più inginocchiarci
per elemosinare. Ma abbiamo deciso di continuare con lo Sprar e
l’accoglienza spontanea e di far rimanere a Riace chiunque volesse
restare tra coloro che facevano parte dei Cas».
Anche Becky sarebbe potuta rimanere se non fosse stato per il rifiuto della commissione territoriale
di riconoscere la sua richiesta d’asilo. Per la legge e per la
prefettura, infatti, la donna non poteva essere trasferita in uno Sprar.
Così ha lasciato Riace, raggiungendo alcuni connazionali che vivono
ormai stabilmente nella tendopoli di San Ferdinando.
«L’ultima volta l’ho vista una settimana fa – continua Lucano -. Era tornata a Riace ma qui non avrebbe più potuto lavorare ed è andata
a Rosarno a fare la prostituta. C’è una marea umana che lavora
sfruttata, è incredibile quello che ho visto alla baraccopoli di San
Ferdinando. E mi chiedo oggi: perché quel degrado umano viene mantenuto
in vita? Io ce l’ho una risposta: vogliono i neri solo come braccia,
come feroce sfruttamento delle mafie. Perché indagano su Riace, dove la
realtà è di segno opposto, e non su questi lager? Non posso stare zitto,
non può farlo la mia coscienza. Questa storia non è un episodio, è un
destino determinato dalle mani degli esseri umani, che spesso non
aiutano ma sbarrano la strada. È un’immagine della burocrazia, che
invece di tutelare la dignità la annichilisce. Becky poteva salvarsi. Ma
la prefettura se la mette una mano sulla coscienza?».
Simona Musco
da il dubbio
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