20/01/25

Un grande abbraccio alle prigioniere palestinesi liberate!

Sono 69 le donne palestinesi liberate ieri, insieme a 21 ragazzi. Sono donne combattenti che, tante, nonostante per anni più volte arrestate, torturate nelle famigerate carceri israeliane, non si sono mai fermate nella lotta per la Palestina libera. A loro va il nostro grande abbraccio solidale. Esse sono un esempio di tutte le donne palestinesi che trasformano il loro dolore - alcune hanno visto i loro figli morire - in resistenza, in lotta armata contro lo stato nazi-sionista di Israele. Siamo sicure che queste donne ora continueranno a lottare.   

Riportiamo dal blog proletari comunisti una prima valutazione dell'accordo 
19 gennaio 2025
Da qualche ora è in atto la tregua sancita dall'accordo in Palestina. Questa è una buona notizia e giustifica ampiamente le giornate di esultanza che le masse palestinesi hanno realizzato nelle piazze della Striscia di Gaza all'annuncio di questo accordo. Le masse palestinesi vogliono che finiscano i bombardamenti, che finisca il quotidiano stillicidio di morti e distruzione che l'esercito genocida dello Stato di Israele, armato dall'imperialismo, ha realizzato da circa un anno e mezzo.

Il popolo e solo il popolo è la forza motrice della storia.

Noi gioiamo insieme alle masse, così come salutiamo le valutazioni positive che vengono dalle organizzazioni della resistenza palestinese. La resistenza palestinese è l'unico depositario delle decisioni nel corso di questa guerra, le masse palestinesi e la resistenza palestinese hanno realizzato con il loro straordinario, indomabile, sacrificio e resistenza in un anno e mezzo di genocidio i cui particolari non stiamo qui a riprendere perché sono stati sotto gli occhi di tutti e sotto l'occhio del mondo.

L'accordo, dal punto di vista della resistenza, contiene dei punti ritenuti positivi:

Lo scambio dei prigionieri. La liberazione dei prigionieri palestinesi è un risultato assolutamente importante. Il ritiro delle forze israeliane. Scrive il comunicato, espressione delle forze in Italia che sostengono la resistenza: “l'esercito israeliano si ritirerà nel corso delle fasi di cessate il fuoco dalla Striscia di Gaza. Il ritiro comprenderà anche l'asse Netzarim che divide in due la Striscia e l'asse Philadelphia che separa Gaza dall'Egitto. E’ riconosciuto nell'accordo il ritorno dei profughi al Nord, il piano di pulizia etnica per svuotare il nord di Gaza è così respinto. Secondo l'accordo, gli sfollati del nord di Gaza che sono stati spinti verso il sud potranno fare ritorno senza limitazione. Infine, è previsto l'ingresso degli aiuti umanitari che sono stati finora usati come strumento di pressione contro i palestinesi, specialmente al Nord della Striscia di Gaza. L'ingresso degli aiuti riprenderà a ritmi concordati e arriveranno anche a nord di Gaza.

Questi sarebbero risultati di una tregua che giustificherebbero la posizione attuale della resistenza di adesione all'accordo e il sostegno che viene alla resistenza dalla solidarietà internazionale che si è espressa in forma estesa e grande sul piano mondiale.

Il piano genocida dello Stato di Israele ha creato condizioni tali che la resistenza per fermarlo ha accettato questo accordo. Ogni altra soluzione avrebbe permesso allo Stato sionista di Israele di continuare ininterrottamente i bombardamenti e nello stesso tempo di rendere ancora più difficili le incredibili condizioni di sopravvivenza delle masse in tutta la Striscia di Gaza, per di più in un contesto generale che evidentemente non è favorevole alla resistenza palestinese e alla lotta del popolo palestinese.

