I movimenti studenteschi chiedevano di organizzare “un minuto di rumore” in ogni classe nel giorno dell’anniversario dell’omicidio di Giulia Cecchettin. Ma il preside del liceo Tito Livio di Padova ha detto “no”. Niente rumore, meglio il silenzio, o al massimo una candela accesa sul balcone di casa. Con questo invito il dirigente dell’istituto in cui studiò Giulia ha respinto ogni ulteriore richiesta. “Ma noi non ci stiamo, portiamo il rumore in ogni classe”, hanno promesso i ragazzi, annunciando battaglia.
“In tutta Italia, come a Padova, sono tantissime le scuole e le università che nell’anniversario del femminicidio di Giulia Cecchettin hanno deciso di organizzare i “minuti di rumore”, ormai diventati simbolo della lotta alla violenza di genere da parte degli studenti e non solo”, spiegano gli attivisti della Rete degli studenti Medi del Veneto. “Il femminicidio di Giulia ci ha scossi profondamente ma ci ha dato anche la possibilità di riconoscere collettivamente che quando si parla di violenza di genere i casi isolati non esistono, che i problemi sono strutturali, culturali e sociali, e che se non se ne fa carico la collettività allora il semplice ricordo espresso singolarmente resta un simbolo vuoto. Il minuto di rumore significa questo, significa che davanti a una società che ci consiglia caldamente di stare zitte, che teme le parole patriarcato e la denuncia delle violenze sistemiche noi scegliamo di fare rumore, insieme. Continuare a nascondersi dietro la retorica del rispetto della famiglia non è ammissibile se è la stessa famiglia a chiedere che il ricordo di Giulia Cecchettin passi attraverso il rumore e momento di presa di coscienza collettiva. Non ci servono, come suggerito nella circolare, candele accese, silenzio o simboli, perché il ricordo di Giulia continua e continuerà a passare attraverso la lotta, attraverso la messa in discussione del sistema patriarcale, di cui il femminicidio non è altro che un prodotto”, dichiara Viola Carollo, della Rete degli studenti Medi del Veneto (da La Repubblica)
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