Dall'opuscolo "Uccisioni delle donne, oggi"
La realtà dei femminicidi sta diventando sempre più una strage quotidiana, quasi non c'è giorno in cui una donna non viene uccisa, e sempre dal proprio convivente, dal fidanzato, dall'amico, ecc.
Abbiamo già parlato delle ragioni strutturali, sistemiche che sono a fondo di questa guerra di bassa intensità contro le donne e che creano l'humus fascista di "uomini che odiano le donne".
Ma su un aspetto c'è ancora molto da indagare: il legame tra crisi e femminicidi, e il suo inevitabile rafforzamento.
La crisi, con tutte le sue conseguenze economiche, lavorative, di vita, non porta solo pesanti, drammatiche effetti sulle condizioni dei lavoratori, nelle famiglie, ma porta anche un elemento di frustrazione, di sofferenza/devastazione ideologica, che in alcuni casi si trasforma in imbarbarimento dei rapporti umani, e in scarico di queste frustrazioni nella famiglia e sulle donne.
La crisi quindi porta ad un intreccio più stretto tra le difficoltà materiali delle persone, la difficoltà di vivere e, verso gli uomini, la crescita dell'humus maschilista. Uomini che scaricano la loro frustrazione sull'unica "cosa" che loro considerano rimasta come proprietà: la donna. Quando anche questa "proprietà" possono perderla, quando "l'ammortizzatore sociale", sia pratico che ideologico, della famiglia si rompe, non lo accettano.
Alla crisi materiale si aggiunge per alcuni uomini la disperazione di vedersi crollare la loro "dignità di maschi", e più vengono meno le meschine ragioni materiali di questa ideologia maschilista e più cresce l'humus rivendicativo, e l'odio verso le donne che vogliono rompere il loro "giocattolo", e che gli mettono in crisi quelle misere catene di proprietà, a cui si aggrappano.
Questo avverrebbe più conseguentemente nelle famiglie e nei rapporti nella piccola borghesia, ma l'ideologia maschilista imperante in questo sistema sociale, fa sì che avviene sempre più nelle famiglie proletarie da parte di operai, lavoratori, disoccupati, ecc.
La famiglia, soprattutto proletaria, è il luogo centrale in cui si gestisce un’economia sociale sempre più misera, si amministrano i salari sempre più ridotti o inesistenti, si gestiscono gli aumenti del costo della vita. La famiglia proletaria garantisce nella fase di attacco, di crisi, di attutire l’impatto devastante di queste politiche. Ma l'assistenza tra familiari, da normale relazione tra persone basata sui legami sentimentali diventa un obbligo, diventa uno schiavismo insopportabile per le donne, e spesso provoca depressione e rotture. Nella famiglia ritornano i lavoratori licenziati, restano per anni figli disoccupati.... La famiglia, per questo sistema fa da paracadute alle frustrazioni, alla messa in crisi di posizioni di privilegio dell’uomo in famiglia...
Questo, e tanto altro ancora da indagare e denunciare, mostra ulteriormente che nel legame crisi/femminicidi non ci sono misure governative, interne allo Stato del sistema capitalista - causa delle crisi economiche - che possano fermare gli assassini delle donne. Occorrerebbe eliminare la crisi, ma per eliminare le crisi bisogna eliminare il sistema capitalista di cui sono l'inevitabile prodotto; bisognerebbe rompere i rapporti familiari, uomo/donna basati in questa società, anche tra i proletari che non hanno nulla da perdere che le proprie catene, su un tragico scimmiottamento dei valori di proprietà, dell'ideologia fascista dei borghesi (che invece hanno tutto da perdere col rovesciamento del loro sistema di sfruttamento, di oppressione, di profitto e di "morte")...
La crisi non è solo economica, è crisi
ideologica, di impotenza disperante di fronte alle difficoltà di
vita; del venir meno di valori, il rapporto di coppia, la famiglia,
la tranquillità delle condizioni di vita, valori non certo di per sè
positivi, che anzi contengono già un nucleo di devastazione, di
deviazione, di accecamento per quello che sono o possono essere in
questa sistema sociale oppressivo i rapporti d'amore, le famiglie, ecc., che possono trasformarsi da puntelli
di felicità, di garanzia, in realtà che si ritorcono contro,
diventando tante catene pratiche e mentali.
A questo si unisce
la condizione di solitudine, l'affrontare i problemi come se fossero
solo personali - cosa assolutamente non vera, soprattutto per le
donne - la chiusura disperante nel proprio particolare.
Tutto
questo è frutto di un sistema sociale che esaspera i problemi, che
propaganda a piene mani l'antisocialità, l'individualismo, o una
socialità fatta di tante singole persone "per bene" ognuna
chiusa nella propria casa, in cui il "sociale" viene
deviato, o concentrato nelle spazzature di programmi televisivi, come
il misurare le persone per le loro "capacità individuale a
farcela" e colpevolizzare/isolare di fatto tutti gli altri.
In
questo modo si devia la disperazione verso sè stessi, o verso le
vite delle persone su cui puoi avere un misero potere, invece di
rivolgersi contro un sistema che crea tutto questo, e in questo
trovare le ragioni sociali, collettive.
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