In Cisgiordania l’autorità collaborazionista ha aperto il fuoco e ha sviluppato la repressione verso la brigata Jenin per imporre nella Striscia di Gaza il dominio assoluto di questa forza collaborazionista, nel mentre i coloni, sostenuti dall'esercito israeliano, hanno continuato la loro azione di aggressione e di occupazione di parte del territorio della Cisgiordania. Quindi la resistenza e le masse palestinesi si sono trovate sostanzialmente tra due fuochi, il fuoco dell'esercito sionista sostenuto dall'imperialismo e l'aggressione interna in Cisgiordania di un'Autorità palestinese che ha sposato le ragioni dell'occupante e risponde ai diktat dell'imperialismo. Anzi, per essa viene prevista, nelle dichiarazioni, nei piani del sionismo e dell'imperialismo, una installazione come governo fantoccio non solo in Cisgiordania ma nella Striscia di Gaza. Questa è una condizione sfavorevole alla resistenza del popolo palestinese.

E’ andato avanti il piano israeliano di soffocare, almeno temporaneamente, le forme di solidarietà e le forze della solidarietà col popolo palestinese. Questo in Libano con l'attacco a Hezbollah e l'occupazione di una parte del territorio libanese, come in Siria dove, approfittando del crollo del regime antipopolare di Assad, lo Stato di Israele ha bombardato il territorio siriano, le sue postazioni militari, ha occupato le alture del Golan e ha esteso questa occupazione, con la chiara intenzione di conservare il controllo in Libano di parti del territorio e di avere sia in Siria che in Libano governi favorevoli alla repressione delle forze solidali al popolo palestinese.

Una condizione quindi di oggettivo accerchiamento della resistenza e di possibilità che il regime sionista producesse un'ulteriore sforzo nella pulizia etnica e nel genocidio.

Né la resistenza ha potuto contare sull'aiuto degli Stati arabi reazionari. Lo stesso Iran che si è sprecato in dichiarazioni di solidarietà al popolo palestinese e alle forze che hanno combattuto a suo fianco, dagli Hezbollah agli Houthi, è restato sostanzialmente immobile di fronte agli attacchi ricevuti sul suo territorio da parte dello Stato sionista d'Israele.
Per non dire il ruolo che hanno svolto il regime giordano, il regime egiziano e i regimi delle monarchie petrolifere arabe.

Quindi la resistenza non ha avuto il sostegno dei paesi arabi nonostante lo Stato di Israele abbia apertamente attaccato i regimi arabi e abbia fatto capire che il suo disegno è quello di essere potenza predominante a livello regionale.

Infine il cambio di Presidenza negli Stati Uniti ha reso credibile la minaccia imperialista di un passo ulteriore nel piano genocida. Trump ha apertamente dichiarato di avere tutte le intenzioni di lasciare mani libere allo Stato sionista di Israele, intensificando il suo sostegno economico, militare, politico e diplomatico con Israele perché possa condurre fino in fondo la sua guerra contro Hamas, contro la resistenza, contro il popolo palestinese e perchè venga ristabilita l'alleanza di ferro sotto l'egida dell'imperialismo tra lo Stato d'Israele e regimi arabi.
Trump, ancora prima del suo insediamento, ha dichiarato che se il 20 gennaio non ci fosse stato un accordo a difesa degli interessi generali dell'imperialismo USA e della copertura totale del regime sionista governato da Netanyahu, avrebbe scatenato l'inferno. Nello stesso tempo Trump, proprio nelle ore che precedono il suo insediamento, fa sentire chiara la sua voce attraverso ministri e parti della sua amministrazione che dichiarano apertamente che la Presidenza Trump dell'imperialismo americano sarà la più vicina che ci sia mai stata alla storia al regime sionista israeliano.

Sono state queste le condizioni che hanno reso possibile il sì del governo Netanyahu all’accordo. Sono state queste le assicurazioni che sono state date al regime di Netanyahu che l'hanno spinto a firmare l'accordo e a sopportare la dissidenza interna al governo, testimoniata dalle dimissioni, poche ore fa, dei ministri dell'estrema destra, tranne il ministro delle Finanze che indebolisce solo parzialmente il regime di Netanyahu, visto che ottiene subito il consenso all'accordo della cosiddetta opposizione interna allo Stato d’Israele.

