30/09/17

Migliaia di donne in trenta cittá da Roma a Milano, Napoli, Taranto e Palermo da nord a sud in piazza per dire basta alla violenza sui corpi delle donne.

Nella giornata internazionale per l'aborto libero e sicuro organizzato in Italia dal movimento nonunadimeno, a cui ha aderito anche l'MFPR, le donne sono scese in piazza da nord a sud per l'autodeterminazione e contro femminicidi e stupri.


Le donne non possono delegare a questo Stato moderno fascista, si organizzano per lottare, per scatenare la furia delle donne contro gli uomini, i padroni, i governi che odiano le donne, per ottenere soluzioni sul campo per rispondere e frenare le violenze sessuali contro le donne.

Tutti coloro che parlano di ”cambiamento di idee, di madri che dovrebbero insegnare ai figli il rispetto parlano a "vanvera", le idee dominanti sono quelle della classe dominante portatrici di un ideologia fascio patriarcale.
Senza rovesciare la classe dominante non si avvia la pratica rivoluzionaria e culturale per cambiare le idee ed eliminare il marciume reazionario che opprime la vita di tutte le donne. Questo sistema considera il femminicidio un affare privato, non considerando che le peggiori violenze avvengono in seno  quella “sacra famiglia” che serve eccome a questo Stato nella sua funzione di ammortizzatore sociale, di conservazione; ma in essa la condizione delle donne è essere relegate ai lavori domestici, alla cura degli anziani, dei figli, come sostitute forzate della mancanza di uno stato sociale, incubatrici senza diritti, in uno stato di subordinazione senza lavoro o discriminate sul lavoro quando hanno la fortuna di averlo.

La lotta di tutte le donne deve essere la forza dirompente contro questo sistema sociale borghese, che spazzerá via le ideologie fascio patriarcali, che porterá alle donne al cambiamento radicale, finalmente libere!

Qui sotto alcune foto delle manifestazioni del 28

























Taranto














29/09/17

Contro violenza e femminicidi - precarie e mamme in lotta a Palermo

Nell'ambito della protesta di ieri, 28 settembre,  messa in campo per la difesa del lavoro e di diritti che i palazzi del potere vogliono cancellare, le precarie delle Coop Sociali hanno esposto uno striscione contro la violenza sulle donne e i femminicidi.

28/09/17

28 settembre: Ve la siete cercata!

Nella Giornata internazionale per l'aborto libero, sicuro e gratuito, in almeno 30 città italiane le donne sono scese in piazza per il diritto all'aborto e all'autodeterminazione, ma anche contro la narrazione mediatica della violenza, per cui il carabiniere che stupra è una “mela marcia” e le donne "se la sono cercata", mentre lo straniero che stupra è “il classico esempio della sua categoria” e le donne sono "nostre", di italica proprietà.
Ve la siete cercata e non finisce qui. Nonostante la convocatoria per il 30 di Camusso e CGIL, nel tentativo di mettere il cappello alla mobilitazione delle donne e deviarne la lotta, dall'8 marzo a oggi le donne hanno saputo dimostrare che l'autonomia della lotta le rende invincibili.
IL 28 SETTEMBRE E' NOSTRO E SARA' NOSTRO ANCHE IL 25 NOVEMBRE.

Roma
Argentina

26/09/17

Parità di sfruttamento: dal 2018 uomini e donne in pensione a 66 anni e 7 mesi.

di Eliana Como

L'Italia non è un paese per donne. A dirlo non sono soltanto i continui episodi di femminicidio e cronaca nera. Lo dicono anche i dati dell'Istat sul mercato del lavoro. Il tasso di occupazione maschile è maggiore di circa 20 punti rispetto a quello femminile (67,5% contro 48,6%), il primo tendenzialmente in aumento (+ 0,5%), l'altro in calo (- 0,2%). La disoccupazione femminile cresce (+ 4,6%) e la percentuale di donne che resta fuori dal mercato del lavoro, spesso non per scelta ma per mancanza di opportunità, è quasi doppia rispetto a quella degli uomini, in tutte le classi di età (44% contro il 25% dei maschi).
Parlano chiaro anche i dati sui differenziali retributivi. Lo scarto tra i salari degli uomini e delle donne è pari al 12%, con punte addirittura del 30% tra i laureati. Un gap che inizia a penalizzare le donne a monte, a partire dalle tipologie contrattuali, dai part time involontari, dalle mansioni e in generale dai percorsi di carriera.
Per non parlare dei dati sulla ineguale suddivisione del lavoro di cura: sempre secondo l'Istat, un uomo lavoratore svolge in media 650 ore di lavoro domestico in un anno, una donna lavoratrice oltre 1.500. Quasi tre volte di più.

