Continua l'iniziativa del
fondamentalismo cattolico- che il 10 aprile a Bruxelles ha
presentato la raccolta firme "Uno di Noi", dove l'uno è
l'embrione che sarebbe già Uno e quindi portatore di diritti e
le donne che abortiscono delle assassine- contro il diritto di
scelta delle donne in tema di maternità, ma è un attacco a tutto
tondo perchè attiene al ruolo che vuole le donne subordinate in
famiglia, a svolgere un ruolo di supplente per servizi di cura e
assistenza sempre più ridotti al lumicino e\o perchè, quando
disponibili, non se ne possono sostenere i costi, sopratutto
dentro la crisi, la precarietà del lavoro o il non lavoro.
Insomma si vogliono riportare le donne a un Moderno Medioevo.
Ecco perchè l'attacco al diritto d'aborto che vede il
fondamentalismo cattolico svolgere un ruolo di testa d'ariete e
che trova come controaltare l'iniziativa delle istituzioni che in
modi diversi tendono ad affermare la centralità della famiglia,
l'incentivazione alle nascite-preferibilmente italiani- ma a cui
non importa nulla della vita concreta, in primis, delle donne, :
perchè simbolicamente rappresenta la libertà di scelta delle
donne in tutti i campi della vita, contiene il germe della
ribellione e di "tutta la vita deve cambiare", contro
l'insopportabilità di una condizione che non ha nulla di
naturale.
Dopo le veglie di preghiera davanti agli ospedali e la marcia dei fondamentalisti cattolici NO 194 a Milano che vogliono l'abrogazione della 194, ora il movimento per la vita presenta le firme per il riconoscimento giuridico dell'embrione e si prepara per la manifestazione annuale che si terrà il 4 maggio a Roma, con tanto di convegno "scientifico".
In Italia, il riconoscimento giuridico dell'embrione è già stato introdotto nell' art. 1 della L.40 sulla fecondazione: riconoscimento che, insieme all'obiezione di coscienza prevista nella 194, costituiscono una spada di damocle concreta contro il diritto d'aborto in questo paese. Per questo nella piattaforma dello sciopero delle donne abbiamo posto la necessità di migliorare la 194 con l' abrogazione, in essa, dell'obiezione di coscienza.
Di seguito un articolo sulla campagna Uno di noi .
mfpr- milano
Dopo le veglie di preghiera davanti agli ospedali e la marcia dei fondamentalisti cattolici NO 194 a Milano che vogliono l'abrogazione della 194, ora il movimento per la vita presenta le firme per il riconoscimento giuridico dell'embrione e si prepara per la manifestazione annuale che si terrà il 4 maggio a Roma, con tanto di convegno "scientifico".
In Italia, il riconoscimento giuridico dell'embrione è già stato introdotto nell' art. 1 della L.40 sulla fecondazione: riconoscimento che, insieme all'obiezione di coscienza prevista nella 194, costituiscono una spada di damocle concreta contro il diritto d'aborto in questo paese. Per questo nella piattaforma dello sciopero delle donne abbiamo posto la necessità di migliorare la 194 con l' abrogazione, in essa, dell'obiezione di coscienza.
Di seguito un articolo sulla campagna Uno di noi .
mfpr- milano
No all’aborto: la follia oscurantista
sfida l’Europa
Approfondimenti
Attacco
frontale ai diritti delle donne: no ai finanziamenti per le
attività di tutela
della salute riproduttiva, sì al riconoscimento giuridico
dell'embrione.
di Cecilia M. Calamani, da Cronache Laiche
di Cecilia M. Calamani, da Cronache Laiche
Dopo la bocciatura, lo
scorso
dicembre, di una risoluzione a tutela della salute riproduttiva
della donna -
che comprendeva il diritto all'aborto sicuro, l'accesso alla
contraccezione e
la necessità di educazione sessuale per i ragazzi - il
parlamento europeo si
trova di fronte a una nuova prova che ci farà capire in quale
misura
l'ultraconservatorismo bigotto sta prendendo piede tra gli
scranni del vecchio
continente.
Con un'audizione pubblica, il 10 aprile sono state presentate a Bruxelles le firme raccolte nei 28 paesi membri per la campagna Uno di noi, che chiede all'Unione europea di porre fine al sostegno politico ed economico di attività che potrebbero comportare la distruzione di embrioni umani, inclusa la ricerca sulle cellule staminali embrionali e i servizi di aborto sicuro erogati da organizzazioni non governative nei Paesi in via di sviluppo. Il caposaldo della petizione è la richiesta di riconoscimento giuridico dell'embrione umano, che comporterebbe il diritto «alla vita e dell'integrità» sin dal momento del concepimento.
