Dall'intervento di Dilar Diri:
"Dopo gli attacchi di IS a
Kurdistan, Siria e Iraq, i media mainstream e il discorso politico hanno
dato attenzione alla resistenza del popolo curdo contro gli atti
brutali e genocidi di IS, e più in particolare al ruolo delle donne in
questa lotta.
Il mondo si è accorto della notevole lotta delle donne
curde che hanno preso le armi per combattere il gruppo jihadista
ultra-patriarcale, cosa che viene percepita come inusuale, dato che il
Kurdistan si trova in una parte del mondo che è nota per essere
straordinariamente patriarcale, feudale e sotto il dominio maschile. Il
fatto che queste donne, in una società altrimenti conservatrice,
dominata dagli uomini, combattano militarmente e sconfiggano
un’organizzazione brutale, ha affascinato molti osservatori esterni.
Tuttavia affermazioni sensazionaliste come “IS teme le donne curde
perché se uccisi da una donna non andranno in paradiso” si concentra su
elementi superficiali di una situazione profondamente complessa,
ignorando che in questa lotta c’è più del solo combattimento con le
armi, ovvero un progetto di emancipazione politica più ampio.
Di seguito vorrei parlare di due sistemi opposti che al momento si
combattono in Kurdistan. L’organizzazione assassina IS con le sue
intenzioni, ambizioni e azioni monopoliste, egemoniche,
ultra-patriarcali e repressive è la personificazione della modernità
capitalista. La resistenza e il movimento delle donne curde che lotta
per un sistema di società alternativa basato sulla modernità
democratica, una significativa lotta per libertà, giustizia e democrazia
oltre gli stati-nazione, economia capitalista e potere egemonico.
[...] Tradizionalmente le donne
sono viste come parte delle terre che gli uomini devono proteggere. La
violenza sessuale viene usata come strumento di guerra per “dominare” il
nemico, in particolare dove il concetto di “onore” viene costruito
intorno ai corpi e comportamenti sessuali delle donne. Le donne
militanti vengono accusate di violare la “santità della famiglia” perché
osano uscire dalla prigione centenaria che è stata loro assegnata. Il
fatto ce le donne curde prendano le armi, simboli tradizionali del
potere maschile, per molti versi è una devianza radicale dalla
tradizione. Anche questa è una ragione per la quale molte donne che
lottano, ovunque nel mondo, sono soggette ad una violenza sessuata, sia
come combattenti, che come prigioniere politiche. Nel contesto delle
donne militanti, lo scopo della violenza sessuata, fisica o verbale, è
di punirle per essere entrate in una sfera riservata al privilegio
maschile.
IS ha dichiarato esplicitamente una guerra contro le donne. Usa
sistematicamente la violenza sessuata attraverso rapimenti, matrimoni
forzati e stupro. Strumentalizza la religione per i suoi scopie sfrutta
il concetto di “onore” prevalente nella religione. Secondo rapporti,
migliaia di donne yezide di Shengal (Sijnar) sono state catturate,
vendute nei mercati degli schiavi o “date” agli jihadisti come bottino
di guerra, Questa sistematica distruzione delle donne è una forma
specifica di violenza: il femminicidio.
L’ideologia sciovinista di IS non solo strumentalizza la religione
per i suoi scopi egemonici, ma mira inoltre a stabilire un sistema di
monopolismo completo. (…)
Nonostante il fatto che i media parlino delle donne al fronte, le
motivazioni politiche della loro lotta sono spesso tralasciate. Per
esempio, nonostante le ragioni della militanza delle donne curde siano
molteplici, la maggior parte dei combattenti delle Unità di Difesa del
Popolo (YPG) e delle Forze di Difesa delle Donne (YPJ) del Rojava
(Kurdistan occidentale/Siria settentrionale) che stanno combattendo IS
da due anni, sono leali all’ideologia del Partito del Lavoratori del
Kurdistan, il PKK.