Insomma, altro che parità! Segnali di cambiamento ci sono, ma sono lentissimi e diseguali tra Nord e Sud. E in ogni modo, il percorso verso condizioni di lavoro se non pari almeno simili è ancora molto lungo.
Su un'unica cosa da gennaio 2018 uomini e donne raggiungono la parità. Tutti e tutte andranno in pensione di vecchiaia a 66 anni e 7 mesi. L'unica parità di cui davvero non sentivamo il bisogno.
Paradossalmente questa misura deriva da una sentenza della Corte di Giustizia Europea, che nel 2009 sanzionava l'Italia perché discriminava gli uomini mandandoli in pensione dopo. Solo che, complici lo spread e le politiche di austerità imposte dall'Europa, nel 2011 non è diminuita l'età pensionabile degli uomini, ma è aumentata quella degli uni e delle altre. Tanto che oggi il sistema italiano è peggiore di quello di qualsiasi altro paese europeo. Per tutti, alla pari! Così, se in Svezia uomini e donne vanno in pensione alla pari a partire dai 61 anni, in Italia, altrettanto alla pari, ci vanno a 67. E le donne continuano ad avere percorsi di lavoro più discontinui e a svolgere la gran parte del lavoro di cura. Altro che parità!
L'unico vantaggio per le donne resta per ora nelle pensioni di anzianità, che sono ancora 41 anni e 10 mesi, un anno in meno degli uomini. Vantaggio relativo, considerata la maggiore discontinuità delle carriere delle donne e visto che, a regime, l'età è destinata ad aumentare ancora con gli scatti automatici. A breve, la pensione di anzianità (ipocritamente detta anticipata dalla Fornero) non esisterà più e sarà di fatto sostituita da quella di vecchiaia.
Per le donne, la riforma Fornero è stata, quindi, se possibile, ancora più odiosa che per gli uomini. Le lavoratrici sono passate da 60 anni a quasi 67 in meno di 5 anni (gli uomini partivano da 65).
Il punto è anche che le donne, dopo una certà età, rischiano persino più degli uomini di essere espulse dai processi produttivi e, una volta licenziate, con più fatica ancora trovano un'altra occupazione, tanto meno stabile e a tempo pieno. Non è un caso che tutti i meccanismi di fuoriuscita anticipata siano stati indirizzati proprio alle donne o addirittura pensati per loro. Così, per esempio, "opzione donna", con il quale le donne possono uscire prima ma con una riduzione media degli importi del 25-35%. Soluzione ipocrita e ulteriormente discriminante sui differenziali retributivi tra uomini e donne. Pare che nella prossima finanziaria "opzione donna" sarà sostituita dal sistema ancora più surreale dell’APE, l'anticipazione pensionistica tramite il prestito alle banche, che probabilmente sarà di nuovo incentivata per le donne.
Questa parità, insomma, proprio non va bene. Ma se non sarà bloccata, scatterà automaticamente nel 2018. Senza contare, nel 2019, l'ulteriore aumento di altri 3 o 4 mesi per l'adeguamento alla speranza di vita.
Questo autunno rischia di essere l'ultima possibilità che abbiamo per fermare il meccanismo perverso della legge Fornero e mobilitare il paese per rimettere al centro il tema della riduzione dell'età pensionabile e quindi della redistribuzione del lavoro.
Un tema che riguarda tutti, uomini e donne. Le donne, però hanno una ragione in più per mobilitarsi e mi auguro che sapremo farla vivere anche nel movimento femminista e nelle iniziative verso il 25 novembre. Perché se questi ultimi 30 anni hanno segnato un profondo processo di femminilizzazione del mercato del lavoro e se questo processo è stato positivo per l'autodeterminazione e la libertà delle donne, non altrettanto è stato per le condizioni di vita e di lavoro.
Le discriminazioni non sono affatto diminuite ma casomai aumentate. E oggi, l'unica parità che rischiamo di ritrovarci in mano è quella dello sfruttamento. L'unica che non volevamo.

da la città futura

Contro i neofranchisti che inneggiano alla morte e allo stupro delle dirigenti della sinistra radicale, solidarietà alle masse indipendentiste della Catalogna!


Fascisti e polizia a braccetto
 
all'Assemblea per la Fraternità, la Convivenza e le Libertà al Padiglione ‘Siglo XXI’, i partecipanti alla convention hanno trovato ad accoglierli alcune centinaia di fascisti e ultranazionalisti – “manifestanti per l’unità della Spagna” li ha definiti il telegiornale di Tve – con tanto di saluti romani e bandiere franchiste, tenuti a bada da un manipolo di agenti di polizia. Non sufficienti o troppo tolleranti, visto che la Presidente delle Cortes de Aragòn – il parlamentino aragonese – Violeta Barba è stata centrata da una bottiglietta d’acqua lanciata da un esagitato proprio mentre chiedeva ai poliziotti di garantire la sicurezza dei partecipanti all’assemblea. Stessa sorte avevano subito i manifestanti scesi in piazza a Madrid la scorsa settimana per solidarizzare con i catalani contro la repressione: arrivati a Puerta del Sol si erano trovati la strada sbarrata da un aggressivo presidio fascista pronto a difendere ‘l’onorabilità patriottica’ della capitale del Regno.
I poliziotti sono stati mandati tutti in Catalogna, per questo non erano a Zaragoza a tenere a bada i fascisti ha chiarito un comandante locale. E, comunque, negli ultimi giorni agli agenti della Guardia Civil e della Policia Nacional mobilitati per impedire il referendum in Catalogna a suon di arresti, perquisizioni, sequestri e cariche, non è mai mancata l’entusiastica solidarietà dei membri delle organizzazioni di estrema destra. Mentre sui muri delle città spagnole si moltiplicano le scritte che augurano la morte o lo stupro ad Anna Gabriel e ad altre dirigenti della sinistra radicale indipendentista, a Barcellona venerdì sera un ragazzo è stato pestato dai fascisti reduci da una violenta manifestazione contro la sede dell’Assemblea Nazionale Catalana.
Sulle reti circolano decine di foto che ritraggono senza bisogno di commenti vari episodi di cameratismo tra i fascisti in divisa e quelli in borghese, a suon reciproci applausi e saluti romani. Gruppi ultrà come Generación Identitaria, Somatemps, Dolça Cataluña o Democracia
Nacional, sostenuti e coperti da cordate interne/esterne al Partito Popolare di Rajoy coordinate da Vox, da Intereconomia e da fondazioni nostalgiche, fanno a gara a esprimere solidarietà e apprezzamento per l’instancabile opera delle forze dell’ordine. L’episodio che più inorgoglisce i franchisti è il supporto gastronomico prontamente garantito dai camerati ai circa seimila tra militari e poliziotti spagnoli acquartierati in due navi da crociera ancorate nel porto industriale di Barcellona. Il boicottaggio deciso dai lavoratori portuali nei confronti di quelle che vengono considerate truppe d’occupazione rischiava di costringerli al digiuno ma in loro soccorso si sono mobilitate le organizzazioni fasciste che, grazie alla “Operazione Soccorso Azzurro”, hanno preparato quantità industriali di deliziosi e patriottici manicaretti.

