Laura era sempre di fretta. Con due bambini (e un marito) da
gestire arrivava spesso in ritardo al lavoro e il capoufficio non
perdeva l’occasione di farglielo notare. Laura, però, non aveva
alternative, perché non aveva nessuno che accompagnasse i figli a
scuola o che andasse a riprenderli. Era tutto sulle sue spalle. Fino a
quel maledetto semaforo rosso che ha cercato di bruciare per non fare
tardi ancora una volta. Che, per lei, è stata anche l’ultima.
A
quell’incrocio Laura è morta. La protagonista di questa storia è
inventata, ma il fatto è, purtroppo, accaduto veramente in tante delle
nostre città. Secondo il Primo Rapporto Anmil su Salute e sicurezza sul lavoro, nel primo trimestre di quest’anno sono morte trenta lavoratrici, il doppio rispetto al periodo gennaio-marzo del 2016.
Il “cento per cento” in più provocato, soprattutto, da incidenti
stradali, i cosiddetti infortuni “in itinere” lungo il tragitto casa-
lavoro, dal 2000 equiparati agli infortuni sul lavoro veri e propri.
«Mentre per gli uomini l’infortunio in itinere “pesa” per il 15-20% dei casi – spiega Franco D’Amico, curatore del Rapporto Anmil
– per le donne si arriva al 60% e oltre. Generalmente, questi incidenti
mortali si verificano tra le 8 e le 9 della mattina». Quando, cioè,
le donne, dopo aver accompagnato a scuola i figli e, magari,
rigovernato la casa, possono, finalmente precipitarsi al lavoro.
Quello
retribuito, visto che, secondo Eurofound, ne svolgono un altro,
totalmente gratuito, che arriva a superare di ben 16 ore alla settimana
quello degli uomini. Senza considerare che, rileva sempre il Rapporto
Anmil, le donne svolgono generalmente “lavori atipici caratterizzati da
particolare precarietà” e quindi maggiormente esposti al rischio di
infortunio. Quando poi in una casa,
oltre a figli piccoli, c’è un disabile o un anziano, il carico di
lavoro di cura, in gran parte generalmente sulle spalle delle donne,
aumenta ulteriormente. Così come purtroppo la velocità, la
disattenzione e lo stress al volante.
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