Partorire durante la guerra: “Sentivo la mia carne strapparsi”
Le donne di Gaza stanno sperimentando aborti spontanei, nascite senza anestesia, parti prematuri e morti neonatali.
di Eman Ashraf Alhaj Ali (*)
La difficile situazione delle future mamme è uno straziante sottotitolo della più grande tragedia che si sta consumando nella Striscia di Gaza. All’interno dell’enclave assediata, il santuario del grembo materno è diventato un campo di battaglia dove la vita in fiore vacilla sull’orlo del baratro, minacciata dallo stress del conflitto, dallo spettro della fame e dal potenziale omicidio della madre del bambino.
“Numerose donne sono arrivate in ospedale morte o morenti, troppo tardi per essere salvate, insieme ai loro bambini“, ha detto al New Arab la pediatra di Medici Senza Frontiere Tanya Haj-Hassan. “Per alcuni, tuttavia, potremmo fare tagli cesarei post-mortem“, risparmiando almeno una delle vite. Secondo The Lancet, si stima che 183 donne partoriscano ogni giorno a Gaza, di cui il 15% ha bisogno di cure mediche a causa della gravidanza o di complicazioni legate al parto.
Però quasi il 40% degli ospedali sono distrutti o funzionanti solo parzialmente e quasi due terzi delle cliniche di assistenza sanitaria di base sono chiuse. Mentre gli ospedali sono sotto pressione sotto il peso della domanda travolgente e delle risorse in diminuzione, le future mamme si trovano di fronte a un terribile dilemma: partorire in mezzo al caos a casa o rischiare il pericoloso viaggio in cerca di assistenza medica. I corridoi delle strutture mediche, un tempo affollati, traboccanti di attesa, ora testimoniano l’agonia silenziosa delle madri che partoriscono tra le macerie, le loro grida attutite dal fragore assordante del conflitto. Il tributo della guerra si estende oltre il regno fisico, infiltrandosi nel tessuto stesso della salute materna: il benessere emotivo delle donne.
Le future mamme come Aya Ahmad devono andare avanti nonostante non sappiano se il loro bambino vive ancora nel loro grembo, dopo che il feto si è improvvisamente calmato.
E Asmaa Sendawi ha recentemente partorito nelle condizioni più precarie. Come crescerà il nuovo bambino?
“Ho partorito il mio bambino nel cuore della notte“, ricorda Asmaa. “Era troppo pericoloso camminare per strada e abbiamo provato molte volte a chiamare un’ambulanza. Alla fine, siamo riusciti a prendere un carretto trainato da asini. E ci è voluta un’ora per arrivare all’ospedale più vicino che era ancora funzionante, almeno un po’. Ce l’ho fatta a malapena“.
Le donne che sperimentano complicazioni durante il parto affrontano gravi pericoli.
Khadija Ahmed, 29 anni, è finalmente rimasta incinta dopo 10 anni di costi esorbitanti mentre tentava il trapianto di embrioni. Desiderava ardentemente il giorno della nascita e il momento in cui avrebbe potuto abbracciare il suo bambino. Tuttavia, Khadija ha avuto bisogno di un taglio cesareo e non c’è stata alcuna anestesia. Secondo la CNN, l’anestesia è tra gli articoli più frequentemente rifiutati per l’importazione a Gaza da Israele, insieme a stampelle, ventilatori, macchine a raggi X e bombole di ossigeno.
“Potevo sentire il coltello squarciare gli strati del mio stomaco e sentire il suono della mia carne che si strappava. Non riesco nemmeno a descrivere come suona; è paragonabile a nient’altro. Sentivo ogni volta che l’ago mi pungeva la pelle e il filo veniva tirato attraverso“.
Fortunatamente, Khadija è svenuta per il dolore, portando un po’ di sollievo. Il suo bambino è sopravvissuto e sta bene, ma è molto anemica ed esausta. Se sopravvivono a questa prova, le attendono molte nuove paure. The Lancet riporta che molte madri vengono dimesse dall’ospedale entro tre ore dal parto. “Mi sto rifugiando assieme a molti sfollati nelle tende a Rafah, nonostante il clima rigido dell’inverno“, dice Noor Zakari. “Sono preoccupata per la salute del mio bambino appena nato, perché non ci sono abbastanza vestiti o coperte“. “Ogni giorno porta con sé nuovi orrori, nuove tragedie“, riflette Tanya di Medici Senza Frontiere, con la voce carica di dolore. “Stiamo assistendo alla distruzione sistematica di un’intera generazione, una generazione derubata della speranza, dell’innocenza, della vita stessa“.