Il PKK nonostante venga definito “organizzazione separatista”, da
tempo è andato oltre i concetti di stato e nazionalismo e ora sostiene
un progetto do liberazione alternativo in forma di autonomia regionale e
autogoverno, il “confederalismo democratico”, basato su parità di
genere, ecologia e democrazia dal basso, messo in pratica attraverso i
consigli popolari. Nelle sedi delle YPG/YPJ, che ora insieme al PKK
aiutano anche le forze dei peshmerga dei curdi del sud (curdi irakeni) a
difendere la regione da IS, in genere si trovano ritratti di Abdullah
Öcalan, l’ideologo del PKK in carcere, le cui teorie hanno contribuito
in larga parte alla liberazione delle donne in Kurdistan. Il PKK sfida
il patriarcato e pratica la co-presidenza, che divide l’amministrazione
in modo paritario tra una donna e un uomo, dalla presidenza dei partiti
fino ai consigli di quartiere e ha quote di genere 50-50 a tutti i
livelli delle amministrazioni. Queste politiche sono meccanismi per
garantire la rappresentanza delle donne in tutti gli ambiti della vita,
consigli, accademie, partiti e cooperative, oltre alla decostruzione
patriarcato a livello teorico, mirano a dare significato a questa
rappresentanza.
L’amministrazione del Kurdistan occidentale (Rojava) che ha
dichiarato tre cantoni autonomi nel gennaio del 2014, ha applicato la
co-presidenza e le quote, creato unità di difesa delle donne, consigli
delle donne, accademie, scuole e cooperative. Le sue leggi mirano a
democratizzare la famiglia e a eliminare la discriminazione di genere.
Uomini che usano violenza contro le donne non possono far parte
dell’amministrazione. Uno dei primi atti di governo è stato di mettere
fuori legge matrimoni forzati, violenza domestica, delitto d’onore,
poligamia, matrimoni con bambine, prezzo della sposa e scambio di spose.
Le amministrazioni dei partiti, dei comuni, i consigli e comitati sono
gestiti da una donna e un uomo, co-presidenti che condividono
l’incarico. Ma i cantoni del Rojava vengono marginalizzati a livello
internazionale attraverso embargo economici e politici.
Oppresso e marginalizzato in molte forme, etnia, classe, genere, il
movimento delle donne curde è consapevole che la libertà deve
comprendere tutti gli aspetti della vita. In questo modo la liberazione
delle donne è diventata un prerequisito nella resistenza curda contro
l’oppressione e non sorprende che le donne in tutta la regione, arabe,
turche, armene e assire, partecipino sia alle unità armate che nelle
amministrazioni.
È interessante notare che nonostante il fatto che il movimento delle
donne sembri essere sull’agenda di oggi, le motivazioni e l’ideologia
del movimento sembrano essere omesse a bella posta. Per esempio mentre
alcuni articoli hanno iniziato ad ammirare il coraggio delle donne che
lottano contro il regime e le forze legate ad Al-Qaeda nel Kurdistan
occidentale, gli stessi autori spesso non citano il fatto che queste
donne affermano in modo esplicito che la forza motrice dietro a questa
mobilitazione è l’ideologia di Abdullah Öcalan, “L’uomo è un sistema.
L’uomo è diventato stato e ha trasformato questo nella cultura
dominante. Oppressione di classe e di genere si sviluppano insieme; la
mascolinità ha prodotto il genere che comanda, la classe che comanda e
lo stato che comanda. Se il maschio viene analizzato in questo contesto,
è chiaro che la mascolinità deve essere uccisa. In effetti, uccidere il
maschio dominante è il principio fondamentale del socialismo. Ecco cosa
significa uccidere il potere: uccidente il dominio unilaterale, la
disuguaglianza e l’intolleranza. Inoltre uccide fascismo, dittatura e
dispotismo”.
E che piaccia o meno, l’ideologia del PKK è un fattore cruciale per raggiungere questo,
Analizziamo gli attacchi a Kobane in questo contesto. Molti attori della regione, in particolare Turchia, Qatar e Arabia Saudita hanno usato IS per i propri interessi e per molto tempo gli hanno fornito sostegno militare, finanziario e politico. Larga parte della comunità internazionale ha contribuito alla crescita di IS, se non altro con la passività e la tolleranza silenziosa. IS ha beneficiato dal sistema dello stato-nazione con le sue implicazioni capitalistiche (…).