Madrid commissaria la polizia autonoma catalana
In perfetta sincronia, dopo che il governo spagnolo ha imposto lo stato d’emergenza di fatto e sospeso l’autogoverno di Barcellona, il Procuratore Capo della Catalogna José María Romero de Tejada ha deciso di commissariare la polizia autonoma, che pure nei giorni scorsi si era prodigata contro alcune manifestazioni indipendentiste, ordinando che il controllo dei Mossos d’Esquadra passi direttamente al Ministero degli Interni di Madrid. A dirigere gli agenti catalani – suscitando il malcontento tanto del loro sindacato maggioritario quanto del loro comandante Josep-Lluís Trapero che ha garantito obbedienza ma alla prima riunione col nuovo capo non si è presentato – è il colonnello della Guardia Civil Diego Pérez de los Cobos, già coordinatore dell’imponente meccanismo poliziesco approntato per impedire il voto del 1 ottobre. 
Neanche a dirlo, il 53enne fratello dell’ex presidente del Tribunale Costituzionale Francisco (distintosi per varie decisioni anticatalane), si è fatto le ossa nei Paesi Baschi. Nel suo curriculum spicca un processo – ma non una condanna – per le torture inflitte sotto il suo comando al prigioniero politico basco Kepa Urra, arrestato nel 1992. Al termine del procedimento giudiziario dal quale de los Cobos fu esonerato, tre Guardia Civil furono condannati a pene dai sei mesi ai 12 anni, prima che il primo governo di Josè Maria Aznar concedesse loro l’indulto.

Una pioggia di denunce
Dove non arrivano i fascisti arrivano giudici e polizia, e viceversa. Ieri l’Unione degli Ufficiali della Guardia Civil ha denunciato Mònica Terribas, direttrice del programma ‘El Matì’ della radio pubblica catalana, per aver incitato i suoi ascoltatori a segnalare i posti di blocco e i presidi realizzati dalle forze di polizia. Da parte sua la Procura ha già presentato una denuncia per ‘incitamento al terrorismo’ nei confronti di quattro militanti di Poble Lliure, una delle organizzazioni della sinistra indipendentista catalana che fa parte della Cup. I quattro – tra i quali c’è il parlamentare regionale Albert Botran – sono accusati di aver ricordato, in un atto celebrativo tenutosi a febbraio a Castelló de Farfanya (Lleida), la figura del militante indipendentista e presunto dirigente dell’organizzazione armata Terra Lliure, morto in un incidente d’auto trenta anni fa.
Anche il ragazzo che ha aperto il sito internet marianorajoy.cat, che prima di essere chiuso dalla polizia rimandava a quello della Generalitat catalana e quindi ai materiali informativi fuorilegge sul referendum del 1 ottobre, è stato denunciato per un reato di ‘disobbedienza’. Come se non bastasse la Procura dell’Audiencia Nacional di Madrid, il tribunale antiterrorismo ereditato dall’epoca franchista, ha denunciato per ‘sedizione’ alcuni dei manifestanti che a Barcellona e in altre città, nei giorni scorsi, hanno manifestato in maniera più determinata contro gli arresti di 14 tra funzionari della Generalitat e imprenditori privati, nel frattempo rilasciati ma sui quali pendono gravi accuse. Nel mirino della Procura antiterrorismo ci sono i manifestanti che hanno realizzato blocchi stradali, danneggiato le auto di servizio della polizia, bloccato l’accesso della Guardia Civil ad alcuni edifici pubblici o sedi di partito (nella fattispecie la Cup). Il Codice Penale spagnolo riserva, all’articolo 544, ben 15 anni di carcere a coloro che vengano ritenuti responsabili del reato di ‘sedizione’.
La repressione sembra mirare anche alle sfere alte. Oggi il Procuratore Generale dello Stato, José Manuel Maza, ha dichiarato nel corso di un’intervista radiofonica che “per il momento non ci è sembrato opportuno” chiedere l’arresto del Presidente della Generalitat Carles Puigdemont, nonostante la denuncia spiccata nei suoi confronti per i reati di disobbedienza, abuso di potere e malversazione. La non troppo velata minaccia di arresto del capo del governo catalano non è passata inosservata proprio mentre la Corte dei Conti di Madrid ha imposto una cauzione di ben 5.25 milioni di euro all’ex governatore Artur Mas e a tre suoi consiglieri accusati di aver usato fondi pubblici per organizzare la consultazione indipendentista del 9 novembre del 2014.

La mobilitazione popolare continua
Intanto, mentre il governo catalano continua a pubblicare siti in cui appare la lista dei seggi dove il 1 ottobre i cittadini e le cittadine potranno recarsi a votare – che ci riescano o meno è tutto da vedere visto il capillare e determinato schieramento di polizia – ieri le associazioni indipendentiste Assemblea Nazionale Catalana e Omnium Cultural hanno organizzato manifestazioni in circa 500 tra città e centri minori, distribuendo alla popolazione circa un milione di schede elettorali dopo che durante il blitz della scorsa settimana la polizia spagnola ne ha sequestrate circa 10 milioni. 
Mentre continua il boicottaggio, nei confronti della macchina repressiva, deciso dalle assemblee dei portuali di Barcellona e Tarragona – si parla di alcune migliaia di lavoratori – rimangono confermati per il prossimo 3 ottobre gli scioperi generali convocati dai sindacati di sinistra Cgt e Cnt e da alcune sigle indipendentiste, mentre i sindacati ufficiali Comisiones Obreras e Ugt hanno deciso di non partecipare ufficialmente alla giornata di mobilitazione
Nelle università catalane gli studenti hanno dato vita nei giorni scorsi ad occupazioni simboliche, e per i giorni 28 e 29 settembre il coordinamento “Universitats per la República” ha convocato due giornate di sciopero e manifestazione. Mobilitati sono anche i contadini e gli allevatori catalani aderenti alle maggiori organizzazioni del settore, che nel fine settimana hanno dato vita ad una imponente marcia a favore del diritto di autodeterminazione e contro la repressione che ha visto sfilare un migliaio di trattori da Lleida a Vic. “Ci vogliono sotterrare ma non sanno che siamo semi” ha dichiarato il presidente dell’organizzazione contadina JARC il quale ha denunciato gli arresti e le prevaricazioni, schierandosi a favore della celebrazione del referendum, in difesa della democrazia e della libertà di scelta.

