da Abbattoimuri
Avete presente i militari italiani? Quelli che stanno in giro per il
mondo per “missioni di pace”? Impegnati anche nella ricostruzione di
quel che altri militari, di diversa nazionalità, hanno distrutto? Hanno
realizzato anche questo carcere femminile per donne afghane a Herat e
sembra essere il fiore all’occhiello che dovrebbe dimostrare l’efficacia
della presenza umanitaria in Afghanistan. Recensito, filmato e
fotografato da molti media italiani [1] [2] [3] [4] [5],
giacché di propaganda istituzionale non siamo mai sazi, questo carcere
“accoglie” (notare l’effetto e la semantica addolcita delle parole)
donne che sono state arrestate in virtù delle leggi atroci che esistono
in quel paese, aggravate, peraltro, anche dalla guerra che ha deposto
tiranni di tipo A per piazzare al potere tiranni di tipo B fortemente
misogini e integralisti.
In quella galera, dietro le sbarre,
impiegate in lavori di artigianato, non si capisce per chi e con quali
guadagni, a crescere i figli piccoli che fino all’età di sei anni sono
reclusi assieme alle madri, ci sono donne condannate per adulterio,
abbandono del tetto coniugale, stupro, nel senso che la donna che
subisce uno stupro va in galera, poi ci sono quelle alle quali è stato
imposto un matrimonio forzato, possibilmente con un uomo di 30 anni più
vecchio, e per fuggire dalla violenza domestica, di cui erano vittime,
sono scappate, hanno ferito o ammazzato il marito, perché, così come
loro stesse dicono, parrebbe più sicuro, per loro, ripudiate da parenti e
dalla mentalità del luogo, restare in galera. “Almeno lì non le
picchiano” scrive qualcuno, senza rendersi conto del delirio
autoreferenziale che rappresenta una frase del genere. E dunque quel che
mi sfugge, a parte il giochetto del linguaggio edulcorato, le
inversioni semantiche e la propaganda militare dell’italietta coloniale,
è come si possa parlare bene di una galera e parlarne addirittura come
rappresentasse un regalo a queste donne che invece che essere
imprigionate dovrebbero stare libere e altrove.
Come si può pensare che costruire – e vorrei sapere chi, che ditte
appaltatrici, quali fornitori di materiale, con quali costi e chi li ha
gestiti – una galera possa essere un regalo per “salvare” quelle donne?
Come si può immaginare che una simile retorica paternalista possa essere
sinceramente auspicabile e gradita dalle donne in questione? Perché io
ho guardato le foto, quelle immagini di vari reportage, e ho visto solo
volti segnati dalla stanchezza e dal dolore. Ho visto donne messe in
fila sui banchi di una presunta classe a dimostrare come i coloni, i
civilissimi italiani, in questo caso, siano così bravi da fornire a
queste donne perfino l’opportunità di alfabetizzarsi. Che tristezza
quelle foto in cui dei militari o delle militaresse si fanno fotografare
vicino a quelle donne come si trattasse del ricordo di una gita fuori
porta tra amici e amiche. Che tristezza il fatto che nessuno, e dico
nessuno, abbia scritto che le carceri afghane, in realtà, sono anche
luogo di vessazioni per le donne. Non ci saranno i mariti a
maltrattarle, ma che dire dei secondini? Non dico che avviene in questo
preciso carcere, anzi, giammai potrebbero quelli che abusano del proprio
potere compiere atti così orribili dentro una galera costruita da
italiani.
Quel che emerge dai vari articoli che ho letto, approfondendo la questione dopo aver subìto un brutto pezzo
che mi aveva segnalato Martina, è che si parla dei “nostri ragazzi” e
di quel carcere come di missionari e di un’opera buona, un
“rifugio”,”una finestra di modernità”, così l’hanno chiamata. I nostri ragazzi,
dunque, in Afghanistan ricostruiscono, ovvero si sono garantiti la
possibilità di ottenere appalti per italiani in una delle zone distrutte
del paese, e prestano la loro opera per la ricostruzione di strade,
scuole, fogne e questa galera per adultere. Roba della quale andare
orgogliosi, nevvero? Sono solo io a pensare che questa storia non sia ne
più e né meno che la stessa storia di sempre, ovvero quella che vede le
donne usate sui media per legittimare guerre, governi, Leggi, in salsa
da pinkwashing spinto? Chiariamo: l’esercito italiano non ha salvato
queste donne. Ha solo aiutato quel governo a tenerle in una galera con
qualche pennellata di rosso e giallo sui pavimenti e sulle pareti.
Giusto perché era di colori che ‘ste donne avevano bisogno. No?
Dite grazie ai “nostri ragazzi”? Più forte per favore! E ora
potete tornare a vestire gli abiti di ogni giorno, ché la tv e i
fotografi sono andati via…
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