14/03/24

Un libro da leggere. Per non stare "dalla parte sbagliata del mondo..."

Questo libro che racconta il percorso di una ragazza nell'Italsider di Bagnoli, oltre che leggersi piacevolmente, è interessante per almeno due motivi, che contribuiscono alla chiarezza di cosa significa la fabbrica e cosa significa per le donne. 
La presa di coscienza di classe, la trasformazione "operaia", un'operaia che lotta, di Vincenzina - che è figlia di un operaio dell'Italisider ma aveva tutt'altra prospettiva rispetto a quella di lavorare in fabbrica che fa paura, che si odia - avviene non facilmente, con contrasti, resistenze, contraddizioni, ma, poi, soprattutto con la scoperta della dura fabbrica. 
Vincenzina scopre che la fabbrica - che ha ucciso il padre, come tanti altri operai - è però anche, e spesso soprattutto, "comunità", collettivo, unità. Questa comunità è data dalla sofferenza, ma è data innanzitutto dalla scoperta degli altri, delle altre; una comunità che non c'è fuori dalla fabbrica, ma che continua a vivere, soprattutto, per le operaie anche fuori dalla fabbrica. 
Sfruttamento, condizioni di lavoro pesanti, nocive, il timore di rischiare la vita come altri operai/operaie, la protervia dei capi che se ne fregano della vita umana, tutto c'è, soprattutto in una fabbrica siderurgica come l'Italsider; ma c'è via via la scoperta della forza, della necessità di ribellarsi, della gioia di lottare, di unire, di stare in una "famiglia"; il perchè della fierezza del padre di Vincenzina di essere comunista. 
Poi, tutto questo, il libro lo descrive come è vissuto dalle donne, che è differente. Per le operaie la fatica è maggiore, perchè hanno il peso della famiglia, le preoccupazioni che le accompagnano in fabbrica; preoccupazioni che ritrovano ogni giorno fuori, dalla necessità, paura, sofferenza di abortire in condizioni allora più terribili, a sorelle che si illudono di una via facile per fare soldi, dalle difficoltà economiche, alle madri sottomesse, legate come una catena ai loro uomini, nel bene e nel male, ecc. ecc. 
Ma poi, c'è la conoscenza, la scoperta della solidarietà tra donne dentro e fuori la fabbrica, delle amicizie che diventano forti come l'acciaio. E quindi, la comunità di classe che è trasformazione, che dà forza, unità, speranza. La fabbrica in cui trovare anche un amore non inquinato, non falso.
Concludiamo con le parole di Vincenzina: "... Quanti inferni esistevano oltre al suo. Il diavolo non smetteva mai di spargere veleno, intossicare, trasformare vite e persone. Alla fine, per assurdo, lo stabilimento salvava. All'inizio lo aveva odiato perchè s'era preso suo padre e aveva risucchiato anche lei, mentre ora si rendeva conto di essere stata dalla parte sbagliata del mondo. Quel luogo, 'o cantiere, univa le persone, faceva in modo che ognuno compatisse l'altro per dignità e nobiltà, così tutti diventavano un unico essere, un unico respiro che mandava avanti la vita...".

Da un commento su Il Manifesto: "...quando nell'autunno del 1990 l'Italsider chiuderà i battenti, un senso di profonda malinconia invade gli operai. L'ultimo giorno c'è silenzio nello stabilimento, c'è poco da dire. Tutto è vuoto e smarrimento. Bagnoli è destinata a divenire come una lacerazione del tessuto sociale e storico di Napoli. Vincenzina versa l'ultimo caffè ai suoi compagni con l'amarezza di un addio, anche se ora sa che è una di loro, e lo sarà per sempre"   

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