marco santopadre - contropiano

Lavoratrici curde uccise a causa delle politiche dell’AKP

Da UIKI

Il Consiglio delle donne di HDP ha dichiarato che le politiche dell’AKP e del palazzo di Erdogan sono la ragione per la quale la lavoratrice Perihan Akin è stata uccisa in un attacco razzista. Il Consiglio delle donne del Partito Democratico dei Popoli (HDP) ha rilasciato una dichiarazione scritta sull’assassinio di Perihan Akin in un attacco fascista mentre si trovava al lavoro nella città di Samsun nella regione del Mar Nero.
La dichiarazione afferma: ” Il lavoro stagionale agricolo, un fenomeno socio economico storico è diventato un problema fondamentale del paese. Se si valutano gli aspetti etnici,sociali ,di genere di classe del lavoro stagionale, diventerà evidente che questo è il risultato di una politica di Stato cosciente.”
Il Consiglio delle Donne di HDP ha ricordato l’ultima vittima, una lavoratrice stagionale Perihan Akin del distretto di Viranşehir a Urfa che ha perso la sua vita a causa di un attacco fascista nel quartiere del distretto di Samsun di Teme affermando: ” Questo attacco che ha preso di mira la condizione femminile, l’identità curda, il lavoro e la capacità lavorativa di Perihan Akin non è diverso dalle politiche dello Stato dell’AKP e del palazzo di Erdoğan.”
Il Consiglio delle Donne di HDP ha affermato che l’uccisione di Perihan Akin è stata fatta di proposito ed il principale responsabile di questo attacco pianificato è il governo dell’AKP. Il Consiglio delle Donne ha dichiarato: ” Le donne continueranno la loro lotta contro queste politiche e attacchi pianificati e non rimarranno in silenzio sull’attacco che ha ucciso Perihan Akin.Perseguiremo questo caso a livello politico, sociale e giuridico. Chiediamo a tutte le donne di rafforzare lo loro lotta e di alzare la loro voce contro le politiche dello Stato patriarcale, che sono contro il lavoro, basate su genere e fascismo, e contro ogni tipo di attacchi.”

India, feroce attacco alle studentesse in protesta contro gli stupri

India - lo stato degli stupri - forte opposizione di donne e studenti

Portiamo nelle iniziative, nelle assemblee la denuncia e l'appello al sostegno, solidarietà, contro gli stupri e femminicidi di massa in India, contro il loro uso verso le prigioniere politiche.
L'India, incredibilmente taciuta, è il paese in cui avvengono i più massicci stupri e uccisioni di massa delle donne, con l'intreccio tra concezioni e pratiche feudali e azione, coperte o non impedite dallo Stato, e l'uso da parte dell'esercito degli stupri/uccisioni come arma di repressione contro la resistenza degli adivasi, dalid. In India - come denuncia la scrittrice Arundhati Roy - la cultura dello stupro è organica al sistema sociale, è una questione costituzionale dello Stato feudale e oggi del moderno fascismo di Modi, lo stupro non solo è coperto ma è legittimato; è usato “normalmente” come arma di guerra contro le donne maoiste della guerra popolare. Esso è la pratica normale di tortura verso le prigioniere politiche.

MFPR



24 de septiembre de 2017

La Universidad Hindú de Benarés (BHU), que es una de las primeras instituciones de educación superior de la India, está en ebullición desde el sábado por la noche, cuando la policía ataco ferozmente a las estudiantes que protestaban contra un caso de abuso sexual sufrido por una muchacha.

Muchas jóvenes universitarias, que fueron atacadas con material antidisturbios y gases lacrimógenos, sufrieron lesiones en la cabeza y en el cuerpo producidas por la policía.

Un gran número de chicas universitarias estaban realizando una protesta durante dos días después de un caso de abuso sexual cuando se presento la policía y las ataco ferozmente.

25/09/17

Messico, operaie sepolte sotto le macerie... le vogliamo vive! - corrente del popolo Sol Rojo


No cabe duda que hasta en momentos de tragedia la lucha de clases está presente, un claro ejemplo de esto es la fábrica textil que se derrumbó por el sismo del pasado 19 de septiembre en la colonia Obrera en la Ciudad de México. Desde los primeros instantes, después del sismo, en dicho lugar brillaban por su ausencia las fuerzas de rescate del Ejército, la Marina y la Policía Federal; siendo los trabajadores y el pueblo solidario quienes se hicieron presentes para comenzar a rescatar a las obreras que según se cuenta era más o menos 100 mujeres.
Pasaron las horas y no fue hasta un día después del colapso de la fábrica que se hicieron presenten las fuerzas federales. Fue evidente que la ayuda llegó primero a lugares donde la alta y mediana burguesía estaban atrapados, que los esfuerzos por sacar sobrevivientes era una cuestión de clase.
Ahora sabemos que no solamente laboraban mujeres mexicanas sino también de
diferentes nacionalidades, presuponiendo como es una constante en talleres maquileros que algunas de ellas de manera ilegal su estancia en el país. Los patrones están urgidos porque acaben los rescates para dar paso a la maquinaria pesada y cobrar el seguro. Pero los mismos rescatistas y voluntarios han señalado que todavía hay personas vivas lo que había obligado al viejo estado a declarar que no se removerían escombros hasta no tener un censo de las personas que laboran ahí, que hasta el momento sigue sin presentarse.
Pese a dicha evidencia de vida de obreras atrapadas, las autoridades han determinado concluir con los trabajos de rescate y todo el pueblo que se encuentra ahí han hecho muestra de unión para evitar la entrada de la maquinaria pesada motivando por lo mismo un choque que las autoridades han exacerbado al mandar antimotines para desalojar a los jóvenes, trabajadores, mujeres, estudiantes, profesionistas y pueblo en general que con ira legítima apuestan su vida para defender a los que se encuentran quizá con vida bajo los escombros.
Las constantes denuncias de la Brigada Internacional de Rescate Tlatelolco Azteca A. C. mejor conocida como los Topos así como de los y las trabajadoras que se han convertido en rescatistas dejan al descubierto la verdadera cara del capitalismo burocrático, semifeudal y comprador que es quien decide realmente el rumbo del país, donde un centenar de obreras no son valiosas, donde las mujeres son simples mercancías que pueden sustituirse, donde las personas pobres sufren una doble tragedia pues no sólo muchas de ellas eran el sustento de sus hogares dejando en el desamparo a su familia, sino además de perder la vida también perdieron su casa; dicho sea de paso que en las colonias populares de la ciudad la ayuda no ha llegado.
Es así como los sismos no sólo de este mes sino también del lejano 1985 han demostrado la incapacidad del gobierno para salvaguardar al pueblo, la incompetencia de todas sus instituciones, la mezquindad de sus políticos y empresarios, la ineptitud de sus fuerzas militares sino también que es sólo el pueblo quien puede sacar de la podredumbre del sistema al país, que juntos somos invencibles y que la pequeña burguesía tiene más afinidades con la clase trabajadora que con la burguesía, es momento de organizarnos pues son muchas las necesidades que tienen los pueblos de las entidades siniestradas pero sobre todo porque la historia de la humanidad es la lucha de clases.
¡Es con la violencia y sólo con la violencia como el pueblo en lucha conquista su independencia!
 ¡ELLAS SON OBRERAS... VIVAS LAS QUEREMOS!
¡Salvo el poder, todo es ilusión!
¡Somos la chispa que enciende la pradera!
¡Que los trabajadores gobiernen la patria!
¡Con el Sol Rojo el pueblo vencerá!
CORRIENTE DEL PUEBLO SOL ROJO