L’impennata degli aborti spontanei, dei parti prematuri e delle morti neonatali testimonia l’impatto devastante della guerra sui membri più vulnerabili della società. Eppure, la presenza di una nuova vita evoca una speranza che tremola come una candela nel vento, un faro di luce in mezzo all’oscurità che avvolge Gaza. Di fronte ad avversità inimmaginabili, lo spirito indomito delle madri di Gaza sopravvive, a testimonianza del potere duraturo dello spirito umano di perseverare nelle circostanze più difficili. Tra le strade di Gaza cosparse di macerie, le future mamme si aggrappano al più debole barlume di speranza, la loro resilienza è una testimonianza del potere duraturo dello spirito umano di fronte a imperscrutabili avversità. Nei momenti più bui, le loro storie fungono da faro di luce, un promemoria del fatto che anche in mezzo al caos del conflitto, lo spirito umano rimane intatto.
(*) Tratto da We are not numbers.
Mamme in 30 minuti
di Maurizio Debanne – Medici Senza Frontiere
In 30 minuti, a Gaza, una donna che ha partorito naturalmente deve lasciare il suo letto d’ospedale per fare posto alle nuove partorienti. Quando la lista d’attesa non è lunga, le dimissioni avvengono dopo 2 ore. Per il cesareo, le donne devono lasciare l’ospedale dopo solo 2 ore nei giorni più caotici, ma comunque mai oltre le 6. E questo perché a Gaza solo 13 dei 36 ospedali sono ancora parzialmente funzionanti. Ogni giorno, quando cammino per andare in ufficio, non faccio altro che pensare a quanto possano valere 30 minuti…
L’ultima cosa da perdere
La suocera di Noor ha le idee chiare: sua nipote si deve chiamare Salam, perché mai come oggi, da queste parti, c’è bisogno di Pace. Ma Noor non ha ancora deciso, è stanca e pallida. Ha bisogno di assumere ferro e vitamina C. Noor è una delle nostre pazienti in un ospedale a Rafah, appena starà meglio dovrà tornare a vivere nella sua tenda di plastica. La sua vera casa è a Jabalya, nel nord, ma oggi è ridotta a un cumulo di macerie.
Nel letto a fianco riposa Reham, neomamma di un’altra bambina che un nome ce lo ha già.“Con questo sorriso – dice mostrando il volto della neonata a un nostro medico – non può che chiamarsi Amal (in arabo Speranza), la speranza – continua – incoraggia i palestinesi ad andare avanti nonostante gli attacchi indiscrimanti di questa guerra”. Ma soprattutto, la Speranza, è l’ultima cosa che Reham vuole perdere.
(*) Tratto da Maurizio Debanne, Diario da Gerusalemme.
Gaza: oggi diventare madri è una sfida quotidiana
1° febbraio 2014. A Gaza per le donne partorienti e i loro figli è sempre più difficile accedere alle cure mediche pre e post-natali. Nell’area di Rafah, l’ospedale di maternità è l’unica struttura rimasta per assistere le donne incinte. Ad oggi a causa della continua crescita dei bisogni della popolazione e una carenza di risorse, l’ospedale di Rafah è in grado di rispondere solo ai parti più a rischio e urgenti. Siamo profondamente preoccupati per la crescente mancanza di assistenza ostetrica per le donne a Gaza.
Triplicato il numero di parti all’ospedale di Rafah
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, sono circa 50.000 le donne incinte a Gaza, e circa 20.000 bambini sono nati dall’inizio della guerra, secondo l’UNICEF.
A causa della crisi umanitaria in corso – con i servizi sanitari primari inaccessibili e l’impossibilità di raggiungere gli ospedali per mancanza di carburante oltre che la scarsa capacità delle strutture sanitarie ancora funzionanti – le donne in gravidanza a Gaza non hanno avuto accesso ai controlli medici per mesi. Molte sono costrette a partorire in tende di plastica o in edifici pubblici. Chi riesce a partorire in un ospedale, spesso ritorna nel proprio rifugio di fortuna qualche ora dopo aver fatto un parto cesareo.
“Con così tante persone sfollate, la situazione a Rafah è spaventosa. Tutti gli spazi sono sovraffollati, con persone che vivono in tende, scuole e ospedali. L’ospedale emiratino sta attualmente affrontando tre volte il numero di parti che gestiva prima della guerra”, dice Pascale Coissard, coordinatrice dell’emergenza di MSF a Gaza.
Per ridurre il rischio di morbidità e mortalità tra le madri e i neonati, supportiamo l’ospedale con assistenza post-parto e abbiamo aggiunto 12 nuovi posti letto al reparto arrivando a una capacità totale di 20 letti, consentendo così a più pazienti di ricevere un monitoraggio adeguato dopo il parto. Tuttavia, senza le giuste forniture e con il sistema sanitario sotto pressione molte madri vengono dimesse solo dopo poche ore dal parto. In alcuni casi a causa della difficoltà d’accesso ai servizi di salute materno infantile, molte donne incinte non hanno ricevuto nessun tipo di assistenza dall’inizio della guerra e non hanno fatto visite di controllo.
