12/06/23

Un commento all'intervista del 10/6 alla compagna femminista spagnola. Alcune riflessioni utili

Ho ascoltato l'intervista fatta da voi sabato 10 giugno ad una compagna militante femminista spagnola.

In generale è stata molto interessante. Pur rimanendo salde alcune critiche necessarie rispetto alle derive sull’aspetto identitario (nel senso di esser legato al concetto di identità), le quali derive spesso si accompagnano alle teorizzazioni che ostentano l’utilizzo del termine transfemminismo; mi sembra che sia in questa parte del movimento femminista spagnolo utile avviare un dibattito, anche lotta di posizione, critica e costruttiva. Mi sembra che tra i due filoni contrastanti che abbiamo ascoltato (vedi l'altra intervista fatta ad una rappresentante spagnola del movimento femminista "classico" il 21 aprile scorso: https://femminismorivoluzionario.blogspot.com/2023/04/sul-movimento-femminista-in-spagna.html ndr), entrambi con mancanze ed errori teorici, sia comunque questo ultimo quello con cui dialettizzarsi, quello né “perso”, né “bruciato”, né “venduto”, non di retroguardia.

Rispetto alle posizioni politiche espresse mi sembra ci sia una certa “lucidità”, rispetto agli allarmismi che trasparivano dalla prima intervista.

Ovviamente ciò non toglie che dal punto di vista ideologico sia necessario contrastare le influenze che il neoliberismo può infondere nel movimento femminista. Effetti che probabilmente già ci sono e che vanno contrastati perché fanno male al movimento. Ma non che il movimento faccia male di per sé a causa di tali infiltrazioni ideologiche.

Dove vedo però il problema principale rispetto all'impostazione del movimento che si definisce transfemminista?

Il cuore del problema della questione del trasfemminismo, dell’ideologia queer e dell’itersezionalismo mi sembra (mutuato infatti più dal movimento LGBTQIA+ piuttosto che dal movimento storico delle donne) è questa costante attenzione all’identità.

In questo senso "l’intersezionalismo" è un approccio giusto quando ci dice che le contraddizioni spesso non emergono in maniera “pura” e isolata le une dalle altre ma spesso si sovrappongono e si alimentano l’un l’altra, prima tra tutte ovviamente quella di classe, quella di razza e quella di genere;
ma diventa deviante quando parla anche della classe come un’identità. Non esiste l’identità di classe. Non è una identità tra le altre. Lo sfruttamento della classe non è una forma di discriminazione ma una categoria che emerge dall’analisi scientifica della realtà per mezzo della critica dell’economia politica. Per questo la discriminazione di classe non è come le altre, non è una tra le altre, non è una "discriminazione".

Nel capitalismo non veniamo sfruttati a causa della nostra "identità di sfruttati". Diventiamo degli sfruttati a causa del fatto che il capitale ci sfrutta. Viene prima lo sfruttamento e poi la nostra "identità". Non è che prima abbiamo l'identità di sfruttati e poi allora il capitale decide di estrarre da noi il plus-valore. In questa contraddizione fondamentale (quella di classe, e a differenza delle altre) è il processo storico della divisione in classiche genera "l'identità"; non "l'identità" che porta ad essere sfruttati, discriminati.

Non si può far diventare la lotta di classe un problema di “classismo”. Per questo non è una questione identitaria e quindi bisogna approfondire l'analisi del concetto di intersezionalità. 

Le specifiche identità vengono usate per giustificare e quindi per rafforzare la subordinazione, lo sfruttamento e l’assoggettamento, ma non lo determinano.

Perdendo di vista questo, si pone la questione di classe allo stesso livello di ogni politica e resistenza identitaria (come dialettica tra affermazione dell’identità/richiesta di riconoscimento). Ciò rischia di far sì che il movimento femminista perda inevitabilmente di vista la questione di classe, includendola sì, ma sullo stesso piano delle varie discriminazioni (quindi non includendola davvero, dato che non è la stessa cosa), invece che usarla come arma di analisi, lotta e discernimento nel fuoco della propria battaglia.


Infine, fa strano come all’interno del movimento femminista si stia ingigantendo l’attenzione sulla questione terminologica (che io non sottovaluto ma che credo stia fagocitando troppe contraddizioni più strutturali e sistemiche) ma si continui allo stesso tempo a non problematizzare a sufficienza il termine “razza”, “discriminazioni razziali”, “violenza razzializzata”, “razzializzazione”. Il fatto è che le razze umane non esistono. Si mette in discussione che esista il sesso (ma la scienza dice di sì) invece di mettere in discussione che esista la razza (e qui la scienza ci dice proprio che le razze umane non esistono). Una cosa è il “razzismo” come ideologia che presuppone l’esistenza delle razze umane (appunto), una gerarchia tra esse e la legittimità della discriminazione verso alcune di esse, altra cosa è che noi usiamo il termine "razza"; è il razzismo come ideologia che usa il termine “razza”, non noi. 
Ripeto, la “razza” non esiste, esistono le discriminazioni razziste. La “violenza razzializzata” non esiste, esiste la violenza razzista. “La “razzializzazione” non vuol dire nulla e riguarda sempre gente diversissima (immigrati, gente con la pelle nera, “seconde generazioni”, afro-discendenti, bpoc, e mille altre figure), esiste il razzismo. 

Da un compagno di Torino

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