Roma - donne in piazza contro gli stupri e gli strumentalizzatori degli stupri

Duecento donne sotto il Messaggero 


In risposta alla campagna sulla sicurezza imbastita dal Messaggero che, contro gli stupri, ordinerebbe maggior controllo sul corpo stesso delle donne, nel pomeriggio di ieri almeno duecento donne hanno raggiunto la sede del quotidiano romano in segno di protesta e per contestare questa linea editoriale. Incontro con il vice-direttore e provocazioni della polizia. 

Circa una settimana fa un articolo a firma di Lucetta Scaraffia proponeva un manuale per le donne, una linea di condotta e di costume per preservarsi e difendersi, non tanto dalle violenze, ma da quella malsana idea che le donne possono difendersi da sè. No, hanno in realtà bisogno dell'autorità, della polizia, degli uomini. Gli stessi che stuprano, gli uomini. Questa la linea editoriale indicata dal corsivo della Scaraffia e raccolta e sviluppata con una campagna martellante dal Messaggero.
Ancora una volta narrazioni vittimizzanti e colpevolizzanti sulle donne messe al servizio di una strategia che invoca il coprifuoco e la securizzazione della società censurando sistematicamente le voci dei soggetti protagonisti. Per questo attorno le 18 erano centinaia le donne in via del Tritone dietro lo striscione di Non una di Meno per denunciare e attaccare il sistema massmediatico che produce alternativamente l'immagine di donna come preda o come vittima da porre sotto tutela, figure deboli su cui l'abuso, la violenza, la sopraffazione – per quanto condannati in via di principio – possono comunque imporsi imporsi impunemente.
Un acceso scontro tra le donne e il vice-direttore del quotidiano si è avuto quando questo è sceso in strada. Alla fine del presidio la polizia ha trattenuto le donne che volevano collettivamente muoversi verso la metropolitana intimando loro di sciogliere la manifestazione e allontanarsi alla spicciolata. Provocazioni, spintoni e cordoni di polizia non hanno fatto indietreggiare il presidio che è riuscito poi a muoversi in corteo allontanandosi unito da via del Tritone.
Per il 28 settembre, in occasione della giornata mondiale per l'aborto libero Non una di Meno tornerà in piazza a Roma ritrovandosi all'Esquilino, anche per continuare a contrastrare questo sistema di produzione della violenza ribaltando lo slogan #velasietecercata.

IL MISEREVOLE APPELLO DELLA CAMUSSO... RESPINTO AL MITTENTE

La Camusso ha fatto uscire un appello alle donne (ne riportiamo una sintesi in calce) perchè scendano in piazza il 30 settembre. La Camusso e la Cgil cercano di prendere nelle loro mani la mobilitazione delle donne contro femminicidi e stupri per tentare miseramente di metterci un cappello e deviare la lotta. 
Ma:
Primo, la Camusso evidentemente non si accorge proprio delle donne, non vede che le donne già si stanno mobilitando! dalla giusta protesta  del 16 settembre a Firenze contro gli stupri dei due carabinieri e contro il sindaco e le sue squallide dichiarazioni, alla manifestazione di centinaia di donne a Roma di ieri pomeriggio sotto il Messaggero, alle mobilitazioni di protesta che si preparano in varie città per il 28, ecc.

Secondo, la Camusso lancia questa mobilitazione nazionale perchè? Perchè le donne chiedano "agli uomini, alla politica, ai media, alla magistratura, alle forze dell’ordine e al mondo della scuola un cambio di rotta...". Cioè le donne dovrebbero chiedere a questo stesso Stato, ai suoi apparati, ai suoi uomini responsabili direttamente o indirettamente di questa guerra di bassa intensità contro le donne di cambiare "nei comportamenti, nel linguaggio, nella cultura"; cioè di darsi una "regolata", di "parole", mentre vanno avanti i fatti, questi sì, i fatti della violenza sistemica a 360° gradi di aperto attacco alle condizioni di vita, ai bisogni delle donne?!

Le donne a Firenze hanno gridato: "Fiducia in questo Stato non ne abbiamo!" 
Noi l'abbiamo ripetuto pochi giorni fa: "Lo Stato borghese, la sua stampa, i suoi organi di 
controllo, repressivi, di "giustizia" sono sempre più il problema non la "soluzione"...Quando... interviene con leggi, disposizioni, controlli, attua soluzioni peggiori del male; perchè chi dovrebbe risolvere è lo stesso che crea le condizioni oggettive e soggettive di questo condizione delle donne; perchè i suoi uomini sono parte degli assassini e stupratori, sono coloro che attuano la violenza sessuale sistematica come modus viventi, come concezione organica di subordinazione, fascista, delle donne; perchè per questo sistema la "soluzione" vuol dire ed è controllo sulle donne, divieti, chiusura e desertificazione degli spazi sociali, dei luoghi di socializzazione, ecc.  
Le donne non possono delegare a questo Stato, devono organizzarsi per lottare, per scatenare la furia delle donne contro gli uomini che odiano le donne, lo Stato, il governo, i padroni... che odiano le donne; attuando in questo anche modi e soluzioni sul campo per rispondere... con la giusta violenza organizzata delle donne, che costringa anche a fare passi indietro reali a tutti...