Le criticità delle cure prenatali e post-parto
Quando le donne incinte non hanno accesso adeguato alle cure mediche, al cibo a sufficienza o a un rifugio appropriato, sia loro che i loro figli sono più esposte a problemi di salute, comprese le infezioni. I figli di donne denutrite incinte o in allattamento sono a rischio immediato di problemi di salute e potenziali carenze nello sviluppo a lungo termine. Oltre un terzo delle pazienti in cerca di cure prenatali soffre di anemia, una condizione critica per le donne incinte. Inoltre, quasi la metà di queste donne ha avuto infezioni gastro-urinarie, come ad esempio infezioni alle vie urinarie.
Rana Abu Hameida, 33 anni, è stata ammessa al reparto di maternità dell’ospedale al sesto mese di gravidanza a causa di complicazioni, senza aver mai fatto nessuna visita dall’inizio del conflitto.
“Da quando siamo sfollati, è stato difficile trovare il modo per andare in ospedale e accedere ai servizi sanitari. È difficile trovare un posto per le cure o organizzare la mia vita in modo da poter ricominciare i controlli mensili. Vivo in una tenda, la vita è dura, soprattutto quando bisogna trovare cibo o acqua e dormire senza un giaciglio adeguato”, dice Abu Hameida.
Nella prima settimana di gennaio, le nostre ginecologhe ed ostetriche hanno fornito cure prenatali ad oltre 200 pazienti nella clinica di Al Shaboura. Nel reparto di cure post-parto dell’ospedale emiratino, nella prima settimana di espansione del reparto, abbiamo ricevuto 170 pazienti.
Quel che cerchiamo di fornire sono: cure prenatali, cure post-parto, supporto alla salute mentale, screening per la malnutrizione, cibo terapeutico supplementare. Tuttavia, senza sufficienti aiuti umanitari a Gaza e senza la protezione delle poche strutture sanitarie ancora in funzione, la fornitura di cure mediche continuerà ad essere una goccia nell’oceano.
Ribadiamo ancora una volta la richiesta per un cessate il fuoco immediato e incondizionato e chiediamo che le strutture sanitarie siano protette per salvare vite umane.
È necessario ripristinare immediatamente il flusso di aiuti umanitari a Gaza e ristabilire il sistema sanitario, da cui dipende la sopravvivenza di madri e bambini di Gaza.
Guerra Israele-Palestina: cosa vuol dire partorire in casa a Gaza
Senza elettricità e attrezzature, un’infermiera fa nascere il bambino di sua sorella in mezzo ai boati di un bombardamento israeliano
di Maha Hussaini (*)
Gaza, Palestina occupata -11 dicembre 2023
Usando forbici generalmente utilizzate per tagliare la carta, mollette di plastica per i panni e la luce fioca dei cellulari, Nour Moeyn ha tagliato il cordone ombelicale della nipote appena nata.
Sotto un intenso bombardamento israeliano, non c’erano né attrezzature, né elettricità per l’infermiera venticinquenne, mentre faceva nascere la bambina di sua sorella in mezzo ai boati degli attacchi aerei e dell’artiglieria. L’ospedale più vicino era aperto. Ma la famiglia non poteva rischiare di uscire di casa nel cuore della notte e andare in ospedale, mentre i quartieri intorno a loro erano sotto attacco. Inoltre, gli ospedali e le ambulanze a Gaza sono affollate di palestinesi uccisi o feriti negli attacchi israeliani. La sorella di Moeyn, Aya, non ha avuto altra scelta che partorire nella casa della sua famiglia, dove si era trasferita all’inizio della guerra.
“Intorno all’una di notte, il dolore del travaglio di Aya è iniziato, ed era così forte che non poteva sopportarlo. Nel giro di mezz’ora, la testa della bambina ha iniziato a emergere e abbiamo dovuto agire immediatamente”, racconta Nada Nabeel, 31 anni, cognata di Aya. “Non potevamo nemmeno pensare di andare in ospedale, perché sarebbe stata una condanna a morte per Aya, la bambina e tutti coloro che l’avessero accompagnata. I bombardamenti erano intensi e potevamo sentire i carri armati israeliani muoversi nelle zone vicine.”
Sebbene in passato Moeyn abbia assistito a numerosi parti, non lo aveva mai fatto da sola. “Ma ha deciso di procedere, altrimenti sua sorella e la bambina sarebbero morte”, ha detto Nabeel.
Uno dei problemi più basilari, quando si esegue tale procedura a casa, di notte, è la mancanza di elettricità.
Subito dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre, Israele ha tagliato tutte le forniture di elettricità e carburante all’enclave costiera. Da allora, i palestinesi hanno fatto affidamento sulla luce delle candele, sui LED alimentati a batteria e sui pannelli solari.
