Dallo stralcio dell'articolo apparso oggi su Sole 24 Ore - e che
di seguito riportiamo - emergono alcune questioni, esemplari in un certo
senso della situazione attuale delle lavoratrici e della "risposta" del
governo Renzi.
Primo. L'articolo dice che anche il lavoro è parte della cura per
le donne che hanno subito un tumore e che le donne vogliono tornare a
lavorare; quindi la ripresa dell'attività lavorativa è una delle
componenti essenziali per un ritorno ad una vita normale. MA COME SI FA
QUANDO, COME OGGI, IL LAVORO VIENE TOLTO? Quando, come, solo in parte, e
la stessa inchiesta lo dimostra, le aziende per il fatto che hai più
assenza per la malattia, per la cura, ti licenziano preventivamente?
Ti negano il lavoro e ti negano anche la salute la vita!
Secondo. Ammesso e non concesso il ritorno al lavoro, le
lavoratrici sono costrette a fare una sorta di scelta tra doversi
curare, superando mille ostacoli, e mantenere il lavoro, o non farsi
peggiorare le condizioni di lavoro.
Terzo. Ma la cosa più paradossale è la risposta che viene data a
questa necessità di potersi curare e contemporaneamente non perdere il
lavoro: Il jobs act del governo Renzi! Cioè il demansionamento previsto
dalla riforma del lavoro.
Qui ipocritamente il demansionamento viene presentato come a
favore della lavoratrice, quando in realtà è un'arma data alle aziende
per usare i lavoratori, in questo caso le lavoratrici, come e quando
servono.
D'altra parte, se il lavoro è un incentivo anche psicologico per
una ripresa da un tumore, come si può sentire una lavoratrice che
rientra e viene cacciata dal suo posto di lavoro e viene trattata come
una handicappata?
(da 'Sole 24 ore')
Donne e tumori, anche il lavoro è parte della cura
La diagnosi di tumore al seno riguarda ogni anno oltre 40mila donne. Esclusi i carcinomi della pelle, è la neoplasia che più colpisce le donne: in pratica, un tumore maligno su tre è alla mammella. L’età della malattia tende a coincidere sempre più con la fase piena della vita lavorativa: i tumori della mammella sono quelli più frequenti per le donne sotto 49 anni (41%), per quelle tra 50 e 69 anni (36%), per le over 70 (21%)...
Dall’indagine emerge che poco più di
un’azienda su tre, fra quelle intervistate, si dichiara impegnata in
iniziative specifiche di sensibilizzazione: campagne informative,
giornate di prevenzione, formazione con esperti, visite annuali...
Il tempo per le cure
Sul fronte delle cure, l’indagine rivela che non è ancora abbastanza tutelato il tempo per le terapie e per il recupero dopo la malattia. «Il periodo di comporto, i congedi e i permessi tutelano la lavoratrice al massimo per due anni, mentre gli indicatori scientifici rivelano che la donna colpita dal tumore al seno può dichiararsi guarita dopo cinque anni dalla diagnosi. Le stesse cure si protraggono oltre i due anni».
Proprio perché il tempo è una risorsa preziosa per conciliare il lavoro e le cure, una lavoratrice su cinque delle intervistate pensa che nelle regole ci voglia più flessibilità...
Un’esigenza forte sottolineata dalle donne (47,6% delle intervistate) è quella di trovare più facilmente le informazioni necessarie a far fronte alla malattia e a far valere i propri diritti. Le intervistate chiamano in causa l’Inps, il personale medico e le strutture sanitarie (Asl, medici di base, ospedali), che spesso dimostrano di non conoscere a sufficienza le leggi a tutela delle lavoratrici malate di tumore...
La traduzione in pratica delle regole che tutelano la lavoratrice soprattutto dopo il tumore al seno non è sempre in discesa... quasi il 24% dichiara di aver subito penalizzazioni dall'azienda per cui lavora...
LA RISPOSTA DEL GOVERNO
Potrebbe essere l’attuazione del Jobs act il “treno” su cui far salire una maggiore flessibilità delle mansioni, anche a beneficio delle lavoratrici che hanno avuto una diagnosi di tumore al seno.
La seconda parte della legge delega
di riforma del lavoro 183/2014 (articolo 1, comma 7) prevede infatti
che la disciplina delle mansioni sia rivista, «in caso di processi di
riorganizzazione, ristrutturazione o conversione aziendale (...)
contemperando l’interesse dell’impresa all’utile impiego del personale
con l’interesse del lavoratore alla tutela del posto di lavoro, della
professionalità e delle condizioni di vita ed economiche, prevedendo
limiti alla modifica dell’inquadramento».
La possibilità di essere assegnate a
mansioni diverse, compatibili con una ridotta capacità lavorativa sul
piano fisico e psicologico, anche per un periodo limitato di tempo,
consentirebbe infatti all’azienda di non rinunciare al contributo e
all’esperienza della lavoratrice e alla donna di riprendere il ritmo
“ordinario” del lavoro con più gradualità..."
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