Analizziamo gli attacchi a Kobane in questo contesto. Molti attori della regione, in particolare Turchia, Qatar e Arabia Saudita hanno usato IS per i propri interessi e per molto tempo gli hanno fornito sostegno militare, finanziario e politico. Larga parte della comunità internazionale ha contribuito alla crescita di IS, se non altro con la passività e la tolleranza silenziosa. IS ha beneficiato dal sistema dello stato-nazione con le sue implicazioni capitalistiche (…).
In effetti molti sono stati contrari a chiamare IS “Stato Islamico”
perché gli da una legittimità. Va messa in discussione la validità di
questa affermazione, considerando che IS di fatto prende in prestito
tutti gli elementi oppressivi dell’attuale sistema capitalista,
patriarcale, orientato allo stato-nazione, ma in versione estremista.
Le strutture di autogoverno del Rojava sono state marginalizzate fin
dall’inizio da tutto il mondo. I curdi sono stati esclusi da Ginevra II,
vi sono embargo economici e politici contro i cantoni. E mentre Kobane è
completamente assediata da IS, la comunità internazione ancora esita,
perché la Turchia fa parte della NATO. Va detto che gli attacchi a
Kobane sono un attacco al movimento delle donne, a un sistema
alternativo, all’unica soluzione sostenibile alla crisi IS. Il sistema
alternativo è sotto attacco perché ha il potenziale di sfidare
radicalmente lo status quo. Sia l’ideologia del movimento delle donne
che quella di IS sono classificate a livello internazionale come
organizzazioni terroristiche, svelando la vera natura dell’ordine
internazionale, che non vuole che il sistema alternativo del movimento
curdo abbia successo, perché ne metterebbe in pericolo l’egemonia.
Le donne di tutte le parti del Kurdistan stanno lottando contro lo
stato turco che ha il secondo più grande esercito della NATO e un
governo conservatore che dice alle donne di non sorridere e di fare
almeno tre figli, il regime iraniano che priva le donne dei loro diritto
fondamentali, presuntamente in nome dell’Islam, e gli jihadisti
radicali ai quali vengono promesse 72 vergini quando vanno in paradiso
per le loro atrocità, dichiarando “halal” violentare le donne del
nemico. Ma le donne curde sottolineano che continueranno a lottare
contro il patriarcato in Kurdistan, contro i matrimoni di bambine,
contro i matrimoni forzati, i delitti d’onore, la violenza domestica e
la cultura dello stupro. Per le istituzioni patriarcali, accettare le
donne come alla pari in combattimento, significherebbe mettere in
discussione la loro egemonia. Così per IS, le donne curde combattenti
sono il maggiore nemico.
IS non ha paura delle donne curde perché meglio equipaggiate o
addestrate militarmente, ma perché l’ideologia di liberazione delle
donne ha il potenziale di distruggere completamente l’egemonia del
califfato patriarcale.
IS è solo la forma attualmente più estrema non solo di oppressione
fisica delle donne; ma cerca anche di distruggere ideologicamente tutto
ciò che la liberazione delle donne rappresenta. La lotta delle donne
curde non è solo una lotta militare contro IS per l’esistenza, ma una
posizione politica contro l’ordine sociale e la mentalità patriarcale
alla base dell’ordine sociale e della mentalità patriarcale. Sfidare le
strutture sociali attraverso la mobilitazione politica e l’emancipazione
sociale, insieme all’autodifesa armata, è un contropotere sostenibile a
lungo termine per sconfiggere la mentalità di IS.
Le donne del Kurdistan si percepiscono come le garanti di una società
libera. È facile usare adesso le combattenti curde per dare un’immagine
simpatetica di un nemico di IS, senza riconoscere i principi che stanno
dietro alla loro lotta. L’apprezzamento per queste donne non dovrebbe
essere correlato soltanto alla loro lotta militare contro IS, ma anche
al riconoscimento della loro politica, delle loro ragioni e visioni. Se
ci sarà una vittoria contro IS, avverrà per mano delle donne curde."
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