La carta del Rojava come primo bersaglio delle milizie dell’Isis. E lo sguardo
pruriginoso dei media occidentali sulle guerrigliere curde.
“Donne
vendute al bazar per cinque dollari. Esposte come buoi, con il
cartellino del prezzo al collo, condannate a essere oggetto sessuali
per i militari dell’Isis: schiave del Califfato”. È la denuncia
di Nursel Kilic, rappresentante internazionale del Movimento delle donne
Curde. “Secondo le stime ufficiali le donne rapite e vendute nei bazar
sono 3,000, in realtà sono molte di più. 1200 poi giacciono nelle
prigioni nella zona di Mosul e lì vengono violentate, torturate,
subiscono ogni genere di violenza.”
“Il genocidio in
atto colpisce in maniera particolare il diritto alla vita e
la libertà delle donne. Come è già avvenuto in altri recenti conflitti,
dal Kosovo al Rwanda, le pratiche di genocidio includono atti sempre più
visibili ed estesi di violenza nei confronti delle donne
come gruppo. I femminicidi di massa perpetrati da ISIS possono essere
considerati crimini di guerra e contro l’umanità, non solo perché
costituiscono una strategia politica dello “Stato islamico”, ma anche
perché sono rivolti a colpire in maniera specifica e sistematica donne e
bambini. Gli atti di femminicidio sono utilizzati dalle milizie
dell’ISIS come strumento di dominio patriarcale e come arma di guerra,
funzionale allo sterminio delle minoranze etniche e religiose e per la
distruzione del modello del Rojava”. Barbara Spinelli
Uno
straordinario esperimento di comunità altra che da più di due anni il
popolo del Rojava – regione a maggioranza curda nel nord della Siria –
sta portando avanti, liberando il proprio territorio e sperimentando una
vera e propria rivoluzione sociale, fondata sulla partecipazione dal
basso, l’uguaglianza tra uomini e donne e il rispetto dell’ambiente.
La carta del Rojava è un
testo che parla di libertà, giustizia, dignità e democrazia; di
uguaglianza e di «ricerca di un equilibrio ecologico». Nel Rojava
il femminismo è incarnato non soltanto nei corpi delle
guerrigliere in armi, ma anche nel principio della
partecipazione paritaria a ogni istituto di autogoverno, che
quotidianamente mette in discussione il patriarcato.
E l’autogoverno, pur tra mille
contraddizioni e in condizioni durissime, esprime davvero un
principio comune di cooperazione, tra liberi e uguali. E ancora:
coerentemente con la svolta anti-nazionalista del Pkk di Öcalan,
a cui le Ypg/Ypj sono collegate, netto è il rifiuto non solo di ogni
assolutismo etnico e di ogni fondamentalismo religioso, ma
della stessa declinazione nazionalistica della lotta del popolo
kurdo. Basta ascoltare le parole dei guerriglieri e delle
guerrigliere dell’Ypg/Ypj, per capire che questi ragazzi e queste
ragazze hanno preso le armi per difendere la loro terra, ma soprattutto
per affermare e difendere questo modo di vivere e di cooperare.
Lotta
contro il patriarcato e contro il capitalismo/fascismo finalmente
insieme. Lotta di genere e lotta di classe che camminano insieme,
simultaneamente. Non dopo, non poi, ma qui e ora, si sperimenta una
comunità altra, nuova, rivoluzionaria, nel farsi e nel darsi della lotta
quotidiana. Questo ci pare essere l’elemento di assoluta rilevanza di
questa resistenza, che vede le donne curde in prima linea a combattere, a
difendere la propria terra e il proprio popolo, ma soprattutto ad
affermare un principio di autodeterminazione personale e politica in
totale conflitto con l’esistente.
E
sulle guerrigliere si posa lo sguardo dei
media occidentali, pronti a spingere un trend che fa innalzare le
vendite delle tutine mimetiche messe prontamente in commercio dalla
multinazionale H&M e a trasformare il protagonismo delle donne in
gossip da cartoline patinate. La storia è lunga a questo proposito e la
conosciamo bene. Dalle partigiane della guerra al nazifascismo, passando
per le donne che parteciparono alla lotta armata, fino alle compagne
NoTav della Valsusa. L’attenzione dei media si concentra troppo spesso e
non a caso sull’estetica, su fatti privati e sulla narrazione da
rotocalco,
mistificando e togliendo senso e sostanza al protagonismo e alla
capacità di autodeterminazione di queste donne.
Al fianco delle donne del Rojava.
Collettivo femminista Medea (www.medea.noblogs.org)
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