“Durante la guerra ci siamo abituati a sederci al buio, a volte con una piccola candela o una luce a LED. Ma questa volta non potevamo fare affidamento sulla luce delle candele e, anche se le batterie del nostro telefono stavano per scaricarsi, tutti noi abbiamo acceso le torce sui nostri cellulari per aiutare Nour a vedere bene,” ha detto Nabeel.
Aya, suo marito e i loro due figli avevano lasciato la loro casa in al-Rimal Street, nel centro di Gaza City, durante la prima settimana di guerra, e si erano rifugiati nella casa della sua famiglia nel quartiere di al-Sahaba, a est. “I suoni dei bombardamenti erano molto forti, mescolati alle grida di Aya e alle voci dei suoi parenti e di altri sfollati che pregavano” – Nada Nabeel, sorella di Aya.
La casa ha diversi piani e appartamenti, quindi l’intera famiglia allargata è stata la benvenuta.
Durante i tempi di guerra, le famiglie di Gaza tendono a riunirsi in un unico luogo, in cerca di protezione e conforto. C’è un desiderio comune di vivere o morire insieme.
Nabeel ha descritto la nascita del nuovo membro della famiglia come qualcosa uscito dallo schermo di un film e “oltre la realtà”.
“Le donne dirigevano le loro torce verso Aya e gli uomini fuori pregavano per la sua salvezza. Tutti nell’edificio, tutti gli sfollati in tutti gli appartamenti, erano svegli e ripetevano ‘ya rab, ya rab’ [in arabo significa oh, Dio], “. “I suoni dei bombardamenti erano molto forti, mescolati alle grida di Aya mentre lottava per partorire e alle voci dei suoi parenti e degli altri sfollati che pregavano e le dicevano di essere forte e di resistere. Tutto era surreale. Per quanto possa descrivere i dettagli, nessuno può immaginare la scena”.
Nessuna attrezzatura medica
Secondo il ministero della Sanità palestinese, l’esercito israeliano ha distrutto 52 strutture mediche e 56 ambulanze nella Striscia di Gaza, e ha ucciso almeno 283 operatori sanitari. Finora sono stati uccisi circa 18.000 palestinesi, la stragrande maggioranza civili. La famiglia di Aya non si aspettava che partorisse così presto, quindi non era stato concordato alcun piano di emergenza. Senza attrezzature mediche, hanno dovuto utilizzare oggetti domestici che avevano in casa. “Il tempo stava per scadere e temevamo per la vita della bambina mentre Nour e Aya stavano lottando per tirarla fuori. Si udivano le voci delle preghiere e io tenevo il cellulare con la torcia, leggevo il Corano e piangevo”, ha continuato Nabeel.
“Pochi minuti dopo, la bambina è finalmente nate e una volta uscita, Aya e tutti sono scoppiati in lacrime. È stato un momento di sollievo per tutti noi. Nour ha abbracciato forte Aya e l’ha baciata sulla fronte, e gli sfollati applaudivano e ringraziavano Dio.” Nabeel ha detto che sono riuscite a cavarsela con forbici disinfettate e mollette da bucato, ma quando si è trattato della placenta, non c’era niente di appropriato a portata di mano per estrarla. “Nour ha dovuto eseguire le cure postpartum a mani nude, pulendo l’utero di Aya ed estraendo manualmente la placenta. E per fortuna, non ha dovuto tagliare parte della vagina durante il parto, quindi non ha avuto bisogno di suturarla”, ha aggiunto. “La mattina dopo, sono andati al complesso [medico] di al-Sahaba per controllare la salute di Aya e della bambina, e grazie a Dio erano in perfette condizioni.”
Secondo il dottor Adan Radi, ostetrico e ginecologo dell’ospedale al-Awda nel nord della Striscia di Gaza, ci sono circa 55.000 donne incinte a Gaza che necessitano di assistenza sanitaria regolare.
“Abbiamo chiamato la piccola Massa [diamante, in arabo] perché le condizioni in cui è nata erano insolite, ma anche perché è preziosa e testarda”, ha detto Nabeel. “Ha insistito a nascere, nel mezzo di tutte le circostanze avverse.”
(*) Fonte: English version. Versione italiana tratta da Invictapalestina.org.
Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali”.
Immagini:
1) Un neonato all’ospedale Al Shifa a Gaza, 26 ottobre 2023. Foto di ©️ Bisan Owda per UNFPA. Immagine tratta dal sito di We are not numbers.
2-3) Immagine tratta dal sito di Medici Senza Frontiere.
4) Una donna palestinese, Iman, tiene in braccio i suoi gemelli appena nati a Khan Younis, nel sud della Striscia di Gaza, 2 novembre (Reuters)
5) Una donna incinta di otto mesi a Rafah, nel sud della Striscia di Gaza, il 10 novembre (AFP).
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