Tutti coloro e tutte coloro che fanno un discorso di "cambiamento di idee", di "cultura", "educazione", o sono ingenui o inconsapevoli epigoni dell'ideologia di questo sistema borghese..."
Nel caso della Camusso siamo, invece, a "consapevoli" anelli della politica, dell'ideologia, di questo sistema.

Le donne, le lavoratrici, le ragazze che l'anno scorso nell'8 marzo hanno fatto lo "sciopero delle donne" perchè tutta la vita deve cambiare, non si sono certo dimenticate che la Camusso, e il Vertice della Cgil, si oppose allo sciopero delle donne; in varie fabbriche e posti di lavoro fece una aperta attività di boicottaggio, fino ai provvedimenti disciplinari verso le delegate e iscritte che invece fecero, con coraggio, lo sciopero. 

Infine, un'ultima osservazione. La data proposta dall'appello della Camusso - 30 settembre - sarà un caso?
Il 30 settembre c'è la manifestazione nazionale a Torino e varie altre manifestazioni parallele contro il G7, contro quei padroni del mondo che decidono gli attacchi alle condizioni di lavoro, ai diritti dei lavoratori, che per le donne non si traducono solo in mancanza di lavoro, in contratti miseri e discriminatori, in mancanza di reddito, in precarietà di vita, ma vogliono dire subordinazione, più oppressione, "violenza" alle vite della maggioranza delle donne. 
Fare appello alla mobilitazione delle donne proprio in questa occasione, non è per lasciare in pace i manovratori? E fare un favore al governo e in particolare a Minniti?

Che la Camusso e coloro (intellettuali, artiste, ecc.) che stanno firmando (tanto questa firma non costa niente) si tengano il loro appello! La lotta delle donne ha altro da fare!

L'APPELLO: "Riprendiamoci la libertà! Con questo slogan il segretario generale della Cgil Susanna Camusso invita tutte le donne a scendere nelle piazze italiane sabato 30 settembre per le manifestazioni organizzate dalla Confederazione contro la violenza sulle donne, la depenalizzazione dello stalking, la narrativa con cui stupri e omicidi diventano un processo alle vittime.
Per la Cgil “il linguaggio utilizzato dai media e il giudizio su chi subisce violenza, su come si veste o si diverte, rappresenta l’ennesima aggressione alle donne. Così come il ricondurre questi drammi a questioni etniche, religiose, o a numeri statistici, toglie senso alla tragedia e al silenzio di chi l’ha vissuta”.
Con l’appello, dal titolo ‘Avete tolto senso alle parole’, la Cgil lancia una mobilitazione nazionale “per chiedere agli uomini, alla politica, ai media, alla magistratura, alle forze dell’ordine e al mondo della scuola un cambio di rotta nei comportamenti, nel linguaggio, nella cultura e nell’assunzione di responsabilità di questo dramma”

IN PREPARAZIONE LIBRO SU LE DONNE E LA RIVOLUZIONE D'OTTOBRE


E' in preparazione, per la collana "Formazione Rivoluzionaria delle donne", un nuovo libro del Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario su: le donne e al Rivoluzione d'Ottobre, di cui quest'anno ricorre il centenario. 

Questo lavoro è importante, perchè il ruolo, la battaglia delle donne nella rivoluzione in Russia, è stato in generale tenuto in ombra, quando invece la questione femminile, della liberazione delle donne, del ruolo centrale delle donne nella rivoluzione e costruzione del socialismo ha visto in Russia, la prima grande rottura delle doppie, triple catene che tenevano oppresse la maggioranza delle donne, e le prime battaglie, realizzazioni per liberare le donne dalla "schiavitù" domestica e conquistare un effettiva emancipazione. 
Ma tutto ciò non era sufficiente, occorreva sradicare le vecchie concezioni, anche all'interno del proletariato.

Per questo vogliamo annunciare l'uscita per il 7 novembre del libro, riprendendo alcuni scritti, interventi di Lenin sulla questione femminile.


«Il lavoro d'agitazione e propaganda tra le donne, la diffusione dello spirito rivoluzionario tra di loro, vengono considerati come questioni occasionali, come faccende che riguardano unicamente le compagne. Soltanto alle compagne si rivolgono rimproveri se il lavoro in questa direzione non procede più speditamente ed energicamente. Ciò è male, assai male. È separatismo bello e buono, è femminismo alla rovescia! Cosa c'è alla base di questo atteggiamento sbagliato delle nostre sezioni nazionali? In ultima analisi non si tratta altro che di una sottovalutazione della donna, e del suo lavoro. Proprio così! Disgraziatamente si può ancora dire di molti compagni: "Gratta un comunista e troverai un filisteo!" Evidentemente dovrete grattare il punto sensibile: la loro concezione della donna»
“Può esserci prova più riprovevole della calma acquiescenza degli uomini di fronte al fatto che le donne si consumano nel lavoro umiliante, monotono della casa, sciupano, sperperano energia e tempo, acquistano una mentalità meschina e ristretta, perdono ogni sensibilità, ogni volontà? Naturalmente non alludo alle donne della borghesia che scaricano sulla servitù la responsabilità di tutto il lavoro della casa, compreso l'allevamento dei bambini. Mi riferisco alla schiacciante maggioranza delle donne, alle mogli dei lavoratori e a quelle che passano le giornate in un'officina.
“Nel rapporto dialettico tra tre momenti: leggi liberatrici per la donna, suo inserimento nella produzione sociale e sviluppo servizi sociali, stanno alcuni termini della nuova condizione femminile. Ma ciò non è ancora sufficiente: bisogna distruggere vecchie mentalità, costruire consapevolezze nuove negli uomini e nelle donne… Pochissimi uomini – anche tra i proletari – si rendono conto della fatica e della pena che potrebbero risparmiare alla donna se dessero una mano al lavoro della donna. Ma no, ciò è contrario ai "diritti e alla dignità dell'uomo", essi vogliono pace e comodità. La vita domestica della donna costituisce un sacrificio quotidiano fatto di mille nonnulla. La vecchia supremazia dell'uomo sopravvive in segreto (...) Il nostro lavoro di comunisti tra le donne, il nostro lavoro politico, comporta una buona dose di lavoro educativo tra gli uomini. Dobbiamo sradicare del tutto la vecchia idea del "padrone"! Nel partito e tra le masse. È un nostro compito politico non meno importante del compito urgente e necessario di creare un nucleo direttivo di uomini e donne, ben preparati teoricamente e praticamente per svolgere tra le donne un'attività di partito». (Da Conversazioni con Clara Zetkin)