Nell'attesa della risposta del parlamento europeo, prevista entro il 28 maggio, possiamo provare a capire cosa succederebbe se una simile petizione venisse accolta. Intanto c'è da osservare che l'Italia ha fornito da sola il numero più alto di firme valide (circa 624mila su un totale di un milione e 700mila, contro le 145mila della Spagna, 83mila della Francia, 138mila della Germania), a dimostrare quanto da noi i sedicenti movimenti "per la vita" siano radicati e attivi. E d'altronde ciò non stupisce, se si pensa che la media degli obiettori di coscienza alla legge 194 sull'interruzione di gravidanza si attesta al 70 per cento su scala nazionale.
Ma veniamo all'embrione e al suo riconoscimento giuridico. La mira è chiara: equiparare l'aborto e la ricerca sugli embrioni in sovrannumero (quelli crioconservati senza alcuna possibilità di impianto) all'omicidio. Perché se l'embrione avesse la dignità giuridica di persona, il suo diritto alla vita si contrapporrebbe a quello della donna di interrompere la gravidanza e tra i due diritti prevarrebbe, come di solito in giurisprudenza, quello del soggetto più debole, l'embrione. Si arriverebbe così al paradosso di una guerra di diritti tra due entità non paragonabili se non nella testa degli integralisti religiosi: un embrione (una persona che ancora non è) e una donna (una persona che è). Ovvio che l'Europa non possa violentare le legislazioni nazionali definendo l'aborto un omicidio, ma chiedere di riconoscere la dignità giuridica dell'embrione è il primo passo, nella testa dei prolife, per togliere alle donne il diritto basilare di decidere sul loro corpo.
Il problema però esiste nei Paesi in via di sviluppo: l'iniziativa Uno di noi prende di mira in particolare i fondi (circa 120 milioni di dollari ogni anno) che l'Ue eroga a organizzazioni non governative per la protezione della salute riproduttiva delle donne. Secondo quanto afferma la Laiga (Libera associazione italiana ginecologi per l'applicazione legge 194), in questi Paesi muoiono quasi 800 donne al giorno per problemi legati alla gravidanza o al parto. Ecco quindi che chi dice di "difendere la vita" (come se chi è a favore dell'aborto difendesse la morte) in realtà è interessato solo a "difendere" il concepimento, intoccabile per dogma di fede qualsiasi cosa ciò comporti per la madre.
Il ruolo della Chiesa, responsabile di questi deliri antiumanitari che ledono la libertà di scelta e il diritto alla salute delle donne, è enorme e senza scuse. L'11 aprile, il giorno dopo la consegna delle firme a Bruxelles, Bergoglio ha ricevuto in udienza prima i rappresentanti dell'Ufficio internazionale cattolico dell'infanzia e poi quelli del Movimento della vita, una delle associazioni promotrici della campagna Uno di noi. Ai primi ha detto: «Mi sento chiamato a farmi carico di tutto il male che alcuni sacerdoti, abbastanza in numero ma non in proporzione alla totalità, e a chiedere perdono per il danno che hanno compiuto, per gli abusi sessuali sui bambini». Ai secondi, elogiando la loro opera di difesa della vita dal concepimento alla morte, ha citato testualmente il Concilio Vaticano II: «L'aborto e l'infanticidio sono delitti abominevoli».
Il messaggio è chiaro. Abusare sessualmente di un bambino è un «male», mentre abortire è un «delitto abominevole». Nonostante la presunta innovazione di Bergoglio, nulla si discosta da ciò che è sempre stato inciso a fuoco nella dottrina cattolica: l'aborto è un peccato talmente grave da meritare la scomunica latae sententiae (ossia d'ufficio) per la donna, mentre la violenza su un bambino, peccato meno grave, si risolve con il pentimento e la preghiera. In altri termini ancora, violare l'infanzia lasciando tracce indelebili per la vita è molto meno grave che distruggere un'entità biologica senza terminazioni nervose. Il prodotto del concepimento vale più di un essere umano, insomma. Più di un bambino, più di una donna, e i prolife diffondono questa "verità" per il mondo con la benedizione del papa. Che poi l'embrione, diventato persona, possa essere abusato per mano di un pastore di anime o morire di parto è solo una spiacevole casualità.