Quindi, nel valorizzare i risultati che la resistenza palestinese e il popolo con i suoi festeggiamenti fa in queste ore dell'accordo, è assolutamente necessario guardare al quadro complessivo che ci fa dire, come proletari comunisti, che è presto per festeggiare come una grande vittoria questo accordo; e quando si dice che è presto per festeggiare in nessuna maniera si vuole sottovalutare il peso e l'importanza che la resistenza ha conseguito in questo drammatico anno e mezzo in cui non solo è riuscita a evitare la sua distruzione pianificata dal regime sionista sostenuto dall'imperialismo, non solo è riuscita a far sì che numerose perdite siano state inflitte alle forze armate genocide del sionismo, ma non si è per nulla indebolito il rapporto, soprattutto a Gaza, tra masse popolari e resistenza.

Non va utilizzata l'argomentazione che la resistenza del popolo e delle masse popolari è invincibile per sottovalutare lo stato reale delle cose in questo momento drammatico e cruciale della lotta del popolo palestinese.

La resistenza è invincibile se il popolo è unito. La resistenza è invincibile se ha nel suo DNA un progetto e un piano di una guerra di popolo di lunga durata guidata dalle forze proletarie progressiste in grado di sconfiggere, come la storia ha sempre dimostrato, il regime sionista sostenuto dall'imperialismo. Altrimenti, dietro la tregua e dietro l’elogio della resistenza e del popolo, si cela non l'avanzamento, ma lo status quo.

Lo status quo rende fragile la tregua e l'accordo. Tutti sanno che la tregua è fragile, come pure l'accordo, tutti sanno che il regime sionista è pronto ad utilizzare qualsiasi pretesto anche nel corso dell'attuazione dell'accordo per continuare sistematicamente l'attacco alle forze della resistenza con il piano di estensione dell'occupazione e del genocidio.

Quindi in questo contesto è necessario non fermarsi, ma avanzare. In questo contesto è necessario riorganizzare la resistenza delle masse, è necessario ricostruire e far avanzare l'unità del popolo palestinese perché agisca come blocco unico contro il regime sionista. È molto positivo che i tanti martiri della resistenza palestinese, uccisi dalla mano criminale dello Stato d'Israele, abbiano trovato nel contesto della barbarie sionista la possibilità di rinnovare le proprie forze, perché è chiaro che nuove leve, come viene dichiarato, hanno alimentano la resistenza, dimostrando che il piano genocida non ferma ma alimenta la ribellione e la volontà delle masse palestinesi di resistere e contrattaccare e costruire le condizioni, interne e internazionali, perché la vittoria sia possibile.

Per questo il nostro punto di vista è che bisogna ora più che mai intensificare la solidarietà internazionale e internazionalista intorno alla resistenza palestinese, ora più che mai essere vicini alla parola d'ordine di fondo della resistenza palestinese che dice che la Palestina deve essere liberata “dal fiume al mare”, ora più che mai continuare la lotta all'interno dei nostri paesi per mettere fine al sostegno incondizionato, politico, militare ed economico, che tutte le forze dell'imperialismo, a partire dall'imperialismo americano, intendono fare per chiudere per sempre la partita della resistenza palestinese, per chiudere per sempre il futuro della Palestina e ripristinare a livelli più alti il tallone di ferro del dominio dello Stato sionista come gendarme mondiale in tutta l'area contro le nazioni e i popoli oppressi, contro la resistenza di tutti i popoli e la lotta di liberazione nazionale e sociale di essi.

Quindi nell’unirci alla resistenza e al popolo palestinese, tocca a noi fare la nostra parte, e la nostra parte è di valutare esattamente lo stato delle cose dentro cui si muove il rafforzamento della nostra azione tattica e strategica, a fianco del popolo palestinese e della resistenza fino alla vittoria.

Tutti noi consideriamo come fondamentale la lotta di liberazione del popolo palestinese e pensiamo che essa sia ritenuta tale da tutti i proletari e dai popoli oppressi di tutto il mondo che stanno manifestando la loro solidarietà. Il migliore aiuto alla resistenza palestinese, alla lotta di liberazione, è rendere sempre più forte la lotta all'interno dei paesi imperialisti e all'interno di tutti gli Stati, le nazioni oppresse, la via della liberazione internazionale dall'imperialismo, via che storicamente non può che essere la guerra di popolo in ogni paese oppresso dall'imperialismo e nelle condizioni adatte a ciascun paese, e la guerra rivoluzionaria che rappresenta il necessario strumento di unità all'interno dei paesi imperialisti.

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