“La vera emancipazione della donna, il vero comunismo incomincerà soltanto là e allora, dove e quando comincerà la vera lotta delle masse, diretta dal proletariato, che detiene il potere dello Stato, contro la piccola economia domestica o, meglio, dove incomincerà la trasformazione in massa di questa economia nella grande economia socialista…
“Ci occupiamo noi abbastanza nella pratica, di questa questione, che teoricamente è evidente per ogni comunista? Naturalmente no. Abbiamo sufficiente cura dei germi del comunismo che già si hanno in questo campo? Ancora una volta no, no e poi no! I ristoranti popolari, i nidi e i giardini d’infanzia: ecco gli esempi di questi germi, i mezzi semplici, comuni che non hanno nulla di pomposo, di magniloquente, di solenne, ma che sono realmente in grado di emancipare la donna, sono realmente in grado di diminuire ed eliminare, quanto alla sua funzione nella produzione e nella vita sociale, la sua diseguaglianza nei confronti dell’uomo… (Da “Il contributo della donna all’edificazione del socialismo”)

“Far partecipare la donna al lavoro sociale, produttivo, strapparla alla "schiavitù domestica", liberarla dal peso degradante e umiliante, eterno ed esclusivo della cucina e della camera dei bambini: ecco qual è il compito principale. Sarà una lotta lunga perché esige la trasformazione radicale della tecnica sociale e dei costumi”. (da La giornata internazionale della donna”).

21/09/17

"FINO ALLA FINE"... - INTERVISTA ALLA RAPPRESENTANTE DELLE COOP. SOCIALI DI PALERMO

Riportiamo l'intervista fatta ad agosto alla rappresentante delle lavoratrici delle cooperative sociali di Palermo dello Slai cobas per il sindacato di classe, Giorgia, sulla lunga e importante lotta che stanno portando avanti da anni, ripresa e in corso anche in questi giorni. 
 

Come è nata la vostra lotta di lavoratrici precarie?
La lotta dei precari di Palermo nasce anni fa principalmente, dalla necessità della rivendicazione di diritti basilari quali lo stipendio perché non prendevamo lo stipendio puntualmente e inizialmente stavamo anche 4-5 mesi senza prenderlo. Molti di noi tra l'altro erano pure inconsapevoli degli altri vari diritti basilari, proprio perché non avevamo conosciuto un'organizzazione sindacale, lo Slai cobas per il sindacato di classe, con una linea diversa, e alcuni di noi erano stati iscritti alla Cgil che poi faceva le telefonate ai padroncini dicendogli: vabbè li tengo buoni io! E 8 anni fa abbiamo avuto questo cambiamento totale. Quindi una distinzione netta della linea sindacale ufficiale, che comunque ha portato ad una lotta molto più osservata.

La vostra lotta si scontra anche con le politiche nazionali del governo
La lotta dei precari è una lotta che poi si trova a scontrarsi con la politica Istituzionale e inizia proprio con uno scontro con la politica; risolto, infatti, il problema degli stipendi, iniziamo a capire che c'è la necessità di affermare quelli che sono i diritti del posto di lavoro e di contrastare i tagli ai posti di lavoro, perché iniziamo a subire degli attacchi forti da parte delle istituzioni ad iniziare dalla Provincia, ora chiamata città metropolitana, alla stessa Regione, sino ad arrivare quest'anno al MIUR.
Quindi si può dire ormai che è una lotta al livello nazionale, adesso ci troviamo a scontrarci col MIUR perché all'interno della legge sulla “buona scuola” c'è una delle leggi delega che è la 378 che vorrebbe trasferire le competenze di questo servizio ai collaboratori scolastici.
Per evitare questo abbiamo iniziato una dura lotta già l'anno scorso, perché il governo regionale aveva anticipato quella che era la legge delega attraverso l'approvazione dell'articolo 10 a firma del governo Crocetta e Baccei e del Movimento 5 Stelle, delle due deputate Foti e Zafarana. Quindi l'anno scorso abbiamo fatto una lotta a 360 gradi.
Come dicevo prima, questa lotta non è più una lotta a livello locale. A volta nelle nostre riunioni
diciamo che abbiamo una responsabilità molto grande perché noi stiamo lottando sul campo per 2000 assistenti in tutta la Sicilia e su questo abbiamo cercato di fare comunque un lavoro di coinvolgimento. Siamo stati pure a Messina l'anno scorso, e subito dopo l'abrogazione dell'articolo 10, molti dei precari di Messina, o non iscritti a nessun sindacato o ritiratisi dalla Cgil, si sono messi in contatto con noi; invece quelli di Catania hanno una posizione un pò oscillante, sono male consigliati e altri sono addirittura inconsapevoli di tutto quello che sta succedendo perché comunque chi guida pensa sempre di prendere decisioni per loro, e vanno dai lavoratori dicendogli per esempio “stai buono lì che poi ci penso io”, ma in realtà fanno accordi col padroncino.

In questa lotta quanto pesa il fatto che siete soprattutto donne?
Un elemento distintivo di questa lotta è che siamo in maggioranza donne, anche perché in questo tipo di servizio siamo più donne che uomini e siamo l'elemento che spicca di più in tutte le manifestazioni e le giornate di lotta come determinazione e rabbia proprio perché come donne siamo doppiamente oppresse.

