Cambogia, la protesta delle operaie tessile
Le operaie tessili
cambogiane stanno lottando per avere un trattamento
migliore. Sono stufe di essere sottopagate e, attraverso i
sindacati, chiedono un salario mensile minimo di 160 dollari
(115 euro), il doppio di quello attuale.
La protesta
scoppiata all'inizio dell'anno a Phnom Penh, però, era stata
brutalmente repressa: il bilancio tragico è stato di cinque
morti e decine di feriti.
Da allora qualsiasi
manifestazione è stata vietata, ma sotto la cenere cova un
profondo malcontento. I rappresentanti delle lavoratrici
hanno invitato a forme di protesta, astenendosi dall'entrare
nelle fabbriche.
Il settore tessile e
confezione è cruciale per il paese asiatico, e cresce al
ritmo del 7% all'anno. Vi trovano impiego 500 mila persone
direttamente, più altri 3 milioni di posti indiretti. Il
problema è nato dal fatto che negli ultimi quattro anni la
Cina, attirata dal basso costo del lavoro, ha cominciato a
spostare fabbriche in Cambogia. In media un'operaia è pagata
un quarto che nell'ex Celeste impero. E, a mano a mano che
la domanda di prodotti proveniente dall'Europa e dagli Stati
Uniti aumentava, la situazione diventava esplosiva.
Il panorama locale è
variegato, ma per semplificare si può dividere la produzione
in due grandi gruppi: quella alla luce del sole, con
attività registrate e centinaia di donne all'opera in
immensi capannoni per dieci ore al giorno e sei giorni a
settimana, e quella clandestina, che si trova spesso in
campagna e sfugge a qualsiasi controllo. A colpire sono
soprattutto i luoghi dove sono alloggiate le lavoratrici,
nei pressi delle aziende. Per risparmiare, le donne
condividono in 10 o 15 piccoli spazi di 10 metri quadrati.
Il bagno è costituito da un rubinetto, dal quale esce acqua
fredda, e da un secchio.
Per loro un innalzamento
dello stipendio sarebbe di vitale importanza, ma gli
investitori stranieri vedono questa misura come il fumo
negli occhi. L'economista Ou Virak, presidente del Centro
per i diritti umani della Cambogia, è realista e spiega che
passare a un salario minimo di 160 dollari dall'oggi al
domani farebbe scomparire immediatamente il 20% dei posti di
lavoro. Molte giovani operaie rischiano di avere come unica
alternativa la prostituzione. Meglio, piuttosto, procedere
gradualmente: per esempio, 10 dollari in più ogni sei mesi,
così da dare ai fornitori il tempo per adattarsi e negoziare
con i clienti.
25 aprile 2014
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