Di Roberta Zunini
Non è stata una bella settimana per le donne turche. Non
che quelle precedenti fossero state un granché, ma un paio di fatti,
avvenuti in questi giorni, sintetizzano il degrado progressivo della
condizione femminile in Turchia, a una settimana dalle elezioni
presidenziali. Ma veniamo ai fatti. Il più recente è di ieri (ndr. 1 agosto) e si è
consumato in tribunale dove una signora che aveva osato indossare i
pantaloni e sedere in auto accanto a un uomo, è stata definita dai
magistrati “una provocatrice” e pertanto le coltellate ricevute dall’ex
marito sono state giudicate con le attenuanti. L’uomo, contro il quale
la procura aveva chiesto 15 anni di carcere per tentato omicidio, è
stato quindi condannato a soli sei anni di carcere. L’altro “misfatto”, è
avvenuto invece quattro giorni fa ma continua a tenere banco, non solo
in Turchia, perché segnala a caratteri cubitali la deriva oscurantista
dei principali esponenti della classe politica, che coincide con il
partito islamico della “giustizia e sviluppo” (Akp) fondato da Erdogan
al governo da dieci anni. Il suo vice premier, anche lui membro
dell’Akp, Bulent Arinc, ha consigliato alle donne turche “di non ridere
di gusto in pubblico” allo scopo di difendere i valori morali di decenza
e castità. PICCHIATE , violentate e uccise, molto spesso dai loro
mariti o familiari, ora le donne turche dovrebbero anche trattenere le
risate. In attesa che i talebani afghani gli conferiscano una menzione
d’onore, Arinc, probabile futuro vice premier al posto di Erdogan, dopo
essere stato ridicolizzato da una valanga di tweet con le foto di donne
che ridono, alcune con donne musulmane dal capo velato, ha tentato di
indorare la pillola all’opinione pubblica, ma più per paura di vendette
elettorali e delle critiche dell’Europa, in cui la Turchia aspira ancora
a entrare, che per convinzione. “Qualcuno mi critica estrapolando solo
una parte di un discorso di un’ora o un’ora e mezza. Che argomento
disgustoso e privo di fondamento!”, ha tuonato all’in – dirizzo dei
media. Ma questa sua difesa non è bastata a fermare la campagna lanciata
con l’hashtag #kahkah (scoppiare a ridere), che ha raccolto ieri le
adesioni anche della famosa attrice inglese Emma Watson e dell’olandese
Neelie Kroes, commissaria europea per l’Agenda digitale. Anche le
attiviste del movimento Femen si sono scatenate. Da un anno le donne
turche sono costantemente nel mirino dei rappresentanti dell’Akp, a
partire dallo stesso premier, che ha più volte sostenuto che “le donne
non dovrebbero lavorare ma stare a casa a generare almeno tre figli”.
Per questo, quando scoppiò la rivolta popolare di Gezi park, lo scorso
anno, le donne erano presenti in massa con slogan che accusavano il
premier di sciovinismo. Un lungo corteo di donne con cuscini sotto il
vestito sfilò quindi per la via principale di Istanbul nel settembre
scorso quando un teologo del partito emise una sorta di fatwa nei
confronti delle donne “incinte che camminano per strada”. Per gli uomini
dell’Akp, la morale islamica non viene rispettata quando una donna in
attesa di un figlio si mostra in pubblico. Molte reagirono facendosi una
sana risata, ma ora anche ridere è segno di indecenza. Dietro questi
“consigli”, ci sono però restrizioni importanti e concrete dei diritti
conquistati dalle donne in decenni di lotte. Se una donna turca incinta
va dal ginecologo, una nuova legge impone al medico di informare il
padre o il marito del suo stato. Per abortire oggi una donna turca ha
bisogno del permesso del marito o del padre, anche se è maggiorenne. Il
dato più allarmante però è la violenza, molto spesso domestica, che ha
fatto nei primi sei mesi di quest’anno già 129 vittime. Questi omicidi
spesso sono l’epilogo di un abuso sessuale.
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