Racconta dei momenti più significativi della vostra battaglia
All'inizio abbiamo fatto dei blitz nei Palazzi andando a trovare i vari politici di turno, tra Crocetta e Orlando, cercando anche di capire come si muovessero questi tizi e quindi ogni occasione era buona per noi farci trovare lì, in modo che loro ci vedessero, per creare quella suspence e fargli chiedere: ma che sta succedendo? ma questi cosa vogliono? Questa lotta e continuate così fin quando siamo “entrati nel cuore di Crocetta”. Siamo andati al Gay Pride perché sapevamo che Crocetta non ci voleva incontrare; sapevamo che sarebbe stato lì e ci sarebbe stato Orlando e altri politici, e quindi ne abbiamo approfittato e ci siamo fatti trovare sul bordo del marciapiede di via Roma con le locandine che abbiamo organizzato in sede con le facce di Baccei e Crocetta e della Foti e Zafarana, gridando a gran voce e denunciando il fatto che comunque il diritto al lavoro e il diritto dei ragazzi allo studio non si tocca assolutamente, che noi non siamo disposti ad accettare tutto questo, le loro sporche manovre fatte solo per risparmiare. I diritti sono diritti e voi non c'è li potete toccare!
Quella è stata una delle giornate di lotta più importanti dal punto di vista strategico, perché da lì qualcosa è iniziata a smuoversi, perché poi hanno iniziato a risponderci.
Ma in realtà non si quagliava, i loro interessi sono troppo grandi e inoltre anche all'interno della politica ci sono delle contraddizioni, perché è vero che fanno parte dello stesso sistema, però Orlando ragione in un modo e Crocette in un altro e i vari deputati dell'Ars hanno interessi con la cooperativa, il Movimento 5 Stelle difende gli interessi dei padroncini, tanto che questo hanno detto chiaro che se dovessero salire loro saremmo tutti fuori. Quindi dovevamo cercare di capire bene per proseguire una lotta che è di resistenza e di difesa del posto di lavoro ma che ha tanti punti per attaccare. Siamo anche in un momento particolare in Sicilia, si stanno preparando alle elezioni regionali e noi dobbiamo utilizzare questa fase a nostro favore. Perché comunque loro non sono così forti come pensano di essere, o meglio, appaiono forti perché il potere è nelle loro mani, ma una forte lotta riesce a metterli sulla difensiva.

La lunga lotta crea anche problemi all'interno dei lavoratori?
La nostra è una lotta molto difficile, estenuante e questo lo vediamo in tutte le lotte dei precari. In generale le lavoratrici, i lavoratori, precari sono molto combattivi, ma rischiano di crollare perchè si tratta comunque di una condizione di vita di ultra precarietà; quindi può capitare di crollare proprio quando avremmo bisogno di un momento ideologicamente forte per lottare di più. Facciamo per esempio delle riunioni molto corpose, ideologicamente forti e sembra che tutti abbiano capito, ma appena escono da lì perdono quella determinazione e sembra che siamo di nuovo al punto di partenza. Abbiamo tutti gli stessi pesanti problemi di vita, e come donne si raddoppiano, si triplicano, ma chiaramente non va bene che c'è chi si fa i fatti suoi, cioè chi è opportunista, chi addirittura non partecipando alle lotte viene solo per parlare destabilizzando pure i nostri compagni e cercando di rompere quell'equilibrio che abbiamo raggiunto. Per esempio, un lavoratore che viene da fuori senza un minimo di esperienza vuole venire a comandare su quello che stiamo facendo a livello sindacale, quando noi sappiamo di essere nel giusto e siamo legittimati, non può venire a dire: “a me lo sai... secondo me sarebbe meglio così...”. Io allora gli dico: E tu dove sei? Non ci sei e vieni a criticare pure il nostro operato!? Non esiste questo discorso e comportamento. Ma per fortuna le lavoratrici che ogni giorno lottano non si fanno imbrogliare.

Siete riuscite ad ottenere dei risultati? Qual'è ora l'obiettivo immediato della lotta?
L'anno scorso per lo Slai Cobas per il sindacato di classe c'è stata una vittoria politica di importanza non indifferente, Abbiamo fatto una lotta politica a 360 gradi dove ci siamo scontrati e siamo stati sotto i Palazzi per mesi, dalle 10:00 di mattina alle 11:00 di sera, con fischietti e tutto quello che avevamo per fare casino, bloccando le macchine di Baccei, ecc. Il 10 agosto dell'anno scorso finalmente l'articolo 10 è stato abrogato.
Quest'anno la lotta è ancora più difficile perché ci scontriamo appunto con il governo nazionale e noi in tutti i modi dobbiamo cercare di trovare una soluzione definitiva, la stabilizzazione di questi servizi. Si tratta di servizi obbligatori ed essenziali, ma loro continuano a votare queste leggi illegali.

Avete subito azioni repressive?
Al di là della repressione della polizia in generale che abbiamo spesso subito nei vari momenti di lotta, siamo arrivati anche a scontrarci con la polizia più e più volte, con una Digos sempre più arrogante – ma noi donne li mettiamo sempre a posto - l'anno scorso è successo qualcosa molto particolare perché ad alcune di noi precarie sono arrivate delle denunce. Non hanno toccato in questo caso i coordinatori dello Slai cobas sc, è stato, volutamente, un tipo di repressione individuale che aveva il senso di spaventarci di più, per farci arretrare. Ma è successo esattamente il contrario! Quando siamo state convocate in questura per ritirare la denuncia, abbiamo fatto un casino anche là dentro. Loro pensano che ci spaventiamo ma in realtà non è così.

Quindi, la lotta continua?
Ripeto è una lotta dura non sappiamo se ce la faremo perché noi dobbiamo essere sempre con i piedi per terra e non possiamo dire è semplice, ma noi ce la stiamo mettendo tutta e stiamo continuando a farlo in tutte le forme perché una lotta 360°. Dal punto di vista mediatico facciamo girare molto i nostri comunicati a livello locale in televisione ma anche a livello regionale; a livello nazionale l'anno scorso siamo arrivati addirittura alla Rai. Ma quello che importa di più è che dobbiamo andare avanti senza se e senza ma, non gliela daremo vinta, questo è sicuro. C'è un mio collega che comunque parla sempre poco, però dice ogni volta “fino alla fine”! E almeno così, noi abbiamo anche la coscienza pulita di aver fatto il possibile e di aver fatto quello che è giusto che deve essere fatto da parte di tutti. Quindi ribellarsi con tutti i mezzi possibili e immaginabili.