Con un'audizione pubblica, il 10 aprile sono state presentate a Bruxelles le firme raccolte nei 28 paesi membri per la campagna Uno di noi, che chiede all'Unione europea di porre fine al sostegno politico ed economico di attività che potrebbero comportare la distruzione di embrioni umani, inclusa la ricerca sulle cellule staminali embrionali e i servizi di aborto sicuro erogati da organizzazioni non governative nei Paesi in via di sviluppo. Il caposaldo della petizione è la richiesta di riconoscimento giuridico dell'embrione umano, che comporterebbe il diritto «alla vita e dell'integrità» sin dal momento del concepimento.
Nell'attesa della risposta del parlamento europeo, prevista entro il 28 maggio, possiamo provare a capire cosa succederebbe se una simile petizione venisse accolta. Intanto c'è da osservare che l'Italia ha fornito da sola il numero più alto di firme valide (circa 624mila su un totale di un milione e 700mila, contro le 145mila della Spagna, 83mila della Francia, 138mila della Germania), a dimostrare quanto da noi i sedicenti movimenti "per la vita" siano radicati e attivi. E d'altronde ciò non stupisce, se si pensa che la media degli obiettori di coscienza alla legge 194 sull'interruzione di gravidanza si attesta al 70 per cento su scala nazionale.
Ma veniamo all'embrione e al suo riconoscimento giuridico. La mira è chiara: equiparare l'aborto e la ricerca sugli embrioni in sovrannumero (quelli crioconservati senza alcuna possibilità di impianto) all'omicidio. Perché se l'embrione avesse la dignità giuridica di persona, il suo diritto alla vita si contrapporrebbe a quello della donna di interrompere la gravidanza e tra i due diritti prevarrebbe, come di solito in giurisprudenza, quello del soggetto più debole, l'embrione. Si arriverebbe così al paradosso di una guerra di diritti tra due entità non paragonabili se non nella testa degli integralisti religiosi: un embrione (una persona che ancora non è) e una donna (una persona che è). Ovvio che l'Europa non possa violentare le legislazioni nazionali definendo l'aborto un omicidio, ma chiedere di riconoscere la dignità giuridica dell'embrione è il primo passo, nella testa dei prolife, per togliere alle donne il diritto basilare di decidere sul loro corpo.
Il problema però esiste nei Paesi in via di sviluppo: l'iniziativa Uno di noi prende di mira in particolare i fondi (circa 120 milioni di dollari ogni anno) che l'Ue eroga a organizzazioni non governative per la protezione della salute riproduttiva delle donne. Secondo quanto afferma la Laiga (Libera associazione italiana ginecologi per l'applicazione legge 194), in questi Paesi muoiono quasi 800 donne al giorno per problemi legati alla gravidanza o al parto. Ecco quindi che chi dice di "difendere la vita" (come se chi è a favore dell'aborto difendesse la morte) in realtà è interessato solo a "difendere" il concepimento, intoccabile per dogma di fede qualsiasi cosa ciò comporti per la madre.
Il ruolo della Chiesa, responsabile di questi deliri antiumanitari che ledono la libertà di scelta e il diritto alla salute delle donne, è enorme e senza scuse. L'11 aprile, il giorno dopo la consegna delle firme a Bruxelles, Bergoglio ha ricevuto in udienza prima i rappresentanti dell'Ufficio internazionale cattolico dell'infanzia e poi quelli del Movimento della vita, una delle associazioni promotrici della campagna Uno di noi. Ai primi ha detto: «Mi sento chiamato a farmi carico di tutto il male che alcuni sacerdoti, abbastanza in numero ma non in proporzione alla totalità, e a chiedere perdono per il danno che hanno compiuto, per gli abusi sessuali sui bambini». Ai secondi, elogiando la loro opera di difesa della vita dal concepimento alla morte, ha citato testualmente il Concilio Vaticano II: «L'aborto e l'infanticidio sono delitti abominevoli».
Il messaggio è chiaro. Abusare sessualmente di un bambino è un «male», mentre abortire è un «delitto abominevole». Nonostante la presunta innovazione di Bergoglio, nulla si discosta da ciò che è sempre stato inciso a fuoco nella dottrina cattolica: l'aborto è un peccato talmente grave da meritare la scomunica latae sententiae (ossia d'ufficio) per la donna, mentre la violenza su un bambino, peccato meno grave, si risolve con il pentimento e la preghiera. In altri termini ancora, violare l'infanzia lasciando tracce indelebili per la vita è molto meno grave che distruggere un'entità biologica senza terminazioni nervose. Il prodotto del concepimento vale più di un essere umano, insomma. Più di un bambino, più di una donna, e i prolife diffondono questa "verità" per il mondo con la benedizione del papa. Che poi l'embrione, diventato persona, possa essere abusato per mano di un pastore di anime o morire di parto è solo una spiacevole casualità.
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